Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

  • A proposito degli alieni....

    Il saggio dal titolo "A proposito degli alieni....", di Francesco Toscano e Enrico Messina

    Sinossi: Fin dalla preistoria ci sono tracce evidenti del passaggio e dell’incontro tra esseri extraterrestri ed esseri umani. Da quando l’uomo è sulla Terra, per tutto il suo percorso evolutivo, passando dalle prime grandi civiltà, all’era moderna, sino ai giorni nostri, è stato sempre accompagnato da una presenza aliena. Lo dicono i fatti: nei reperti archeologici, nelle incisioni sulle rocce (sin qui rinvenute), nelle sculture, nei dipinti, in ciò che rimane degli antichi testi, sino ad arrivare alle prime foto e filmati oltre alle innumerevoli prove che oggi con le moderne tecnologie si raccolgono. Gli alieni ci sono sempre stati, forse già prima della comparsa del genere umano, e forse sono loro che ci hanno creato.

  • Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.

    Il saggio dal titolo "Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Milioni di persone in tutto il mondo credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E se fosse vero? Questo libro nasce proprio per questo motivo, cercare di dare una risposta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, al quesito anzidetto. L`archeologia spaziale, o archeologia misteriosa, è definibile come la ricerca delle tracce, sotto forma di particolari reperti archeologici o delle testimonianze tramandate nel corso dei millenni, di presunti sbarchi sulla Terra di visitatori extraterrestri avvenuti all’alba della nostra civiltà.

  • Condannato senza possibilità d'appello

    Il romanzo breve dal titolo "Condannato senza possibilità d'appello.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Le concezioni primitive intorno all`anima sono concordi nel considerare questa come indipendente nella sua esistenza dal corpo. Dopo la morte, sia che l`anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d`animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica, seguirà sempre il volere di Dio; cioè il volere dell’Eterno di consentire alle anime, da lui generate e create, di trascendere la vita materiale e innalzarsi ad un piano più alto dell’esistenza, imparando, pian piano, a comprendere il divino e tutto ciò che è ad esso riconducibile.

  • L'infanzia violata, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano

    Sinossi: Dovrebbero andare a scuola, giocare, fantasticare, cantare, essere allegri e vivere un'infanzia felice. Invece, almeno 300 milioni di bambini nel mondo sono costretti a lavorare e spesso a prostituirsi, a subire violenze a fare la guerra. E tutto ciò in aperta violazione delle leggi, dei regolamenti, delle convenzioni internazionali sui diritti dell'infanzia. La turpe problematica non è lontana dalla vostra quotidianità: è vicina al luogo in cui vivete, lavorate, crescete i vostri bambini. Ad ogni angolo dei quartieri delle città, dei paesi d'Italia, è possibile trovare un'infanzia rubata, un'infanzia violata.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei "ru viddrani", Don Ciccio, "u pastranu", capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un'acredine che amplifica l'entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea Romanescu, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il fantasy dal titolo "E un giorno mi svegliai", di Francesco Toscano

    Sinossi: "E un giorno mi svegliai" è un fantasy. Il personaggio principale del libro, Salvatore Cuzzuperi, è un impiegato residente nella provincia di Palermo che rimane vittima di un'esperienza di abduction. Il Cuzzuperi vivrà l'esperienza paranormale del suo rapimento da parte degli alieni lontano anni luce dal pianeta Terra e si troverà coinvolto nell'aspra e millenaria lotta tra gli Anunnaki, i Malachim loro sudditi, e i Rettiliani, degli alieni aventi la forma fisica di una lucertola evoluta. I Rettiliani, scoprirà il Cuzzuperi, cercano di impossessarsi degli esseri umani perché dotati di Anima, questa forma di energia ancestrale e divina, riconducibile al Dio Creatore dell'Universo, in grado di ridare la vita ad alcune specie aliene dotate di un Dna simile a quello dell'uomo, fra cui gli stessi Rettiliani e gli Anunnaki. Il Cuzzuperi perderà pian piano la sua umanità divenendo un Igigi ammesso a cibarsi delle conoscenze degli "antichi dèi", ed infine, accolto come un nuovo membro della "fratellanza cosmica".

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei “ru viddrani”, Don Ciccio, “ù pastranu”, capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un’acredine che amplifica l’entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea ROMANESCU, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • Naufraghi nello spazio profondo, di Francesco Toscano

    Il romanzo di fantascienza dal titolo "Naufraghi nello spazio profondo ", di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza.

  • Malacarne, di Francesco Toscano

    Libro/E-book: Malacarne, di Francesco Toscano

    Sinossi: Nella primavera dell'anno 2021 a Palermo, quando la pandemia dovuta al diffondersi del virus denominato Covid-19 sembrerebbe essere stata sconfitta dalla scienza, malgrado i milioni di morti causati in tutto il mondo, un giovane, cresciuto ai margini della società, intraneo alla famiglia mafiosa di Palermo - Borgo Vecchio, decide, malgrado il suo solenne giuramento di fedeltà a Cosa Nostra, di vuotare il sacco e di pentirsi dei crimini commessi, così da consentire alla magistratura inquirente di assicurare alla giustizia oltre sessanta tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria Gesù. Mentre Francesco Salvatore Magrì, inteso Turiddu, decide di collaborare con la Giustizia, ormai stanco della sua miserevole vita, qualcun altro dall'altra parte della Sicilia, che da anni ha votato la sua vita alla Legalità e alla Giustizia, a costo di sacrificare sé stesso e gli affetti più cari, si organizza e profonde il massimo dell'impegno affinché lo Stato, a cui ha giurato fedeltà perenne, possa continuare a regnare sovrano e i cittadini possano vivere liberi dalle prevaricazioni mafiose. Così, in un turbinio di emozioni e di passioni si intrecciano le vite di numerosi criminali, dei veri e propri Malacarne, e quella dei Carabinieri del Reparto Operativo dei Comandi Provinciali di Palermo e Reggio di Calabria che, da tanti anni ormai, cercano di disarticolare le compagini mafiose operanti in quei territori. Una storia umana quella di Turiddu Magrì che ha dell'incredibile: prima rapinatore, poi barbone e mendicante, e infine, dopo essere stato "punciutu" e affiliato a Cosa Nostra palermitana, il grimaldello nelle mani della Procura della Repubblica di Palermo grazie al quale potere scardinare gran parte di quell'organizzazione criminale in cui il giovane aveva sin a quel momento vissuto e operato.

  • NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA , di Francesco Toscano

    Libro/E-book: NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA,di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza. Nel giro di pochi anni, pur tuttavia, a differenza di quanto auspicatosi dagli scienziati che avevano ideato e progettato la missione Marte, l’ingegnere MIGLIORINI e la sua progenie sarebbero rimasti coinvolti in un’aspra e decennale guerra combattuta da alcuni coloni di stanza sul pianeta Marte e da altri di stanza sulla superficie polverosa della nostra Luna, per l’approvvigionamento delle ultime materie prime sino ad allora rimaste, oltre che per l’accaparramento del combustibile, costituito da materia esotica e non più fossile, di cui si alimentavano i motori per viaggi a velocità superluminale delle loro superbe astronavi; ciò al fine di ridurre le distanze siderali dello spazio profondo e al fine di generare la contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali, che avrebbero consentito loro di percorrere le enormi distanze interstellari in un batter di ciglia...






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venerdì 11 agosto 2023

Il magico mondo di Sandy di Daniela Viviano


Un viaggio fantastico che l’autrice dedica a tutti gli adolescenti di oggi

Il magico mondo di Sandy è un romanzo fantasy.

È la storia di una fatina di nome Sandy che dopo essere venuta a conoscenza della sua vera identità, quella di fata e non di strega, un'identità che le è sempre stata negata per turpi fini, intraprende un viaggio avventuroso alla ricerca delle sue vere radici.
Nel suo intrepido viaggio non sarà da sola, ma per sua fortuna potrà godere della compagnia e della forza di quattro simpatiche maghette e di un bizzarro e affascinante elfo che scoprirà ben presto essere la sua anima gemella.
Il magico modo di Sandy non è solo un viaggio iniziatico di un essere sovrannaturale, ma anche la metafora di un viaggio di crescita di una preadolescente che scoprirà grazie al suo coraggio e all'aiuto di amici veri, quella che è la sua vera essenza, un’essenza magica con la quale sarà in grado di sconfiggere il male in nome del Bene. 

Booktrailer: https://youtu.be/pRdA3P9NX0M

Immagine che contiene cartone animato, schermata, testo, Animazione

Descrizione generata automaticamente

Breve estratto

“Sagana: -Tieni questo bracciale! Non toglierlo mai, intesi? Il bracciale nasconderà la voglia a forma di fiore che hai al polso. Sai bene che quella voglia ti contraddistingue come una strega delle paludi a tutti gli effetti. -

 Sandy: -Non lo toglierò mai, te lo prometto! -.”


