Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

  • A proposito degli alieni....

    Il saggio dal titolo "A proposito degli alieni....", di Francesco Toscano e Enrico Messina

    Sinossi: Fin dalla preistoria ci sono tracce evidenti del passaggio e dell’incontro tra esseri extraterrestri ed esseri umani. Da quando l’uomo è sulla Terra, per tutto il suo percorso evolutivo, passando dalle prime grandi civiltà, all’era moderna, sino ai giorni nostri, è stato sempre accompagnato da una presenza aliena. Lo dicono i fatti: nei reperti archeologici, nelle incisioni sulle rocce (sin qui rinvenute), nelle sculture, nei dipinti, in ciò che rimane degli antichi testi, sino ad arrivare alle prime foto e filmati oltre alle innumerevoli prove che oggi con le moderne tecnologie si raccolgono. Gli alieni ci sono sempre stati, forse già prima della comparsa del genere umano, e forse sono loro che ci hanno creato.

  • Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.

    Il saggio dal titolo "Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Milioni di persone in tutto il mondo credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E se fosse vero? Questo libro nasce proprio per questo motivo, cercare di dare una risposta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, al quesito anzidetto. L`archeologia spaziale, o archeologia misteriosa, è definibile come la ricerca delle tracce, sotto forma di particolari reperti archeologici o delle testimonianze tramandate nel corso dei millenni, di presunti sbarchi sulla Terra di visitatori extraterrestri avvenuti all’alba della nostra civiltà.

  • Condannato senza possibilità d'appello

    Il romanzo breve dal titolo "Condannato senza possibilità d'appello.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Le concezioni primitive intorno all`anima sono concordi nel considerare questa come indipendente nella sua esistenza dal corpo. Dopo la morte, sia che l`anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d`animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica, seguirà sempre il volere di Dio; cioè il volere dell’Eterno di consentire alle anime, da lui generate e create, di trascendere la vita materiale e innalzarsi ad un piano più alto dell’esistenza, imparando, pian piano, a comprendere il divino e tutto ciò che è ad esso riconducibile.

  • L'infanzia violata, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano

    Sinossi: Dovrebbero andare a scuola, giocare, fantasticare, cantare, essere allegri e vivere un'infanzia felice. Invece, almeno 300 milioni di bambini nel mondo sono costretti a lavorare e spesso a prostituirsi, a subire violenze a fare la guerra. E tutto ciò in aperta violazione delle leggi, dei regolamenti, delle convenzioni internazionali sui diritti dell'infanzia. La turpe problematica non è lontana dalla vostra quotidianità: è vicina al luogo in cui vivete, lavorate, crescete i vostri bambini. Ad ogni angolo dei quartieri delle città, dei paesi d'Italia, è possibile trovare un'infanzia rubata, un'infanzia violata.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei "ru viddrani", Don Ciccio, "u pastranu", capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un'acredine che amplifica l'entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea Romanescu, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il fantasy dal titolo "E un giorno mi svegliai", di Francesco Toscano

    Sinossi: "E un giorno mi svegliai" è un fantasy. Il personaggio principale del libro, Salvatore Cuzzuperi, è un impiegato residente nella provincia di Palermo che rimane vittima di un'esperienza di abduction. Il Cuzzuperi vivrà l'esperienza paranormale del suo rapimento da parte degli alieni lontano anni luce dal pianeta Terra e si troverà coinvolto nell'aspra e millenaria lotta tra gli Anunnaki, i Malachim loro sudditi, e i Rettiliani, degli alieni aventi la forma fisica di una lucertola evoluta. I Rettiliani, scoprirà il Cuzzuperi, cercano di impossessarsi degli esseri umani perché dotati di Anima, questa forma di energia ancestrale e divina, riconducibile al Dio Creatore dell'Universo, in grado di ridare la vita ad alcune specie aliene dotate di un Dna simile a quello dell'uomo, fra cui gli stessi Rettiliani e gli Anunnaki. Il Cuzzuperi perderà pian piano la sua umanità divenendo un Igigi ammesso a cibarsi delle conoscenze degli "antichi dèi", ed infine, accolto come un nuovo membro della "fratellanza cosmica".

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei “ru viddrani”, Don Ciccio, “ù pastranu”, capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un’acredine che amplifica l’entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea ROMANESCU, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • Naufraghi nello spazio profondo, di Francesco Toscano

    Il romanzo di fantascienza dal titolo "Naufraghi nello spazio profondo ", di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza.

