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giovedì 11 novembre 2010

Il pesce nella cucina palermitana.

11 Novembre 2010.

Palermo e la sua provincia onorano il pesce cucinato in modo semplice e antico per poterne esaltare tutta la freschezza.

Lessato e accompagnato da olio extra vergine d'oliva, succo di limone fresco e prezzemolo; arrostito sulla brace, con un profumato "salmoriglio"; fritto croccante, sfumato all'aceto, marinato nel succo di limone, in agrodolce, alla pescatore, oppure al forno su un verde, delicato cuscino di alghe. E poi ancora zuppe e brodini dove lo zafferano rimanda ad orientali profumi da bazar arabo. Agli amanti del pesce, Palermo offre piatti magici in una passerella di colori, sapori, odori sempre diversi: calamari, totani,gamberi, aragoste, polpi, sogliole, pagelli, ricciole, orate, dentici, branzini, cernie, triglie, sgombri, boghe, scorfani, sardine...Ma anche lo squalo, sotto le mentite spoglie di palumbo, gattuccio ecc. ritenuti indispensabili in una zuppa di pesce. Tonno e pescespada sollecitano la fantasia di abilissimi chefs che inventano sempre nuove tentazioni: basta leggere gli invitanti menù di ristoranti e trattorie. Il tonno sott'olio fu invenzione tutta palermitana quando il tonno era la carne dei poveri. Naturalmente il migliore è stato sempre quello dalla "pinna rossa". La precisazione è d'obbligo. Si comprava per San Giovanni o San Pietro perchè costava poco: in effetti basta immaginare in che condizioni fosse il tonno, pescato normalmente nel mese di maggio, alla data del 24 o del 29 giugno. In epoco in cui non esistevano sistemi di refrigerazione. Quel maleodorante tonno era bollito e conservato sott'olio con foglie di alloro e grani di pepe: una manipolazione che lo trasformava in un autentico peccato di gola. Delizia delle serate estive quando si ha poca voglia di stare davanti ai fornelli. Poi finì in scatola e oggi, si spezza con un grissino.... Provate, invece, ad assaggiare quello scuro, quasi marrone, profumatissimo e che un grissino non riuscirà mai a intaccare!

LE ANTICHE TONNARE

Nel tratto di mare che va da Terrasini fino a Cefalù, lungo la costa palermitana, esistettero decine di antichissime "tonnare"


Le ultime tonnare, quella di mondello e di trabia, hanno resistito fino agli anni Cinquanta. Al Museo Mandralisca di Cefalù è conservato un antico boccale siceliota, lavorato a Lipari, su cui è riprodotto un venditore di tonno, nell'atto di affettare le carni del pesce, mentre discute con un cliente che, nella desra, mosra la moneta per il pagamento. Una tradizione millenaria che, ogni anno, si rinnova a maggio e che riflette una plurisecolare civiltà. Come un codice di identificazione: da una parte c'è la civiltà del maiale, del grasso, del burro; dall'altra, invece, quella del tonno, del sale, dell'olio d'oliva. Sia il maiale che il tonno sono stati utili allo sviluppo dell'umanità. Intanto perchè ci hanno nutriti, e ci nutrono ancora, con le loro carni fresche, e poi perchè ci hanno fornito proteine in tempi di carestie e penurie alimentaricome "cibo conservato". Di loro non si butta via niente. Non per nulla i palermitani chiamarono il tonno "maiale di mare". Con le code si fabbricarono le scope; con le spine più grosse, legate assieme, spzzoloni per pulire le carene dei bastimenti.

IL TONNO OGGI


Oggi i tonni con si pescano più nelle "tonnare" , ma in mare aperto e per tutto l'anno. Fino agli ultimi anni Cinquanta erano 32 gli "stalli", cioè le parti in cui si divideva la carne, poi ridotti a 25 fino a metà degli anni Settanta. Oggi, purtroppo, il tonno viene lavorato in blocco togliedo soltanto la testa, la coda, le pinne e le interiora. Le parti più pregiate si mangiano ancora oggi fresche: affettate e cotte sulla brace con un battuto di olio, limone, origano e menta, come consigliava Archestrato di Gela, vissuto attorno al III sec. a.C. Assicura, nei suoi versi, che l'odore di quel piatto "farà venire l'acquolina in bocca anche agli dei dell'Olimpo". Tagliato a grossi tocchi si fa ancora " a ragù", con salsa di pomodoro, aglio e menta. Una delizia... Un tempo, le parti magre meno nobili si tagliavano in tranci, si mettevano sotto sale e si stivavano in botti di legno; attraverso un foro si "rinnovava " la salamoia per 40 giorni. Poi si spedivano nel mondo intero. Il mercato non lo richiede più perchè il sale, come è noto, provoca ipertensione. E di quella, nel mondo, pare che ce ne sia già troppa.


Tratto dall'opuscolo informativo "alla scoperta della provincia di Palermo - Cucina storia e tradizioni" edito dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'incremento Turistico di Palermo, sita a Palermo alla piazza Castelnuovo 35. Il webmaster del sito, Francesco Toscano, ringrazia l'AAPIT per la gentile concessione fattagli a seguito della quale è stato possibile realizzare questa e le successive pagine web.
L'azienda è presente sul web all'indirizzo:

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