Daniela Viviano biografia

Regista, autrice, attrice e lettrice professionista, leader yoga della risata, clown-dottore, improvvisatrice teatrale con teatro–ragazzi, marionette, letture animate e fiabe per pubblico di infanzia, regista di cene col delitto, monologhi comici e riflessivi al femminile e docente per un pubblico adulto.
Ha pubblicato una sua fiaba con la casa editrice Pagine di Roma, che è stata inserita nella collana “l’Antologia delle fiabe dei nonni e delle nonne”.
Sul sito www.fiabeadomicilio.com realizza fiabe personalizzate cartacee per adulti e bambini.
Ha realizzato un fumetto con la disegnatrice Chiara Romagnoli per bambini dal titolo “In volo con Nenè”.
Ha scritto il romanzo fantasy per teenagers dal titolo “Il magico mondo di Sandy”.

Il romanzo Il mondo magico di Sandy dell’autrice Daniela Viviano è disponibile in versione cartacea su Amazon: https://amzn.to/43U40WA 


lunedì 28 novembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo venti.

 

Venti.

Mi chiamo Frank e sono uno dei dodici. Anzi, uno dei nove poiché, ahimè, mio padre, mio fratello Lorenz, mio nonno, Joseph, sono passati a miglior vita. L’ape Teddy mi ha riferito, recentemente, che mio nonno annotava la sua storia in un diario. Dopo varie ricerche l’ho trovato il suo diario e, commosso per quanto appreso, mi accingo, con tanta umiltà, cercando di continuare a raccontare la nostra storia con dovizia di particolari, ad annotare nelle pagine vuote che restano in quel diario la restante parte della storia della mia famiglia, che mio nonno ha interrotto bruscamente dopo la morte di mio padre. Nonno, infatti, qualche giorno dopo si è spento come una candela di cera consumata dalla fiamma ardente, stanco di questa miserevole vita. Non ho nulla da rimproverargli: anzi, egli è stato per noi una guida forte e autorevole, che con la sua tenacia e perseveranza ci ha consentito di continuare a sopravvivere in ambienti ostili alla vita. Mia nonna, ormai vecchia e stanca, mi continua a ripetere che se non fosse stato per la caparbietà del nonno noi non ce l’avremmo fatta a sopravvivere né su Marte, né sugli altri corpi celesti dove ci siamo diretti negli ultimi anni. Ella ha ragione. Me lo ricordo bene mio nonno. Di egli ricordo che trascorreva gran parte del suo tempo a sperimentare e a costruire quello che ci occorreva per continuare a sopravvivere alle ostilità che la vita ci poneva dinanzi. Ormai sono passati dieci anni dalla sua morte. Come da sua volontà testamentaria il suo corpo è stato cremato e le sue ceneri sono state disperse sull’Olympus Mons, la vetta più alta del sistema solare, ovvero la montagna più alta di Marte, che con i suoi venticinque chilometri di altezza è la prima cosa che si nota allorquando ci si avvicina al pianeta Marte. Ora tocca a me prodigarmi affinché la mia famiglia continui a prosperare nel sistema solare e oltre. Recentemente ho costruito un’altra navetta spaziale, aiutato da Teddy e dagli altri robot costruttori, che a breve ci consentirà di lasciare il nostro sistema solare alla volta di Proxima Centauri, la nana rossa più vicina al nostro Sole, distante da esso circa 4,243 anni luce, ubicata nella costellazione del Centauro. Già dal 2016 è noto che attorno ad essa orbita un pianeta potenzialmente dotato di acqua liquida superficiale e, quindi, ritenuto ospitale alla vita. Vedremo!

-         Accensione dei propulsori principali in 10,9,8,7,6,5,4,3,2,1, decollo! –

-         Teddy, traccia la rotta per Proxima. –

-         Con molto piacere, Frank! –

Pochi istanti dopo, dinanzi a noi, si aprì un wormhole, un cunicolo gravitazionale o ponte di Einstein – Rosen, che ci avrebbe consentito nel giro di qualche ora di raggiungere il sistema solare che avevamo deciso di visitare e abitare. Lasciavamo Titano e quello che rimaneva del nostro campo base e della nostra spedizione umana, quasi trent’anni dopo il nostro arrivo su quella Luna di Saturno. Ci lasciavamo alle nostre spalle tanti momenti felici, ma anche molti momenti di profonda tristezza e scoramento. Oggi, dopo tutto quello che ci è accaduto, posso affermare che la vita non è stata clemente con noi. Come dei bambini gracili che barcollano, pur tuttavia, siamo riusciti sempre a rialzarci dopo ogni caduta. Il nostro pregio più grande è stato quello di non esserci mai abbattuti alle difficoltà.

-         Frank, siamo arrivati! – Disse Teddy.

-         Teddy, aziona lo scanner termico, e tieni in stand-by il cannone a plasma, nel caso in cui ci dovesse servire. –

Ero diventato guardingo. La responsabilità della nostra sopravvivenza ricadeva su di me ed era così grave che, volendola assimilare a qualcosa, penso possa essere più simile a un macigno pronto, da un momento all’altro, a schiacciarmi la testa. Avevo dato istruzioni ai componenti il mio nucleo familiare di che cosa essi avrebbero dovuto fare nel caso in cui un’entità aliena ci avesse attaccato. Sino ad allora, ovvero da quando avevamo lasciato il nostro sistema solare, tutto era andato per il verso giusto e non volevo che le cose cambiassero repentinamente. Così non fu!

Da tribordo qualcosa mandò in frantumi parte della nostra navetta. Decisi, d’urgenza, di atterrare su Proxima Centauri B, un pianeta molto simile alla Terra, scoperto il 24 agosto del 2016 attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazioni prodotte dall’effetto Doppler nello spettro di Alfa Centauri C. Proxima Centauri B è un pianeta terrestre che orbita a 0,05 unità astronomiche dalla sua stella, ovvero un ottavo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, all’interno della zona cosiddetta abitabile del sistema.

L’impatto al suolo fu violentissimo; ma i sistemi di sicurezza che avevamo approntato prima della nostra partenza da Titano avevano retto bene l’urto. Qualche contusione fra i passeggeri della nave, ma nulla di più. Era iniziata la nostra avventura fuori dal sistema solare, ma quanti inquietanti interrogativi ci balenarono in mente? Chi o che cosa ci aveva colpiti e, soprattutto, perché? Ma questa è un’altra storia che vi racconterò un altro giorno. Adesso sono impegnato, unitamente a Teddy e agli altri robot costruttori, a definire il nostro campo base, ad allestire un sistema di difesa attivo onde evitare che qualcuno o qualcosa possa mandarci al Creatore.

 

N.B.: Questo è l'ultimo post dedicato al fantasy "I 12 marziani", di Francesco Toscano, in attesa della sua prossima pubblicazione. Spero di completare l'opera prima del mese di giugno del 2023. Con affetto, Francesco Toscano.

lunedì 21 novembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo diciannove.

 


Diciannove.

 

L’aver perso il 40% delle derrate alimentari stoccate nell’apposita area creata dai robot costruttori nel nostro campo base su Titano significò per la mia famiglia una grave perdita, giacché c’erano costati tanto tempo e tanto lavoro la coltivazione di quelle piante di cereali andate perdute, che erano necessarie per il nostro fabbisogno giornaliero. Ho sempre pensato che nessuno mi ha mai regalato niente e che tutto quello che io ho, oggi, è direttamente proporzionale all’impegno da me profuso quotidianamente nel creare e produrre ciò di cui ho avuto di bisogno nella mia lunga vita, per la mia e per l’altrui sopravvivenza. Ho lavorato incessantemente anche per diciotto ore al giorno per realizzare tutto quello che oggi noi abbiamo. Ho sudato, e poi ho pianto ogni qualvolta la mia nuova creazione prendeva vita e ci consentiva di vivere e prosperare, in modo diverso rispetto al nostro recente passato, fatto, il più delle volte, di stenti e sofferenze. Fra i dodici coloni, ovvero fra i dodici membri il mio nucleo familiare, oltre a me e mio figlio, quello che maggiormente contribuiva alla realizzazione delle nostre opere, che fossero di biologia molecolare, di bio-genetica, di chimica, ingegneria, era da almeno una decina anni mio nipote Lorenz, ritornato tra noi dopo una breve permanenza su Encelado. Lorenz era tutto quello che io avrei voluto essere da giovane. A differenza mia, che ero basso e tarchiato, Lorenz era alto circa un metro e novanta, corporatura robusta, fisico perennemente allenato, di muscolatura forte e vigorosa, dotato di un’intelligenza fuori dal comune. Mentre il mio cervello era più simile a un personal computer degli anni Ottanta, quello di Lorenz era più assimilabile a un potente computer quantistico di fine anni Venti del nuovo Millennio, ovvero quello dotato di processore che ricordo chiamarsi Osprey, dell’IBM, da 433 qubit. E poi, era umile, era riflessivo, era un gioiello che brillava di luce propria. Purtroppo per noi, questo gioiello che irradiava con la sua luce abbacinante i nostri occhi, si spense troppo presto. Tutte le nostre conoscenze in campo medico, tutte le nostre invenzioni, non ci consentirono di sconfiggere il cancro che gli divorò il colon e gran parte dell’intestino tenue. Il suo cadavere, riposto con tanto amore all’interno di un’urna funeraria, fu lanciato in orbita attorno al gigante gassoso Saturno all’alba del 31 gennaio dell’anno 2080. Ho pianto tanto alla sua morte, così tanto che da allora non ho più alcuna lacrima nei miei condotti lacrimali. Una profonda tristezza mi sovviene quando la mia mente rievoca quei giorni di lutto e di dolore. Mio figlio, alla perdita del suo amato Lorenz, si ammalò anch’egli di una forma acuta di depressione post-traumatica che lo portarono, in meno di due anni, alla morte per annegamento in uno dei tanti laghi d’idrocarburi presenti su Titano; si era lasciato morire il mio Michael. Oggi, scusate, sono davvero stanco e non riesco più a scrivere perché la mia mente, il mio spirito, sono profondamente lacerati dal dolore per la grave perdita dei miei amati Michael e Lorenz: i miei due diamanti da cento carati cadauno.