  • Malacarne, di Francesco Toscano

    Libro/E-book: Malacarne, di Francesco Toscano

    Sinossi: Nella primavera dell'anno 2021 a Palermo, quando la pandemia dovuta al diffondersi del virus denominato Covid-19 sembrerebbe essere stata sconfitta dalla scienza, malgrado i milioni di morti causati in tutto il mondo, un giovane, cresciuto ai margini della società, intraneo alla famiglia mafiosa di Palermo - Borgo Vecchio, decide, malgrado il suo solenne giuramento di fedeltà a Cosa Nostra, di vuotare il sacco e di pentirsi dei crimini commessi, così da consentire alla magistratura inquirente di assicurare alla giustizia oltre sessanta tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria Gesù. Mentre Francesco Salvatore Magrì, inteso Turiddu, decide di collaborare con la Giustizia, ormai stanco della sua miserevole vita, qualcun altro dall'altra parte della Sicilia, che da anni ha votato la sua vita alla Legalità e alla Giustizia, a costo di sacrificare sé stesso e gli affetti più cari, si organizza e profonde il massimo dell'impegno affinché lo Stato, a cui ha giurato fedeltà perenne, possa continuare a regnare sovrano e i cittadini possano vivere liberi dalle prevaricazioni mafiose. Così, in un turbinio di emozioni e di passioni si intrecciano le vite di numerosi criminali, dei veri e propri Malacarne, e quella dei Carabinieri del Reparto Operativo dei Comandi Provinciali di Palermo e Reggio di Calabria che, da tanti anni ormai, cercano di disarticolare le compagini mafiose operanti in quei territori. Una storia umana quella di Turiddu Magrì che ha dell'incredibile: prima rapinatore, poi barbone e mendicante, e infine, dopo essere stato "punciutu" e affiliato a Cosa Nostra palermitana, il grimaldello nelle mani della Procura della Repubblica di Palermo grazie al quale potere scardinare gran parte di quell'organizzazione criminale in cui il giovane aveva sin a quel momento vissuto e operato.

  • NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA , di Francesco Toscano

    Libro/E-book: NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA,di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza. Nel giro di pochi anni, pur tuttavia, a differenza di quanto auspicatosi dagli scienziati che avevano ideato e progettato la missione Marte, l’ingegnere MIGLIORINI e la sua progenie sarebbero rimasti coinvolti in un’aspra e decennale guerra combattuta da alcuni coloni di stanza sul pianeta Marte e da altri di stanza sulla superficie polverosa della nostra Luna, per l’approvvigionamento delle ultime materie prime sino ad allora rimaste, oltre che per l’accaparramento del combustibile, costituito da materia esotica e non più fossile, di cui si alimentavano i motori per viaggi a velocità superluminale delle loro superbe astronavi; ciò al fine di ridurre le distanze siderali dello spazio profondo e al fine di generare la contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali, che avrebbero consentito loro di percorrere le enormi distanze interstellari in un batter di ciglia...






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mercoledì 24 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo dieci.


Dieci.


- Clif, stai attento, per carità di Dio!- Questa è la frase che ricordo di aver esclamato, a squarcia gola, il giorno in cui ci accingemmo, per la prima volta, a calare la strumentazione in nostro possesso e che ci avrebbe consentito di allestire il primo campo base all'interno del cunicolo lavico rinvenuto a pochi metri dall'area di ammartaggio della nostra navetta spaziale. 
Clif, il più piccolo della spedizione umana e che da poco aveva compiuto 23 anni, poveretto, il giorno in cui uscimmo dalla navetta spaziale venne colpito violentemente e in pieno volto dal gancio fissato sul verricello della gru del "Minotauro", nel corso della tormenta di polvere marziana che investì noi sopravvissuti nei pressi della bocca di accesso del cunicolo lavico marziano. Pochi e interminabili secondi di terrore in cui vedemmo il nostro amico morire sotto i nostri occhi con il cranio fracassato. Le nostre energie vitali, già di per sé impercettibili, si esaurirono definitivamente. 

Uno scoramento profondo ci rese, per parecchie ore, inabili ad eseguire qualsiasi voglia operazione tecnico - pratica. Clif era il settimo astronauta deceduto della nostra sciagurata spedizione umana sul Pianeta rosso. Lasciammo Clif esanime e in balia della tormenta di polvere sul suolo polveroso di Marte per circa tre giorni. 

Noi, fortunatamente, dopo circa mezz'ora eravamo riusciti a trovare rifugio all'interno del modulo abitativo gonfiabile che avevamo fatto "esplodere" una volta che era stato calato all'interno del cunicolo lavico. Il terzo giorno ci facemmo coraggio per recuperare i resti mortali del nostro giovane amico, così da dargli una degna sepoltura all'interno della stessa fossa comune in cui avevamo già riposto gli altri sei cadaveri. 

Sul tumulo di terra della fossa comune da noi realizzata posammo delle pietre, a formare una colonna, una stele, che ricordava quella della cultura dei popoli primitivi allorquando essi allestivano, sul tumulo di terra che ricopriva i sepolcri, una stele funeraria a perenne ricordo del lutto che li colpì; poi, ciascuno di noi raccolse dall'interno della navetta spaziale un oggetto appartenuto in vita ai nostri giovani amici deceduti che conficcammo sulla sabbia marziana, così violentemente che lì sarebbero rimasti per centinaia di anni, a futura memoria che lì giacevano le spoglie mortali di sette eroi terrestri che avevano sfidato le avversità dello spazio profondo per giungere su questa landa desolata e inospitale alla vita, ove poter sopravvivere all'estinzione della nostra specie. Della nostra spedizione umana su Marte eravamo rimasti solo in tre sopravvissuti: io, Johannés, Red. 

A quel punto, questi fortunati sopravvissuti avevano spazio a sufficienza per vivere nel modulo abitativo e generi alimentari da condividere per gli anni a venire, oltre che le colture che essi avrebbero potuto ricavare dalla serra che da lì a poco allestirono. Dopo il saluto di commiato ai nostri sette eroi caduti, ci ritirammo all'interno del modulo abitativo e, in particolare, all'interno del dormitorio affinché potessimo recuperare le forze e l'energia psicofisica di cui ciascuno di noi aveva di bisogno per vivere su Marte. Erano trascorsi quasi due settimane dal nostro ammartaggio e le condizioni climatiche non erano tra le migliori che avremmo potuto trovare su quel pianeta. 

La tempesta di sabbia che causò la morte di Clif era di dimensioni globali, che capitava circa ogni tre anni marziani, ovvero cinque anni e mezzo terrestri. Una tempesta di minuscole particelle di polvere inghiottì gran parte di Marte. La foschia bloccava la luce del Sole, privandoci della sua energia vitale, motivo per cui fummo costretti ad attivare e poi interrare l'RTG, così da avere l'energia sufficiente che ci avrebbe consentito di continuare a vivere. 

Le tempeste di sabbia sono infatti molto frequenti su Marte, in particolar modo durante i mesi primaverili ed estivi nell'emisfero meridionale; di solito durano un paio di giorni e interessano porzioni delle dimensioni degli Stati Uniti. Le tempeste globali invece sono eventi più rari, imprevedibili e a volte possono durare anche mesi interi. La tempesta di sabbia che ci colpì durò tre mesi, non consentendoci di fare degli EVA (Extra-vehicular activity) e costringendoci a rimanere all'interno dell'unità abitativa ove, tormentati dal nostro dolore per aver perduto tanti giovani amici, riuscimmo a recuperare le forze per affrontare il "gigante" chiamato Marte.

lunedì 22 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo nove.


Nove.

 

L’uomo non è fatto per vivere su Marte. Per vivere sul Pianeta rosso, alla stessa stregua di quando vivevamo sulla Terra, noi quattro avremmo dovuto trasformare tutta l'anidride carbonica presente su questo corpo celeste, ossia il 95,32% dell'atmosfera, in ossigeno: impossibile!

Al dire degli scienziati, prima della nostra partenza alla volta di Marte, l’unica soluzione sarebbe stata, in linea teorica, quella di Terraformare (in soldoni “rendere terrestre”) Marte, introducendo delle colture, ovvero taluni vegetali, che avremmo dovuto far crescere sul pianeta mediante il processo della sintesi clorofilliana; ma questa non era la cosa più ovvia da fare, avuto riguardo che Marte è circa il 70% delle dimensioni della Terra. E poi, una cosa ovvia e non meno scontata era quella che l'atmosfera terrestre, sino al giorno prima che noi partissimo alla volta di quel puntino rosso che di notte scrutavamo nel cielo, era composta dal 78% da azoto; quella che abbiamo oggi su Marte è prevalentemente composta da CO2. Condurre una vita sul Pianeta rosso con le stesse modalità di quelle sino ad allora vissute sulla Terra, quindi, sarebbe stato per noi quattro impossibile: le radiazioni che il nostro organismo avrebbe dovuto assorbire, allestendo il nostro campo base di fortuna sulla superficie marziana, sarebbero state talmente elevate che, nel giro di pochi mesi, ci avrebbero condotto a morte certa.

L'unico modo possibile di vivere su quella landa desolata e inadeguata alla vita era quello di stare al riparo dalle polveri radioattive, ovvero vivere nel sottosuolo di Marte, il più possibile al riparo. Così facemmo. Il campo base che realizzammo era particolarmente angusto, uno spazio piccolo riservato a quattro persone, ove ci saremmo dovuti impegnare a fondo per far sì che tutti andassero d’accordo. La struttura era composta di due piani: il primo era riservato ad attività di laboratorio biologico e aveva una stanza per la preparazione alle attività esterne, al secondo piano c’era il dormitorio.