martedì 8 novembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo diciotto.

 


Diciotto.



Dopo pochi giorni dall'atterraggio su Titano, finalmente, l'ape Teddy e gli altri robot costruttori avevano terminato di allestire il nostro primo campo base. Era grande quanto un campo da tennis. Io e mia moglie ci eravamo sistemati a destra del campo, in un modulo abitativo che era grande circa 30 mq, mentre mio figlio e il resto della sua famiglia sulla parte sinistra, in un'area grande, approssimativamente, circa 50 mq. La navetta spaziale, cui il campo base era collegato elettricamente, forniva la necessaria energia per soddisfare le nostre esigenze primarie. Per me che ero vecchio e stanco non era facile spostarsi su Titano: di volta in volta, per ciò, per la mia locomozione sulla luna di Saturno mi affidavo al sostegno fisico e morale di qualcuno dei miei nipoti, i quali mi sorreggevano e mi aiutavano nei miei spostamenti divenuti, ormai, quasi quotidiani. Mia moglie, mia nuora e le sue ragazze i primi giorni erano rimasti all'interno dei moduli abitativi per sistemare le nostre cose e per iniziare la nostra vita di relazione in quel nuovo corpo celeste ove avevamo deciso di andare a vivere. Il primo mese di vita su Titano trascorse sereno. Dal secondo mese al terzo mese, invece, fummo costretti a rimanere all'interno dei nostri alloggi, giacché una tempesta di vento e pioggia di idrocarburi non voleva cessare e sferzava il nostro campo base e la nostra navetta spaziale come il tennista fa con la sua racchetta allorquando colpisce la pallina, al volo, per mandarla dall'altra parte del campo. Mio figlio Michael, dopo che il campo base era stato allestito, si era messo in contatto con gli altri esseri umani di stanza su Titano per indicare loro la nostra posizione geografica, il numero di esseri umani che vivevano in quell'insediamento a carattere familiare, così da connettersi con la loro infrastruttura in modo tale da potere attingere ai loro dati di sistema, ai dati meteorologici, ai dati afferenti le loro recenti scoperte e quant'altro ci potesse servire per vivere su Titano nel miglior modo possibile. Il capo del penultimo insediamento umano su Titano, Jeffry, aveva comunicato a mio figlio che a breve la luna saturniana sarebbe stata colpita da uragani e da altri eventi atmosferici cui noi, marziani, non eravamo abituati; ci consigliava, per questo motivo, di fare attenzione e di non uscire dai nostri moduli abitativi sino a quando le tempeste previste non fossero terminate. Consigliai a mio figlio di rinforzare con degli ancoraggi più resistenti i moduli abitativi e l'intero insediamento, in modo tale da non fare la fine di veri e propri sprovveduti il giorno in cui saremmo stati proiettati nell'occhio del ciclone che si sarebbe abbattuto, a dire di Jeffry, su di noi con una forza e una violenza inaudita. E la tempesta di cui Jeffry ci aveva avvisati non tardò ad arrivare, colpendoci il primo giorno del suo atteso arrivo con una violenza tale da farci saltare, nel giro di poche ore, il collegamento elettrico con la nostra nave, disconnettendoci dalla rete dati che avevamo allestito e che, con nostra somma sorpresa, ci aveva consentito di relazionarci sino ad allora con gli altri esseri umani di stanza su Titano. I robot costruttori, a capo dei quali c'era l'amico Teddy, impiegarono quasi ventiquattr'ore terrestri prima di ripristinare la rete elettrica e la rete dati. Il vento urlava tutta la sua voglia di spazzarci via dalla superficie della luna che avevamo avuto l'ardire di calpestare, mentre la grandine di idrocarburi che ci si scaraventò contro distrusse quella che era stata da noi individuata come l'area di stoccaggio delle derrate alimentari, facendoci perdere in poche ore circa il 40% delle nostre scorte alimentari. Tutti noi fummo costretti a rimboccarci le maniche delle nostre tute in modo tale da risolvere quel problema che si era verificato. Tra di noi, la più preoccupata di quanto era accaduto, era Eleonore, la secondogènito  di mio figlio Michael.

Nonno!-

- Si, dimmi?-

- Ma quando terminerà la tempesta?-

- Non temere, quanto prima.-

- Ma sei sicuro?-

- Certo!-

- Ho paura!-

- Non devi temere, noi siamo al sicuro all'interno dei moduli abitativi. Papà ha messo in sicurezza l'intero campo base; Teddy e gli altri robot costruttori hanno terminato e quanto prima avremo nuovamente l'energia elettrica e il ripristino dei sistemi vitali. Come hai potuto notare i sistemi di sicurezza e di sopravvivenza hanno tenuto al meglio. Non c'è da preoccuparsi, mia cara. Non temere!-

Mi guardava basita, come se le stessi propinando una storiella che, a suo avviso, si sarebbe conclusa nel peggiore dei modi. Ma non era così. Io sapevo benissimo quello che stava accadendo e sapevo che nessuno di noi dovesse temere per la sua incolumità e che la tempesta, che si era abbattuta sul nostro insediamento umano con tanta violenza, prima o poi sarebbe terminata. Erano ben altre le cose che avremmo dovuto temere per davvero. E di ciò, dopo tanti anni di vita, ne ero certo.

lunedì 24 ottobre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo diciassette.

 


Diciassette.