Il modulo abitativo e di laboratorio era stato compresso all’interno della navetta spaziale all’inverosimile. Una volta che la struttura venne da noi adagiata sulla superficie del cunicolo lavico, fu un gioco da ragazzi quello di farla “esplodere” e di farlo divenire la nostra futura unità abitativa. Detta struttura, infatti, era stata concepita per espandersi e auto allinearsi a comando: un pulsante rosso indicava agli astronauti che pigiandolo ci avrebbe consentito di rendere il modulo fruibile, giacché si sarebbe gonfiato nel giro di pochi minuti; ci impiegò mezz’ora, di fatto, ma alla fine era divenuto davvero un’unità abitabile, così come recitava il manuale d’istruzione.

Qualche giorno dopo realizzammo la struttura per l’allestimento della nostra futura serra, grazie al robot trasportatore che, nell’occasione, era stato da noi predisposto per divenire una stampante in 3D avente un braccio meccanico lungo 2 metri.

La struttura da noi creata riprendeva nella forma e nella tipologia autoportante, elementi terrestri come la Tholos e i Trulli; per il materiale d’impiego per la stampa fu utilizzata la stessa regolite presente sulla superficie, che veniva estratta dall’area e processata nel Bee Processor all’interno del quale veniva miscelata con dei solventi e con un legante di origine organica, il PLGA. Il materiale così ottenuto e ribattezzato cemento marziano, passava poi nel 3D Printer che avrebbe proceduto con la stampa per layers.

Questi elementi sarebbero risultati lisci all’intradosso interno, modellati invece esternamente, per consentirne l’autombreggiamento e permettere l’accumulo di polveri, al fine di avere un guadagno in termini di inspessimento dello spessore murario. Per il sistema verde, nonostante su Marte le caratteristiche climatiche siano avverse alla crescita di specie vegetali, ben 2 erano i sistemi del verde pensati per superare le condizioni di ambiente estremo.

Di questi, uno era rivolto alla generazione di risorse, dunque alla produzione di cibo ed era posizionato intorno al cuore centrale ed illuminato da green lights; l’altro invece era costituito da un giardino virtuale ed era volto a garantire la salute sociale degli astronauti. Entrambi facevano riferimento ad una fase di espansione successiva in cui l’insediamento umano fosse ormai cresciuto divenendo una colonia.

Un cunicolo, da noi creato ad hoc, collegava, infine, la serra al modulo abitativo e di laboratorio.

Avevamo colonizzato Marte.


giovedì 18 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo otto.

 


Otto.


Red era da poco rientrato all'interno del modulo abitativo della navetta spaziale, dopo il suo giro di ricognizione marziano, allorquando esclamò, a gran voce, di aver rinvenuto a circa 100 metri dal punto di ammartaggio un cunicolo lavico con una buona apertura dalla quale avremmo potuto calare, attraverso il verricello presente sul robot trasportatore, l'intera strumentazione a noi occorrente per allestire il nostro primo campo base. In un quarto d'ora riuscimmo ad indossare le nostre tute spaziali, allontanandoci dalla navetta un minuto prima che l'ossigeno si esaurisse definitivamente. Io, Red, Clif, Johannés, finalmente, ci accingevamo ad abbandonare la "latta di metallo" che era stata negli ultimi Sol sia la nostra scialuppa di salvataggio, che la bara contenente i resti mortali dei nostri compagni deceduti. Percorremmo quei 100 metri che ci distanziavano dal cunicolo lavico ansimando. Era stata una vera e propria fortuna, che capitava normalmente una volta su mille, riuscire a trovare quell'anfratto nella roccia marziana che ci avrebbe garantito, una volta che sarebbe stato da noi sistemato ad hoc, di sopravvivere per il tempo necessario a recuperare le forze e poterci organizzare ad allestire il nostro viaggio di andata alla volta della stazione spaziale su cui saremmo dovuti giungere, se non fosse stato per l'avaria del modulo di navigazione e di trasmissione della nostra disgraziata "scialuppa cosmica". Accesi il robot trasportatore, una sorta di Minotauro robotico terminante con un carrello, su cui erano presenti quattro ruote, all’interno del quale avremmo potuto sistemare la strumentazione che ci avrebbe consentito di allestire il campo base. La sabbia marziana, le pietre e le asperità presenti nel terreno ostacolavano l'andatura del robot, facendolo muovere goffamente. Calammo per primo l'ossigenatore, poi il depuratore dell'acqua e, infine, il fusto di idrazina. Dopo qualche ora eravamo tutti e quattro a circa 10 metri sotto il suolo di Marte. Non ci restava che mettere in funzione l'RTG e di interrarlo a breve distanza dalla bocca di apertura del cunicolo lavico che avevamo scoperto e che era stata la nostra salvezza. Purtroppo, non avevamo fatto i conti con il tempo, imprevedibile, di Marte. Da lì a poco fummo investiti da una tremenda tempesta di polvere che uccise il più piccolo della spedizione umana. Ma di questo ve ne parlerò un altro giorno. Ora sono stanco e triste. Il ricordo di quell'assurda tragedia mi provoca, ancora oggi, delle forti emozioni e mi costringe a rimuovere i ricordi che affiorano in maniera nitida nel mio cervello.

Continua...

mercoledì 17 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo sette.

 


Sette.


Marte è un luogo desolato e freddo, inospitale per qualsiasi forma di vita, compresa quella umana; è un mondo arido e di ciò ne fummo coscienti sin dal primo momento in cui mettemmo piede sul suo suolo polveroso di fine regolite, tossico per la presenza di perclorati. Su Marte se non sei concentrato muori; se le tue capacità motorie sono già precarie la percentuale di rimanere in vita su questo corpo celeste è pressoché nulla. Noi quattro sopravvissuti ci trascinavamo stancamente sul suolo marziano, segno che le nostre energie vitali erano ridotte ai minimi termini. Malgrado fossimo giunti sul Pianeta rosso già da qualche giorno e fossimo rimasti per ben cinque giorni nascosti all'interno dell'abitacolo della nostra navetta spaziale, non fummo in grado di recuperare le nostre forze in tempi rapidi, atteso gli otto lunghi mesi trascorsi a bordo di quella assurda "latta di metallo" durante il nostro tormentato viaggio tra le stelle. I segnali di allarme che riecheggiavano all'interno della cabina di comando di quel "catafalco spaziale" continuavano a suonare imperterriti, evidenziandoci l'immediato crash dei sistemi, compreso quello afferente la produzione di ossigeno, necessario per il nostro fabbisogno giornaliero. 

- Prendi quella maledetta pinza, Red! - esclamò Clif.
- Che cazzo ci devi fare?-
- Devo smontare questo maledetto affare, prima che l'ossigeno si esaurisca.-
- Lasciate fare a me!- replicai ai miei due compagni di avventura, avuto riguardo delle mie competenze ingegneristiche.

L'ossigenatore indicava che ci rimanevano pochi minuti di aria in cabina. Era necessario, quindi, abbandonare la navetta, dopo aver indossato le nostre tute, alla ricerca di un riparo ove poter ricreare le condizioni abitative già presenti all'interno della nostra "scialuppa di salvataggio" cosmica.

- Red, Clif, Johannés, abbandoniamo la nave! Recuperiamo ciò che ci occorre per allestire un campo base. Tu, Clif, prendi l'ossigenatore da campo; tu Red, per favore, aiuta Johannés a trasportare la macchina per la produzione di acqua potabile, utilizzando, del caso, il robot trasportatore che è chiuso nella stiva.-

L'ossigenatore da campo produceva una miscela gassosa costituita da ossigeno e azoto. Esso, poi, era in grado di azzerare la produzione di CO₂ chimicamente, con l'introduzione nel dispositivo di idrossido di litio e la consequenziale formazione di carbonato; l'ossigeno non consumato nella stanza che avremmo dovuto creare nel nostro campo base, invece, sarebbe stato riciclato ad hoc. L'acqua per la nostra sopravvivenza sarebbe stata creata utilizzando l'idrazina presente nei serbatoi della nostra navetta spaziale, ancora pieni, sfruttando, poi, i sassi marziani come catalizzatore, tenuto conto che essi sono costituiti, in parte, da iridio. L'idrogeno così prodotto sarebbe stato poi combinato con l'ossigeno per formare l'acqua, sfruttando come  innesco iniziale una scintilla da noi autoprodotta, in modo tale da dare inizio alla reazione chimica. L'acqua da noi prodotta sarebbe stata poi riciclata con un depuratore. Sia l'ossigenatore, che il depuratore, che l'idrazina, erano già presenti all'interno della nostra navetta spaziale e, anche se ingombranti, era solo necessario trasportarli nel luogo in cui si sarebbe deciso di creare il nostro primo campo base.