Titano era più simile alla Terra di quanto io potessi mai immaginare. Era un mondo fantastico per chi, come me, era vissuto per anni in una landa desolata e brulla. Oltre le nubi, in fase di atterraggio, si potevano ammirare dei laghi che erano disseminati su tutto il territorio circostante la zona da noi scelta per toccare il suolo di quella luna saturniana; solo che invece di essere formati d'acqua essi erano costituiti da metano ed etano allo stato liquido: e ve ne erano davvero tanti di laghi nella zona in cui la nostra navetta spaziale atterrò. Poi, ricordo che in fase di atterraggio, io e gli altri componenti il mio nucleo familiare, potemmo scrutare dagli oblò della nostra navetta spaziale montagne e valli su cui scorrevano dei fiumi, di idrocarburi, formatisi in milioni di anni dopo che le precipitazioni, sia di metano che di etano, avevano eroso il terreno. Al suolo la temperatura era prossima ai -180° Celsius. La vita su Titano era prosperata da milioni di anni e le sostanze liquide, di colore scuro, di cui erano costituiti i laghi da noi osservati erano ricchi di molecole organiche: ossia degli azotomi, ovvero l'equivalente dei liposomi, cioè delle vescicole circondate da una membrana lipidica che si formano in acqua o in altri liquidi in particolari condizioni ambientali. Il sole cocente di Marte era ormai un lontano ricordo. Giunti su Titano ricordo che pioveva a dirotto, ma quella non era acqua, bensì idrocarburi in forma liquida, ovvero metano e etano di cui vi parlavo in precedenza che avevano dato vita al cosiddetto “ciclo idrologico degli idrocarburi”. Sotto la crosta ghiacciata della luna saturniana, ulteriormente, erano presenti degli oceani d'acqua allo stato liquido mischiata ad ammoniaca. Le forme di vita elementari presenti su Titano si erano quindi sviluppate anche in assenza di acqua, utilizzando in alternativa gli idrocarburi; la respirazione cellulare era avvenuta in quanto dette molecole organiche avevano assorbito idrogeno invece che dell'ossigeno, facendolo reagire anziché con lo zucchero con l'acetilene, che abbondava nell'atmosfera della Luna di Saturno, producendo, infine, metano al posto dell'anidride carbonica. L'acetilene, presente in buona percentuale nell'atmosfera del corpo celeste che ci ospitava, svolgeva, di fatto, una funzione analoga a quella svolta dai fosfolipidi nelle forme di vita terrestre. Inoltre, Titano era ricco di vulcani attivi che lo facevano somigliare alla Terra così com'era prima della comparsa del genere umano, ossia ai tempi in cui era da poco comparsa la vita monocellulare sul mio pianeta d'origine. Teddy, il nostro amico robot, aveva realizzato per noi delle maschere di ossigeno e un vestiario molto caldo, delle giubbe colorate, che ci consentirono di potere abitare Titano in maniera davvero agevole. La pressione che la Luna saturniana esercitava sui nostri corpi era simile a quella che i nostri corpi avrebbero subìto se fossimo rimasti sdraiati sul fondo di una piscina terrestre a prendere il sole. La bassa gravità di Titano, circa il 14% di quella terrestre, ci consentiva, inoltre, di saltare da un punto alto del terreno ad un altro più basso, quasi planando; a tal fine, noi sfruttavamo, infatti, le pieghe che erano state ricavate nei lembi di stoffa di cui era costituita la nostra giubba, che la rendevano del tutto simile a una “tuta alare”. Il cielo di Titano era di un costante arancione nebbioso durante la giornata che, a differenza di quanto accadeva su Marte, durava circa 16 giorni terrestri. Alzando gli occhi in cielo, inoltre, era possibile ammirare nella sua magnificenza il pianeta gigante, gassoso, chiamato Saturno. Erano le condizioni di vita perfette per noi 12 marziani, dopo tanti anni di vita che eravamo stati costretti a trascorrere al di sotto della crosta marziana al solo fine di poterci riparare dai raggi cosmici che investivano ripetutamente quel pianeta, letali per il nostro organismo. Al nostro arrivo su Titano, poi, ricordo che, mentre eravamo intenti a osservare esterrefatti il panorama che si stagliava dinanzi ai nostri occhi, fummo investiti da una folata di vento che per poco non ci scaraventò contro la fusoliera della nostra navetta spaziale. Solo grazie all'intervento di Teddy e degli altri robot costruttori al suo comando, che nel frattempo erano stati da noi mobilitati sulla superficie di Titano per allestire il nostro primo campo base, noi 12 esseri umani fummo in grado di metterci al riparo da quella che ci sembrò essere una vera e propria tormenta, rifugiandoci nuovamente all'interno del modulo abitativo della nostra nave spaziale in attesa che le condizioni climatiche migliorassero. Titano è la luna più grande del nostro sistema solare, dopo Ganimede la luna di Giove. Noi poveri terrestri eravamo distanti oltre un milione di chilometri dal nostro pianeta d'origine ed eravamo lì, come del resto altri nostri simili, per abitarvi in pianta stabile. Eravamo atterrati a pochi chilometri dal mare kraken, il mare più grande di Titano, più grande del mar Caspio, profondo oltre 300 metri. Titano era per mio figlio Michael, un appassionato chimico organico, un vero e proprio paradiso da esplorare. Titano era per Michael un laboratorio naturale ove poter studiare la base della vita.
- Padre, è meraviglioso!- disse Michael estasiato.
- Certo figlio mio; ne è valsa la pena lavorare per tutti questi anni alla costruzione della nostra nave spaziale? - chiesi a Michael. Egli mi rispose annuendo, con un sorriso a trentadue denti che si stagliava sulla sua bocca spalancata. Ci voleva poco e lo avrei perso. Michael non era più l'uomo che conoscevo, ma un bambino precipitato nel paese delle meraviglie. L'habitat di Titano era simile a un pianeta di tipo terrestre che avremmo potuto trovare in altri sistemi solari vicini al nostro, ovvero quelli orbitanti attorno a delle nane rosse, che hanno una zona abitabile molto stretta; i pianeti orbitanti attorno a queste stelle, fuori dalla fascia cosiddetta "riccioli d'oro", sarebbero stati molto simili a Titano. Era stato questo il motivo per cui ci eravamo spinti sin su Titano. Il nostro obiettivo era quello di lasciare il nostro sistema solare alla volta di sistemi solari in cui fosse stato per noi possibile prosperare e far prosperare la nostra progenie.  

mercoledì 5 ottobre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo sedici.

 


Sedici.


- Nonno, raccontami di quei giorni in cui fosti costretto a imbarcarti sulla navetta spaziale alla volta di Marte? - Mi chiese Eleonore, la secondogènito di mio figlio Michael.

- Eleonore, non è una bella storia!-

- E tu raccontamela lo stesso! - 

- Ehm, fammici pensare... ho rimosso gran parte dei miei ricordi. Sono trascorsi tanti anni ed io, come vedi, sono vecchio e stanco. -

- Ma che dici? - 

- Sì, Eleonore, sono vecchio. Però una cosa te la voglio raccontare. Ti racconto di quella volta in cui conobbi tua nonna. 

- Sì, dai! -

- La nonna era bellissima quel giorno che la vidi per la prima volta. Come sai era il comandante di una nave spaziale che trasportava gli esseri umani verso Marte. Di lei ricordo le sue linee sinuose e aggraziate, ma anche la postura: era fiera di sé! Era molto sicura di sé e teneva testa a tutti gli uomini che erano al suo comando. La divisa le stava a pennello, come se il sarto gliel'avesse cucita addosso. Io, appena la vidi, me ne innamorai subito. Ella, però, non si innamorò di me sin da subito. Dovetti penare molto prima che mi notasse e prima che ricambiasse tutto l'amore che io nutrivo per lei. Sai, Eleonore, ne abbiamo passate tante io e tua nonna. -

- Che cosa nonno? -

- Quando iniziò la nostra vita su Marte, non era la stessa vita che oggi noi conduciamo su questo pianeta. Tutto era una novità, una scoperta continua. Noi esseri umani, per esempio, non eravamo pronti ad abitare questo brullo pianeta, a differenza di quanto sostenevano gli scienziati del mio mondo quando mi costrinsero a lasciare la Terra. Ti ho già raccontato dei miei sfortunati compagni d'avventura; ti ho raccontato di loro e di come facemmo a sopravvivere e a raggiungere New Millenium. Ti ricordi  di New Millenium? -

- No, nonno. Ero troppo piccola per ricordarmelo; venne distrutta quando io avevo appena sei anni. Ricordo solo le esplosioni e le grida delle persone che mi circondavano; del sangue che sgorgava dai loro corpi martoriati. -

- Ti ricordi del nostro alloggio? -

- No! -

- Sai, io e la nonna andammo a vivere su New Millenium circa sei anni dopo il mio ammartaggio. Tuo padre è nato lì. Lui, sicuramente, si ricorderà di quanto fosse bello quel luogo. I robot costruttori avevano fatto davvero un ottimo lavoro. Sai, essi somigliavano, per molti aspetti, al nostro Teddy.-

- Sì? - 

- Sì! Teddy è la versione riveduta e corretta dei primi robot costruttori. -

- Davvero? -

- Teddy, spiegaglielo tu a mia nipote la differenza che intercorre fra te e i robot costruttori, tuoi simili.-

Teddy mi guardò torvo, mostrandosi infastidito da quella assonanza che il mio cervello aveva fatto allorquando lo aveva descritto molto simile ai robot costruttori. Si limitò a dire che, sostanzialmente, c'erano poche differenze fisiche. Che l'unica differenza fra quelle macchine e lui era che egli aveva preso coscienza di sé, sentendosi un individuo a tutti gli effetti; che gli altri avrebbero dovuto temerlo e che lo avrebbero dovuto rispettare come un essere senziente.

- Ma su, Teddy, non è il caso di infervorarsi. Capisci bene che mia nipote anela a conoscere il nostro passato e che, giovane qual è, ha sete di conoscenza.

- Si Joseph, ma non dire più che sono simile a un robot costruttore, perché mi offendo.

Dalla porta che chiudeva l'alloggio dove ci trovavamo si udirono dei rumori di passi di qualcuno che si stava avvicinando e che a breve sarebbe entrato. Così fu. Mio figlio ci salutò, asserendo che eravamo pronti al decollo. Sì, eravamo pronti a decollare alla volta di Titano, il satellite naturale più grande di Saturno. Un mondo in cui avremmo potuto costruire il nostro futuro.