Red uscì in esplorazione. Era stato addestrato dal governo per cercare un luogo su Marte in cui, in caso di necessità, noi tutti fossimo stati costretti ad abbandonare la nave alla ricerca di un riparo. Fortunatamente a poche centinaia di metri dal luogo in cui la navetta toccò il suolo polveroso di Marte era presente un cunicolo lavico, con un ampia apertura d'ingresso da dove il robot trasportatore ci avrebbe consentito di calare l'attrezzatura necessaria per la nostra sopravvivenza sul Pianeta rosso, compreso l'RTG (Radioisotope Thermoelectric Generators) per la produzione di energia elettrica, ovvero un sistema in grado di produrre una fonte di calore utilizzando il decadimento radioattivo del Plutonio - 238; esso, poi, sarebbe stato sotterrato a breve distanza dal campo base che avremmo dovuto allestire, così da consentirci di avere una produzione di elettricità avente una potenza di 110 W. Il modello dell'RTG in dotazione era un riadattamento tecnologico dell'RTG già presente nella sonda Curiosity che, a decorrere dall'anno 2012, esplorò Marte. Gli scienziati a Terra ci dissero che l'involucro che ricopriva l'RTG fosse sicuro e che non avremmo dovuto temere per la nostra salute, considerando che le emissioni da esso emesse, dei raggi alfa, si sarebbero estinti in pochi secondi.

Continua...

sabato 13 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo sei.

 


Sei


La prima settimana sul Pianeta rosso la ricordo come il più grande incubo della mia vita. Non era stato facile ammartare, tenuto conto che eravamo andati fuori rotta e il nostro sistema di navigazione ci aveva fatto toccare il suolo marziano a migliaia di chilometri dalla nostra destinazione finale: "New Millenium". Io e i miei compagni di avventura, sopravvissuti all'impresa, fummo costretti a cercare un riparo naturale dove poter continuare a sopravvivere, dove poter stoccare le nostre risorse alimentari, dove poter allestire il nostro primo "campo base". Il dolore di aver perduto alcuni degli uomini che con noi si erano imbarcati sulla "latta di metallo" alla volta di Marte era stato opprimente. Il nostro stato psicofisico e psicologico era ormai ridotto ai minimi termini. Decidemmo di dare ai defunti una degna sepoltura. Trovammo in prossimità di una rupe ubicata a breve distanza del luogo in cui si posò la nostra navetta spaziale la corretta conformazione del terreno ove poter allocare, in quella che ricordo essere stata una fossa comune, i corpi dei nostri giovani amici. Pregammo per le loro anime, affinché avessero potuto trovare pace, quella stessa pace che era venuta a mancare a tutti noi negli ultimi otto mesi. Noi sopravvissuti ci facemmo coraggio e, dopo aver seppellito i cadaveri dei nostri sventurati compagni di avventura, cercammo all'interno della navetta spaziale l'occorrente che ci avrebbe permesso di continuare a respirare naturalmente, di produrre acqua allo stato liquido, di produrre la quantità di energia elettrica sufficiente affinché le nostre apparecchiature potessero continuare a funzionare il più a lungo possibile. Del nostro viaggio di andata Terra - Marte ho rimosso gran parte dei miei ricordi, volutamente, giacché la mia coscienza ad un certo punto ha messo un veto alla memoria a breve e a lungo termine del mio cervello, dimodoché io potessi cancellare, di netto, i ricordi più traumatici. E di ricordi traumatici ve ne erano tantissimi: per primo la morte dei miei compagni di viaggio; poi, l'inadeguatezza della navetta spaziale a sostenere un viaggio spaziale alla volta di Marte; infine, ma non meno importante degli altri due punti menzionati, lo stato mentale degli occupanti del veicolo che contraddistinse quel nostro viaggio tra le stelle. Eravamo letteralmente impazziti e caduti in uno stato di incoscienza che, di fatto, non ci aveva neanche più permesso di interloquire tra di noi. La puzza dei nostri stessi escrementi, della nostra urina che non veniva più riciclata come avremmo sperato che fosse, ci aveva infine fatto scendere in classifica, in una ipotetica gara dei viaggi spaziali sino ad allora sostenuti dall'umanità, all'ultimo posto: eravamo all'interno di un vero e proprio carro bestiame e non in seno a una nave spaziale in grado di percorrere agevolmente la distanza Terra - Marte. La gravità riprodotta artificialmente dagli scienziati terrestri non era quella che avevamo imparato a conoscere, sin dalla nascita, sul nostro pianeta d'origine, limitando notevolmente le nostre già precarie capacità motorie e le nostre forze fisiche, malgrado avessimo a bordo gli strumenti e le apparecchiature necessarie per non perdere la nostra massa muscolare e per irrobustire le nostre ossa. Alla fine ci riducemmo a delle vere e proprie larve umane. 

 - Joseph, ci dobbiamo sbrigare poiché è in arrivo una tempesta di sabbia -, ricordo che mi disse il più piccolo dei sopravvissuti all'impresa, Clif, che aveva da poco compiuto 23 anni quando egli ancora si trovava a vivere sulla Terra nella città di Okinawa, in Giappone. 