- Okay, Michael. Dacci altri due minuti che completiamo il nostro ragionamento. -

- Va bene, padre. Tu, piccola, non fare stancare il nonno.-

Fece un segno di saluto a Teddy, che lo guardava, e Michael lasciò l'alloggio. Eleonore continuò a chiedermi del mio passato, ma io, con una scusa, non risposi più alle sue domande, preferendo recarmi d'urgenza sulla navetta spaziale che io avevo realizzato unitamente a mio figlio Michael e che ci avrebbe consentito, in pochi minuti, di raggiungere il nuovo mondo. Nuovo, si fa per dire. L'umanità, un consistente numero di individui, abitava Titano già da anni sfruttando appieno le sue risorse minerarie e la massiccia presenza di idrocarburi allo stato liquido sulla sua superficie. Ero così eccitato all'idea di lasciare Marte, dopo oltre sessant'anni, che mai avrei permesso a qualcuno di impedirmi di godermi quel momento.

- meno 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1, decollo! -

Mio figlio, dopo il suo conto alla rovescia, aveva tracciato la rotta verso Titano. L'atmosfera di Titano è composta al 95% da azoto; sono presenti inoltre componenti minori quali il metano e l' etano, che si addensano formando nuvole. La temperatura superficiale media è molto vicina al punto triplo del metano dove possono coesistere le forme liquida, solida e gassosa di questo idrocarburo. Viaggiavamo alla scoperta di un nuovo mondo. Per noi era l'inizio di una nuova vita, di una nuova avventura da vivere e condividere con tutti gli altri componenti il nostro stesso nucleo familiare. Ci eravamo imbarcati in 12 esseri umani su quella nuova navetta, unitamente a Teddy. Essa ci era costata anni di lavoro e di sudore. Non era, a differenza della navetta a bordo della quale giunsi su Marte, una scialuppa di salvataggio. Essa era dotata di tutti i confort necessari per raggiungere un altro pianeta, malgrado Titano fosse la luna di un gigante gassoso del nostro stesso sistema solare. Lì i robot costruttori, che avevamo imbarcato e che avevamo stivato, ci avrebbero aiutato a realizzare il nostro sogno: affrancarci da Marte.

Fuori dall'atmosfera di Marte il mio sguardo si posò sul pianeta Terra. Era ancora quel magnifico globo blu che avevo imparato a conoscere dalle foto presenti sui libri di scuola. Alcuni coloni di Marte, anni prima, avevano fatto rotta verso la Terra. Giunti sulla Terra, ritornata ad essere nuovamente abitabile per la nostra specie, notarono che la vita sul quel pianeta era continuata ad esistere in nostra assenza, modificandosi e adattandosi al nuovo habitat, al nuovo clima e alle nuove temperature superficiali. La Terra aveva fatto volentieri a meno di noi esseri umani; del resto non poteva che essere così. Noi eravamo solo una delle tante specie che vivevano su quel pianeta, benché fossimo la specie dominante. La spedizione marziana alla volta della Terra portò con sé anche taluni robot costruttori che avrebbero avviato il processo di costruzione di un nuovo insediamento umano. Scelsero la Groenlandia come luogo d'atterraggio, un'isola posta all'estremo nord dell'oceano Atlantico. Il suo nome danese, Grønland, che significava letteralmente "terra verde", la contraddistingueva ancora oggi come una porzione di mondo in cui la flora, verde e lussureggiante, regnava sovrana. Essendo la maggiore isola della Terra, lontana dai vecchi insediamenti umani, divenuti dei mondi morenti, era il posto ideale dove costruire una nuova casa, per un nuovo futuro dell'umanità.
Noi avevamo deciso di recarci su Titano, non perché fosse un posto migliore della Terra, ma perché su quella luna di Saturno, con le nostre conoscenze attuali, avremmo potuto realizzare altri artefatti umani che non sarebbe stato possibile realizzare sul nostro pianeta d'origine. E poi, in noi era forte il desiderio di viaggiare e di conoscere nuovi mondi, ove poter piantare il seme della vita, così come noi la conoscevamo, affinché l'umanità tutta potesse ancora prosperare per i prossimi secoli a venire.


sabato 17 settembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo quindici.

 


Quindici.

 

Sono seduto ormai da diverse ore intento ad osservare il panorama che si staglia davanti ai miei occhi; esso è magnificente ed io ho il privilegio di guardarlo dalla finestra della mia camera da letto, la quale si affaccia su Vasistas Borealis. Vasistas Borealis, il più vasto bassopiano di Marte, è l’area geografica di Marte posta a pochi chilometri dal suo polo nord. È estate. Le giornate trascorrono serene. Mio figlio Michael e i suoi figli sono indaffarati a terminare gli ultimi lavori edili e di ammodernamento della loro unità abitativa, da loro edificata nella regione marziana meglio nota come Utopia Planitia, posta a soli dieci chilometri dal luogo di atterraggio della sonda Viking 1. 

Io e mia moglie, momentaneamente, ci siamo trasferiti in quest’ultima unità abitativa, non molto dissimile dal primo campo base in cui vissi da giovane sul Pianeta rosso, in attesa che la famiglia si possa ricongiungere definitivamente. Con me e mia moglie è rimasto a darci compagnia l’ape Teddy, ormai giunta alla versione 10.1. Si è guadagnato, ormai da troppo tempo, a ragion veduta, il titolo di membro onorario del mio nucleo familiare. In quest’area geografica del pianeta ci trasferimmo per la prima volta circa venti anni addietro, per scampare alla distruzione di “New Millenium” che avvenne per mano dei coloni di stanza sul nostro satellite naturale: la Luna. Correva l’anno 2060 sul pianeta Terra, mentre per me erano da poco trascorsi venticinque anni dal giorno in cui posai per la prima volta i miei piedi sul suolo polveroso di Marte, quando un missile colpì la base marziana “New Millenium”, distruggendola. Quell’atto di guerra, ignobile, uccise più di novemila esseri umani, la cui unica colpa era stata quella di continuare a sopravvivere su questo desolato e brullo pianeta, in armonia. Il colonnello Mchunzi, leader militare della colonia marziana, aveva preparato i suoi uomini alla controffensiva, ma non vi riuscì tenuto conto che molti dei suoi militari erano deceduti sotto il fuoco nemico; 

la sua risposta all’attacco dei lunari fu impalpabile. Raggruppai i componenti il mio nucleo familiare, sopravvissuti miracolosamente all’attacco sferrato dal nemico, e, a bordo di una navetta spaziale da me costruita, trovammo rifugio, così come altri coloni, su questa immensa distesa di roccia, distante migliaia di chilometri dall’area del conflitto fratricida. Mia nuora e il più piccolo dei suoi figli, Lorenz, si erano diretti, momentaneamente, su Encelado, corpo celeste in cui avevano trovato rifugio i genitori di lei e i suoi fratelli, sopravvissuti all’attacco sferrato dall’armata lunare nel mese di dicembre dell’anno 2060. Il 18 maggio del 2061, con mia somma sorpresa, giacché mai avrei sperato che potesse accadermi una cosa del genere, fui incaricato dal generale Mchunzi, che nel frattempo si era arrogato il diritto di promuoversi al grado apicale della sua carriera, di costruire un’arma che potesse essere da questi utilizzata per sferrare un attacco contro gli uomini del generale Winchester, la cui unità operativa era da anni di stanza sulla Luna, luogo da cui era stato sferrato l’attacco da parte del nemico. Non ubbidii a quell’ordine datomi, preferendo fuggire, nottetempo, con i componenti il mio nucleo familiare in quell’area geografica marziana che ancor’oggi ci ospita. Sono stato bandito dai marziani e ritenuto un traditore dai lunari. Manca poco tempo e la navetta spaziale da me costruita sarà in grado di affrontare un viaggio a velocità superluminale. Ho intenzione di rifugiarmi su Titano, la luna più grande di Saturno, ove i robot costruttori da me ideati potranno erigere un habitat per il futuro mio e degli altri miei cari. Meglio essere stato un bandito che sapere di essermi macchiato le mani del sangue degli individui della mia stessa specie. Sono sereno, oggi, della scelta fatta a quel tempo. Il tempo mi ha dato ragione. L’IA e i robot, nell’inverno del 2070, dopo che avevano preso il sopravvento, riuscirono a disarmare sia gli uomini di Winchester che quelli del suo acerrimo nemico, Mchunzi, riportando la pace fra i popoli del cielo. Dieci anni era durato il conflitto. Dieci interminabili anni, nel corso dei quali io, mia moglie, mio figlio, sua moglie, e i miei nipoti, abbiamo continuato a sopravvivere su questo lembo di terra marziana, lontani dal conflitto che ci aveva quasi sterminato. “Mai più!” Questa era stata la decisione presa dall’IA e dai robot che ella fu in grado di costruire nel corso di questi ultimi anni. È grazie a loro che continuiamo a vivere in pace.

venerdì 16 settembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo quattordici.



Quattordici.


Quando costruii Teddy non avevo in mente di realizzare un robot dotato di coscienza, ma solo una macchina in grado di smontare la nostra navetta spaziale e aiutarmi nell'arduo compito di costruire, partendo da zero, un veicolo in grado di consentirci di spostarci agevolmente sul suolo di Marte e permetterci, nel più breve tempo possibile, di raggiungere "New Millenium". Ma Teddy si rivelò, sin da subito, qualcosa in più di una macchina. L'aver mescolato il software contenuto nell'hard drive del "Minotauro" e il software già installato sulla nave spaziale, che garantiva il perfetto funzionamento di tutti i sistemi di bordo, compresi quelli relativi alla navigazione nello spazio profondo, innescò un meccanismo che, ancora oggi, ho difficoltà a spiegare: accese, di fatto, la scintilla della vita!
Teddy, oltre ad essere un robot meccanico, ancorché privo dei tratti somatici che contraddistinguono l'essere umano, era un amico, un affabulatore che, a volte, mi idolatrava. Aveva conoscenze che io, benché avessi studiato negli anni con profitto, non avevo e mai sarei stato in grado di avere. Teddy era un brillante matematico, un arguto fisico, un chimico provetto, un operaio meccanico specializzato: era tutto quello che avrei voluto che egli avesse e qualcosa di più. Dovendo partire da una forma biologica a me nota decisi, il giorno in cui iniziai a progettarlo, di dargli la forma di un insetto, il più laborioso tra gli insetti a me noti: l'ape! Lo dotai di ali, del tutto simili a quelli che aveva "Ingenuity", il primo velivolo che si librò su Marte. L'ape Teddy aveva anche delle braccia e delle mani, ovvero delle pinze in grado di afferrare, manipolare, stringere, sino a non romperlo, qualsiasi oggetto che gli sarebbe capitato a tiro e che gli sarebbe servito per la costruzione del veicolo a quattro ruote che ci avrebbe dovuto trasportare. Era anche dotato di un flex, di un trapano, ovvero due utensili elettrici, oltre che di due occhi robotici che gli consentivano di interfacciarsi con il mondo che lo circondava. Avevo deciso di dargli una voce d'uomo, non perché fossi un misogino, ma perché volevo che avesse una voce autoritaria e decisa. Per consentirgli di librarsi in volo e poterci seguire dall'alto durante il nostro viaggio a bordo del rover marziano diretto verso "New Millenium", decisi di costruirlo in fibra di carbonio; ma ottenere la fibra di carbonio su Marte non era così semplice. Decisi, allora, di progettare Teddy in modo tale che alla sua nascita fosse stato in grado di ridurre gli atomi degli elementi presenti su Marte ai minimi termini e di fonderli tra di loro, in modo tale da ottenere il prodotto finale tanto agognato e del caso di auto assemblarsi in corso d'opera. Tra le caratteristiche della fibra di carbonio spiccavano, tra le altre, l'elevata resistenza meccanica, la bassa densità, la capacità di isolamento termico. Di contro, il materiale composito in fibre di carbonio sarebbe risultato non omogeneo e avrebbe presentato una spiccata anisotropia. Teddy prese vita, per davvero, ed era talmente vivace che i miei due compagni di avventura credettero che io avessi creato un "mostro", tali erano le sue abilità costruttive e tecnico-pratiche, e che fossi un mago che custodiva mille e più pozioni magiche. Ma di magico in me c'era ben poco. Se di magia si trattava non sono in grado di dirlo, ma oggi credo che Teddy fosse da ritenersi la creatura che si poneva all'apice di quella tecnologia che noi esseri umani avremmo potuto raggiungere lontani dalla Terra a quel tempo.

martedì 13 settembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo tredici.


 

Tredici.

Se c'è una cosa che ricordo spesso dei miei primi giorni trascorsi su Marte è quella afferente la nostra incapacità di trovare un accordo sul da farsi. Eppure eravamo stati addestrati, benché in poco tempo, a fare cerchio e a trovare la quadra per tutte quelle problematiche che si potevano riscontrare una volta giunti sul Pianeta rosso. Se poi ci aggiungevamo il nostro dolore per la perdita dei nostri giovani compagni di avventura, allora il problema si amplificava e lasciava poco spazio a qualunque margine di manovra e di trattativa fra di noi. Le nostre differenze culturali, fisiche, e quant'altro, ci avevano portati, in più di una circostanza, ad ignorarci; ciò era dovuto al fatto che preferivamo restare in silenzio e a isolarci dalla nostra realtà quotidiana, per dimenticare il nostro triste vissuto. Johannés preferiva allenarsi, raccogliere i frutti che ci donavano le colture idroponiche, scrivere il suo libro sulla nostra "disavventura", piuttosto che parlare con me e con Red; Red si dedicava anima e corpo alla sua ordinaria attività lavorativa, dedicandoci solo un po' del suo tempo prezioso ogni qualvolta fosse stato costretto a convincerci che era necessario che noi tutti ci sottoponessimo a quegli esami di laboratorio cosiddetti di routine, per la successiva analisi dei nostri parametri vitali. Io, per quanto mi riguarda, ricordo di essermi isolato dagli altri due astronauti per più di un anno: avevo i miei buoni motivi, d'altronde. Mi ero dedicato alla realizzazione del mio progetto, ovvero quello di costruire un robot in grado di smantellare la nostra navetta spaziale, recuperare i materiali e la tecnologia necessaria per la costruzione di un rover elettrico che ci consentisse di andare via, definitivamente, dal cunicolo lavico in cui nell'ultimo anno avevamo trovato ospitalità. Montavo, smontavo, collegavo, scollegavo, e poi rimontavo nuovamente centinaia di migliaia di volte la mia creatura che, nei primi giorni di vita, non voleva fare il suo dovere sino in fondo, facendomi disperare per la mia incapacità di realizzare qualcosa che funzionasse a dovere e che potesse consentirci di sloggiare da quel posto che ormai ci andava strettissimo. Un giorno pensai che la mia creatura non volesse funzionare a dovere solo perché ancora non gli avevo dato un nome; forse avevo ragione, forse no. Sta di fatto che solo dopo che lo battezzai "Teddy" il robot prese vita, riuscendo a relazionarsi sia con me che con gli altri due sopravvissuti. "Teddy fai questo", "Teddy fai come ti dico" e Teddy rispondeva ad ogni mio comando, alla velocità della luce. Teddy un giorno mi disse che fosse al nostro servizio per consentirci di sopravvivere ed io, sebbene consapevole che parlassi con una macchina, lo ringraziai calorosamente. Teddy impiegò meno di due mesi a smontare la navetta spaziale, a costruire una sorta di fonderia, a testare ogni qualsiasi voglia apparecchiatura elettronica che fosse idonea alla realizzazione della "quatto ruote" marziana a bordo della quale noi tre, un giorno, avremmo potuto lasciare quell'anfratto di roccia lavica che ci aveva ospitati sino a quel momento. Non lo sapevo ancora, ma Teddy, oltre ad essere il robot costruttore, era anche la prima cellula di quella IA che oggi governa Marte. Spero, un giorno, che il mio nome possa essere annoverato sui libri di scuola, ancorché digitali, come l'ingegnere che, inconsapevolmente, fu l'inventore dell'Intelligenza Artificiale che oggi domina gli umani e le cose presenti su questo desolato corpo celeste.

lunedì 12 settembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo dodici.

 

Dodici.

 Osservo le piante che crescono in serra quasi estasiato. Non mi balenò mai in mente, quando mi trovavo sulla Terra, che un giorno sarei potuto diventare un agricoltore; di agricoltori nel mio Stato, il Maine, ve n’erano pochi. I miei avi, originari di Portland, erano stati dei pescatori. A pochi metri di distanza da me Johannés cercava di raccogliere i frutti del nostro raccolto: dei pomodori. Li raccoglieva con molta cura, uno per uno, con tanta grazia, quasi a volerne catturare l’energia contenuta all’interno degli atomi di cui essi erano composti. Ella si accorse che io la guardavo con molta attenzione ed insistenza e, rivolto il suo sguardo verso di me, mi sorrise teneramente. Era proprio una bella donna Johannés. A volte io pensavo a lei in un modo che a lei non sarebbe piaciuto. Era alta e alquanto formosa la mia giovane amica Johannés. Era in gamba, il nostro ingegnere civile, per davvero! Red in quel momento era affaccendato ad esaminare il nostro stato psicofisico, leggendo il risultato degli esami clinici a cui egli ci aveva costretto  a sottoporci qualche giorno addietro: voleva conoscere il nostro stato di salute con impazienza, ci aveva detto. I mesi trascorrevano inesorabilmente. Marte era sempre pronto ad ucciderci alla prima favorevole occasione, ma noi tre sopravvissuti avevamo fatto un patto di alleanza: riuscire a vivere il più a lungo possibile, in modo tale da raggiungere la stazione marziana “New Millenium”, quanto prima. Il nostro primo Capodanno su Marte me lo ricordo ancora adesso. Brindammo con succo di pomodoro; il succo non aveva le bollicine dello spumante, ma nel complesso era molto buono. Johannés era stata davvero brava a realizzarlo per noi.  Eravamo sereni e felici di essere riusciti nel nostro intento: sopravvivere!