 - Clif, sto ancora male, non mi reggo sulle gambe! - Esclamai.

 -Joseph, fatti coraggio. Su, dai, ne va della nostra sopravvivenza! - Mi esternò Red, uno degli altri sopravvissuti, di origine Sudafricana, che era il più anziano della spedizione umana, il quale aveva compiuto 32 anni. 

- Marine Johannés, aiuta Joseph ad alzarsi dal pavimento e a camminare!- Esclamò Red, rivolgendosi all'unica donna sopravvissuta alla spedizione. 

 - Cazzo! Ma non vedi che non riesco neanche io a muovermi?- Replico la giovane donna, di appena anni 24, che aveva lo stesso cognome e nome di una cestista francese che negli anni dieci del Duemila aveva partecipato con la sua nazionale ai giochi olimpici disputatisi a Rio de Janeiro. 

Onde evitare ulteriori alterchi, mi alzai dal pavimento della navetta spaziale su cui avevo trascorso gli ultimi giorni dal nostro arrivo su Marte, aggrappandomi ad un appiglio presente sulla consolle di comando e controllo. Le spie sul quadro comando erano tutte accese e i segnali di allarme continuavano a suonare imperterriti, martellandoci le tempie. Io, all'epoca, avevo da poco compiuto 27 anni. Ero l'unico ingegnere a bordo ed ero anche l'unico, tra i sopravvissuti, in grado di far funzionare le macchine che ci avrebbero consentito di sopravvivere. Clif aveva fatto degli studi da geologo, mentre Red era stato un medico chirurgo, e la nostra amica Johannès era un ingegnere civile, o giù di lì. Gli eventi nefasti che ci avevano colpiti quando ancora ci trovavamo sulla Terra avevano pesantemente cambiato il nostro modo di vivere, non consentendoci di terminare gli studi. La frenesia, poi, di allestire la spedizione marziana prima che fosse troppo tardi, determinò i giorni trascorsi nello spazio prima di toccare il suolo polveroso di Marte. 

Usciti dalla navetta spaziale, che si era adagiata sul suolo marziano reggendosi sulle quattro zampe d'acciaio che sporgevano da entrambi i lati, ci incuriosì la presenza, a breve distanza da noi, di taluni cristalli di ghiaccio che, mescolatisi con la sabbia marziana, scendevano lungo un pendio. Era il segno della presenza dell'acqua, allo stato solido, che cercavamo e che speravamo di trovare al nostro arrivo sul pianeta alieno, che sarebbe stata alla base della nostra sopravvivenza futura su quella landa desolata e inospitale, ove le temperature oscillano tra i  -40° Celsius e -155° Celsius. Il Pianeta rosso è un mondo inospitale. La considerevole lontananza dal Sole influenza sensibilmente le condizioni climatiche di questo corpo cosmico. L'intero territorio del pianeta è caratterizzato da notevoli fluttuazioni di temperatura. 

Quel giorno in cui per la prima volta ci accingevamo a mettere piede su Marte la temperatura al suolo era di -14° Celsius, essendo ancora estate. Il cielo era plumbeo. Il silenzio millenario che regnava sovrano sul suolo marziano, ci intimorì a  tal punto che qualcuno di noi disse che forse era il caso di rientrare all'interno dell'abitacolo della nostra navetta. Ma il panorama, mozzafiato, ci fece ben presto dimenticare le nostre paure consentendoci di proseguire oltre alla ricerca di un riparo.

Continua...

lunedì 1 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo cinque.

 


Cinque.