-       -  Joseph, vieni qui un momento! – Esclamò Red.

-       - Che cosa c’è? – Gli chiesi io un po’ timoroso, consapevole del fatto che il mio stato di salute non eccellesse.

-        -  I tuoi valori non mi piacciono per niente!-

-       -  Perché qual è il problema?-


Red cominciò ad elencarmi una decina di valori risultati dal mio prelievo ematico che erano fuori scala. Il ferro era basso e altri miei parametri vitali gli avevano fatto sorgere il dubbio che io non mangiassi a sufficienza.

-         - Ma se non mangi quasi nulla! – Disse Johannés.

-         - Ma che dici, amica mia, non è vero!-

-       - Senti Joseph, il problema non è perché non ti nutri a sufficienza, ma perché sei l’unico di noi sopravvissuti in grado di condurci, forte delle tue conoscenze ingegneristiche, a “New Millenium”; devi mangiare non solo per te stesso ma anche per la nostra sopravvivenza.

-      - Non temete, che appena mi rimetterò in forma la prima cosa che farò è di costruire un robot in grado di assemblare un mezzo meccanico che ci consenta di viaggiare agevolmente sulla superficie polverosa di Marte alla volta della stazione marziana.- 

Dissi ai miei giovani amici, mentendo; ero consapevole che avrei impiegato tantissimo tempo a costruire qualcosa che potesse funzionare e che potesse consentirci il trasferimento dal nostro campo base a “New Millenium”. Alla fine ci impiegai quasi un anno a costruire il robot che fosse stato in grado, a sua volta, di costruire una macchina in grado di trasportarci e farci arrivare a “New Millenium”. Costruire una struttura solida con gli elementi di cui disponevamo non era stato facile. Il robot, pur tuttavia, fu in grado di assemblare un rover, dall’aspetto bizzarro, sfruttando le parti meccaniche ancora integre della nostra navetta spaziale. Il robot costruttore, il prototipo di quelli che oggi scorrazzano sulla superficie di Marte assemblando tutte le strutture che costituiscono oggi la nostra base, sventrò, letteralmente, la navetta spaziale estraendo da essa l’alluminio necessario per la costruzione dello chassis del nuovo rover, oltre che tutta la componentistica elettronica necessaria per la “navigazione” sul Pianeta rosso. La costruzione delle quattro ruote motrici fu davvero un’impresa titanica. Non so come abbia fatto, ma alla fine il robot vi riuscì. Partendo dalla chimica di base presente su Marte, il robot costruttore riuscì a realizzare, in una specie di fonderia distante dal campo base oltre 100 metri, una struttura molecolare che aveva paritetiche caratteristiche della gomma utilizzata dai terrestri per la realizzazione delle ruote dei rover che avrebbero dovuto solcare il terreno polveroso di Marte. Il software di controllo e gestione era quello che era già stato installato nel drive del “Minotauro”, il quale divenne parte integrante della nuova creatura, una sorta di nuovo "perseverance". Ancora oggi se penso a quel risultato ottenuto in modo provvidenziale, mi viene ancora da piangere. Non piango per rispetto dei miei nipoti e degli altri componenti il mio nucleo familiare, i quali si potrebbero preoccupare per me vedendomi piangere. Ora spengo il computer. Vado a riposare un po’. Scusatemi, ma sono stanco. Un abbraccio, Joseph.

venerdì 9 settembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo undici.


 

 Undici.

 

Gli esseri umani non sono nati per trascorrere tanto tempo nello spazio profondo; essi, infatti, quali entità biologica a base di carbonio, non tollerano di buon grado le radiazioni che scaturiscono dalle esplosioni stellari, oppure di tipo galattico o intergalattico, fra cui i raggi gamma e raggi-X: i cosiddetti raggi cosmici che, in maniera silente, possono bombardare sino a distruggerle le cellule di cui si compone il loro organismo. Gli scienziati terrestri, in virtù di ciò, inventarono nei primi anni Venti del nuovo Millennio una tuta spaziale in grado di consentire al nostro organismo di viaggiare fra le stelle senza colpo ferire. Questa piccola invenzione, ma grande dal punto di vista tecnologico, ci consentì di raggiungere il pianeta Marte senza che i nostri organi interni venissero danneggiati. Questa invenzione ci permise durante il nostro lungo viaggio fra le stelle alla volta di Marte di non sviluppare il cancro. Nell'arco degli otto mesi del lungo viaggio che avremmo dovuto affrontare oltre le fasce di Van Allen, quindi, malgrado non avessimo il campo magnetico terrestre a proteggerci, non avremmo dovuto temere di sviluppare alcun tumore nelle nostre cellule. I raggi cosmici sono fatti per lo più di protoni liberi, ma si possono trovare nuclei atomici di elementi di varia natura, con tracce di antimateria. Le loro energie spaziano dalle centinaia di MeV alle centinaia di miliardi di GeV: essi sono, perciò, estremamente variegate. Gli scienziati, oltre alla realizzazione delle  tute di cui fummo equipaggiati, ci protessero schermando il nostro "catafalco cosmico" usando materiale idrogenato, ovvero degli schermi attivi per attutire le radiazioni ionizzanti. Io, pur tuttavia e malgrado tutte le precauzioni adottate dagli scienziati terrestri, mi ammalai di tumore al colon-retto quando mi accingevo a festeggiare i miei primi sessant'anni di vita. Grazie alla IA e ai robot chirurghi, alle terapie mediche a cui venni sottoposto all'interno della stazione marziana "New Millenium", sconfissi il cancro prima che le mie cellule si ammalassero definitivamente. Il tumore del colon-retto rappresentava il 10 per cento di tutti i tumori diagnosticati nel mondo, ed era terzo per incidenza dopo il cancro del seno femminile e del polmone. Io fui il primo umano sopravvissuto su Marte che ebbe la sfortuna di contrarre tale tipologia di tumore. Fortunatamente per me all'epoca dei fatti su Marte la IA e i robot erano in grado di sconfiggere questo male in tempi celeri: ma questa è una storia che non mi va di raccontare; preferisco raccontare ai posteri quello che fummo in grado di realizzare noi piccoli esseri umani su Marte, la nostra nuova "casa". Erano da poco trascorsi sessanta giorni dal nostro ammartaggio, quando riuscimmo a realizzare la nostra prima serra idroponica all'interno del cunicolo lavico in cui avevamo allestito il nostro angusto campo base. La serra da noi realizzata era il frutto di anni di studi condotti dai ricercatori dell'Università dell'Arizona, anni prima di imbarcarci all'interno della nostra navetta spaziale. La serra ci consentì oltre che di sfamarci, anche di produrre, in quantità sufficiente, ossigeno per respirare. La serra produceva l'ossigeno per il nostro fabbisogno giornaliero e noi astronauti, in cambio, gli consegnavamo l'anidride carbonica prodotta dalla nostra respirazione. Si trattava di un piccolo sistema biologico di supporto vitale auto-rigenerante ed era il risultato dell'impegno profuso da quegli scienziati che anni prima vennero incaricati dalla Nasa di sviluppare tale tecnologia per le future esplorazioni umane di Marte. La serra era stata da noi realizzata con tubi leggeri e pieghevoli che misuravano 5,5 metri di lunghezza per 2 metri di diametro. La serra era lunga 30 metri e sarebbe stata in grado di garantirci la nostra sopravvivenza sul Pianeta rosso per anni. Il sistema era stato progettato in origine per auto-assemblarsi in modo autonomo in modo da precedere di qualche mese l'arrivo degli astronauti su Marte, così da accoglierli con piante già cresciute e sfruttabili. La serra ricreava una sorta di versione idroponica in miniatura dei sistemi terrestri che consentivano la vita. Era per noi un vero portento! Sono stanco, scusate, ma vado a letto. Non riesco più a scrivere per oggi. Abbiate pazienza, vi racconterò il resto della storia fra qualche giorno. Un abbraccio, Joseph.

mercoledì 24 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo dieci.


Dieci.


- Clif, stai attento, per carità di Dio!- Questa è la frase che ricordo di aver esclamato, a squarcia gola, il giorno in cui ci accingemmo, per la prima volta, a calare la strumentazione in nostro possesso e che ci avrebbe consentito di allestire il primo campo base all'interno del cunicolo lavico rinvenuto a pochi metri dall'area di ammartaggio della nostra navetta spaziale. 
Clif, il più piccolo della spedizione umana e che da poco aveva compiuto 23 anni, poveretto, il giorno in cui uscimmo dalla navetta spaziale venne colpito violentemente e in pieno volto dal gancio fissato sul verricello della gru del "Minotauro", nel corso della tormenta di polvere marziana che investì noi sopravvissuti nei pressi della bocca di accesso del cunicolo lavico marziano. Pochi e interminabili secondi di terrore in cui vedemmo il nostro amico morire sotto i nostri occhi con il cranio fracassato. Le nostre energie vitali, già di per sé impercettibili, si esaurirono definitivamente. 

Uno scoramento profondo ci rese, per parecchie ore, inabili ad eseguire qualsiasi voglia operazione tecnico - pratica. Clif era il settimo astronauta deceduto della nostra sciagurata spedizione umana sul Pianeta rosso. Lasciammo Clif esanime e in balia della tormenta di polvere sul suolo polveroso di Marte per circa tre giorni. 

Noi, fortunatamente, dopo circa mezz'ora eravamo riusciti a trovare rifugio all'interno del modulo abitativo gonfiabile che avevamo fatto "esplodere" una volta che era stato calato all'interno del cunicolo lavico. Il terzo giorno ci facemmo coraggio per recuperare i resti mortali del nostro giovane amico, così da dargli una degna sepoltura all'interno della stessa fossa comune in cui avevamo già riposto gli altri sei cadaveri. 

Sul tumulo di terra della fossa comune da noi realizzata posammo delle pietre, a formare una colonna, una stele, che ricordava quella della cultura dei popoli primitivi allorquando essi allestivano, sul tumulo di terra che ricopriva i sepolcri, una stele funeraria a perenne ricordo del lutto che li colpì; poi, ciascuno di noi raccolse dall'interno della navetta spaziale un oggetto appartenuto in vita ai nostri giovani amici deceduti che conficcammo sulla sabbia marziana, così violentemente che lì sarebbero rimasti per centinaia di anni, a futura memoria che lì giacevano le spoglie mortali di sette eroi terrestri che avevano sfidato le avversità dello spazio profondo per giungere su questa landa desolata e inospitale alla vita, ove poter sopravvivere all'estinzione della nostra specie. Della nostra spedizione umana su Marte eravamo rimasti solo in tre sopravvissuti: io, Johannés, Red. 

A quel punto, questi fortunati sopravvissuti avevano spazio a sufficienza per vivere nel modulo abitativo e generi alimentari da condividere per gli anni a venire, oltre che le colture che essi avrebbero potuto ricavare dalla serra che da lì a poco allestirono. Dopo il saluto di commiato ai nostri sette eroi caduti, ci ritirammo all'interno del modulo abitativo e, in particolare, all'interno del dormitorio affinché potessimo recuperare le forze e l'energia psicofisica di cui ciascuno di noi aveva di bisogno per vivere su Marte. Erano trascorsi quasi due settimane dal nostro ammartaggio e le condizioni climatiche non erano tra le migliori che avremmo potuto trovare su quel pianeta. 

La tempesta di sabbia che causò la morte di Clif era di dimensioni globali, che capitava circa ogni tre anni marziani, ovvero cinque anni e mezzo terrestri. Una tempesta di minuscole particelle di polvere inghiottì gran parte di Marte. La foschia bloccava la luce del Sole, privandoci della sua energia vitale, motivo per cui fummo costretti ad attivare e poi interrare l'RTG, così da avere l'energia sufficiente che ci avrebbe consentito di continuare a vivere. 

Le tempeste di sabbia sono infatti molto frequenti su Marte, in particolar modo durante i mesi primaverili ed estivi nell'emisfero meridionale; di solito durano un paio di giorni e interessano porzioni delle dimensioni degli Stati Uniti. Le tempeste globali invece sono eventi più rari, imprevedibili e a volte possono durare anche mesi interi. La tempesta di sabbia che ci colpì durò tre mesi, non consentendoci di fare degli EVA (Extra-vehicular activity) e costringendoci a rimanere all'interno dell'unità abitativa ove, tormentati dal nostro dolore per aver perduto tanti giovani amici, riuscimmo a recuperare le forze per affrontare il "gigante" chiamato Marte.

lunedì 22 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo nove.


Nove.

 

L’uomo non è fatto per vivere su Marte. Per vivere sul Pianeta rosso, alla stessa stregua di quando vivevamo sulla Terra, noi quattro avremmo dovuto trasformare tutta l'anidride carbonica presente su questo corpo celeste, ossia il 95,32% dell'atmosfera, in ossigeno: impossibile!

Al dire degli scienziati, prima della nostra partenza alla volta di Marte, l’unica soluzione sarebbe stata, in linea teorica, quella di Terraformare (in soldoni “rendere terrestre”) Marte, introducendo delle colture, ovvero taluni vegetali, che avremmo dovuto far crescere sul pianeta mediante il processo della sintesi clorofilliana; ma questa non era la cosa più ovvia da fare, avuto riguardo che Marte è circa il 70% delle dimensioni della Terra. E poi, una cosa ovvia e non meno scontata era quella che l'atmosfera terrestre, sino al giorno prima che noi partissimo alla volta di quel puntino rosso che di notte scrutavamo nel cielo, era composta dal 78% da azoto; quella che abbiamo oggi su Marte è prevalentemente composta da CO2. Condurre una vita sul Pianeta rosso con le stesse modalità di quelle sino ad allora vissute sulla Terra, quindi, sarebbe stato per noi quattro impossibile: le radiazioni che il nostro organismo avrebbe dovuto assorbire, allestendo il nostro campo base di fortuna sulla superficie marziana, sarebbero state talmente elevate che, nel giro di pochi mesi, ci avrebbero condotto a morte certa.

L'unico modo possibile di vivere su quella landa desolata e inadeguata alla vita era quello di stare al riparo dalle polveri radioattive, ovvero vivere nel sottosuolo di Marte, il più possibile al riparo. Così facemmo. Il campo base che realizzammo era particolarmente angusto, uno spazio piccolo riservato a quattro persone, ove ci saremmo dovuti impegnare a fondo per far sì che tutti andassero d’accordo. La struttura era composta di due piani: il primo era riservato ad attività di laboratorio biologico e aveva una stanza per la preparazione alle attività esterne, al secondo piano c’era il dormitorio.

Il modulo abitativo e di laboratorio era stato compresso all’interno della navetta spaziale all’inverosimile. Una volta che la struttura venne da noi adagiata sulla superficie del cunicolo lavico, fu un gioco da ragazzi quello di farla “esplodere” e di farlo divenire la nostra futura unità abitativa. Detta struttura, infatti, era stata concepita per espandersi e auto allinearsi a comando: un pulsante rosso indicava agli astronauti che pigiandolo ci avrebbe consentito di rendere il modulo fruibile, giacché si sarebbe gonfiato nel giro di pochi minuti; ci impiegò mezz’ora, di fatto, ma alla fine era divenuto davvero un’unità abitabile, così come recitava il manuale d’istruzione.

Qualche giorno dopo realizzammo la struttura per l’allestimento della nostra futura serra, grazie al robot trasportatore che, nell’occasione, era stato da noi predisposto per divenire una stampante in 3D avente un braccio meccanico lungo 2 metri.

La struttura da noi creata riprendeva nella forma e nella tipologia autoportante, elementi terrestri come la Tholos e i Trulli; per il materiale d’impiego per la stampa fu utilizzata la stessa regolite presente sulla superficie, che veniva estratta dall’area e processata nel Bee Processor all’interno del quale veniva miscelata con dei solventi e con un legante di origine organica, il PLGA. Il materiale così ottenuto e ribattezzato cemento marziano, passava poi nel 3D Printer che avrebbe proceduto con la stampa per layers.

Questi elementi sarebbero risultati lisci all’intradosso interno, modellati invece esternamente, per consentirne l’autombreggiamento e permettere l’accumulo di polveri, al fine di avere un guadagno in termini di inspessimento dello spessore murario. Per il sistema verde, nonostante su Marte le caratteristiche climatiche siano avverse alla crescita di specie vegetali, ben 2 erano i sistemi del verde pensati per superare le condizioni di ambiente estremo.

Di questi, uno era rivolto alla generazione di risorse, dunque alla produzione di cibo ed era posizionato intorno al cuore centrale ed illuminato da green lights; l’altro invece era costituito da un giardino virtuale ed era volto a garantire la salute sociale degli astronauti. Entrambi facevano riferimento ad una fase di espansione successiva in cui l’insediamento umano fosse ormai cresciuto divenendo una colonia.

Un cunicolo, da noi creato ad hoc, collegava, infine, la serra al modulo abitativo e di laboratorio.

Avevamo colonizzato Marte.


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