La stazione marziana “New Millenium” era la struttura umana più grande presente sulla superficie di Marte. Larga come 4 campi di calcio e lunga 5, che solitamente sulla Terra era pari a circa 120 m per 90 m, per ogni singolo campo , era una vera e propria magnificenza frutto della tecnologia cibernetica. I materiali utilizzati per la sua costruzione furono rinvenuti in situ. I robot avevano fatto un lavoro eccellente. Inizialmente ospitò solo venti esseri umani, dei veri e propri pionieri nell’esplorazione del Pianeta rosso. Essi erano giunti su Marte a bordo di due navette, lanciate dalla Terra nella prima metà del mese di Ottobre dell’anno 2030. Era il periodo ideale per un lancio spaziale verso il quarto pianeta del sistema solare, avuto riguardo che la distanza Terra – Marte era giunta a minimi termini, ovvero era pari a 57.590.630 Km, un fenomeno che si ripete ogni 26 mesi circa. La cupola di “New Millenium” era alta, alla linea di colmo, circa 35 metri dal suolo polveroso marziano. La colonizzazione di Marte significava portare l’umanità e la ricerca oltre i limiti possibili, un sogno che si realizzò solo nell’anno 2030, a poche ore dalla nostra estinzione. Ci siamo messi in gioco. Abbiamo cercato di studiare e costruire il primo insediamento umano su Marte in tempi celeri: non è stato facile. I robot avevano utilizzato la regolite marziana come malta per la costruzione degli ambienti a protezione della vita umana sul quel pianeta ostile alla vita in genere. I robot, pur tuttavia, non si erano limitati a costruire gli habitat per la vita umana su Marte, ma anche un centro per l’approvvigionamento energetico, costituito da pannelli solari ad alta efficienza energetica, un hangar per l’alloggiamento delle navette spaziali, degli spazi per le coltivazioni idroponiche, un centro per le telecomunicazioni provenienti e dirette verso la Terra, un sito per la produzione di H2O, un sito per la produzione di Ossigeno. La parte interna del modulo abitativo si sviluppava su tre livelli, di cui: il primo destinato alla ricerca; il secondo alla parte soggiorno e il pernottamento dei primi coloni; il terzo destinato all’area relax. I primi robot costruttori avevano la forma di tante api operaie, dal cui corpo uscivano dei bracci automatizzati in cima ai quali erano state fissate le “cartucce” per delle stampe in 3D, ovvero la tecnologia 4.0 applicata al mondo delle costruzioni. È stato peraltro una sfida, senza precedenti, riuscire a far arrivare su Marte delle macchine in grado di lavorare e operare autonomamente. Fortunatamente ci siamo riusciti. L’ipotesi di portare l’uomo sul Pianeta rosso rientrava già nei piani del Governo, in un lasso di tempo compreso tra gli anni 2030 – 2060. Vivere sotto una cupola non era stato poi così male. Nonostante Marte fosse il pianeta del sistema solare più “abitabile” dopo la Terra, nessun essere umano sarebbe riuscito a sopravvivere al clima del Pianeta rosso. La cupola che proteggeva l’insediamento umano era stata realizzata in aerogel di silicio. Si pensò di non terraformare Marte, ma di cambiare le condizioni ambientali solo a livello locale, su aree contenute. Ma Marte, malgrado fosse il pianeta più abitabile del nostro sistema solare, dopo la Terra, rimaneva un mondo ostile per molti tipi di vita: un sistema per creare piccole isole di abitabilità ci avrebbe permesso di dominare Marte in modo controllato e modulabile. L’ispirazione ci arrivò dalle prime osservazioni del Pianeta rosso, in corrispondenza delle calotte polari. Queste, a differenza di quelle terrestri, sono costituite da acqua ghiacciata e da anidride carbonica congelata. Anche in questa forma la CO2 ha la capacità di lasciar passare la luce solare e di trattenere il calore, cosicché durante l’estate marziana si creano delle sacche di calore sotto il ghiaccio. Un effetto serra naturale, insomma. Per ricreare questo effetto gli scienziati proposero, prima dell’imminente Apocalisse, di utilizzare un aerogel di silicio, un materiale isolante in grado di imitare l’effetto serra terrestre, per raggiungere l’obiettivo. Uno schermo dello spessore di 3 cm di areogel avrebbe permesso il passaggio di luce sufficiente per la fotosintesi e allo stesso tempo ci consentì sia di bloccare le radiazioni ultraviolette, molto pericolose per la vita umana, sia di aumentare le temperature nelle aree sottostanti la cupola, così superando il punto di fusione dell’acqua. Questo approccio regionale per rendere abitabile Marte era molto più realizzabile rispetto alla modificazione atmosferica globale.


- Nonno che cosa stai scrivendo?


Mi chiese Frank, il maggiore dei miei otto nipoti.


- Sto raccontando la nostra storia. La storia dell’umanità che a ridosso dell’Apocalisse terrestre fu costretta a rifugiarsi su Marte, e su altri pianeti del sistema solare, per garantire la sopravvivenza della specie.


- Mi leggi qualche pagina?


- No, Frank! La storia non è ancora completa. Mancano numerosi dettagli; non sono riuscito ancora a raccontare molti dei fatti accaduti, che mi consentirono da giovane di sopravvivere su questo pianeta e poi di viverci e di prosperare con la mia progenie.


Fui costretto a interrompere la mia storia. Salvai la pagina di testo sino ad allora scritta; spensi il computer e mi avviai con Frank nella zona relax della base. In quel luogo una vecchia scacchiera allietava il trascorrere delle nostre giornate marziane. Frank, negli ultimi anni, mi batteva regolarmente, malgrado fossi stato io ad insegnargli il gioco degli scacchi. Pazienza. Me ne devo fare una ragione. Sono ormai vecchio e stanco e le mi connessioni neurali non possono competere con la mente di un adolescente.

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