Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

  • A proposito degli alieni....

    Il saggio dal titolo "A proposito degli alieni....", di Francesco Toscano e Enrico Messina

    Sinossi: Fin dalla preistoria ci sono tracce evidenti del passaggio e dell’incontro tra esseri extraterrestri ed esseri umani. Da quando l’uomo è sulla Terra, per tutto il suo percorso evolutivo, passando dalle prime grandi civiltà, all’era moderna, sino ai giorni nostri, è stato sempre accompagnato da una presenza aliena. Lo dicono i fatti: nei reperti archeologici, nelle incisioni sulle rocce (sin qui rinvenute), nelle sculture, nei dipinti, in ciò che rimane degli antichi testi, sino ad arrivare alle prime foto e filmati oltre alle innumerevoli prove che oggi con le moderne tecnologie si raccolgono. Gli alieni ci sono sempre stati, forse già prima della comparsa del genere umano, e forse sono loro che ci hanno creato.

  • Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.

    Il saggio dal titolo "Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Milioni di persone in tutto il mondo credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E se fosse vero? Questo libro nasce proprio per questo motivo, cercare di dare una risposta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, al quesito anzidetto. L`archeologia spaziale, o archeologia misteriosa, è definibile come la ricerca delle tracce, sotto forma di particolari reperti archeologici o delle testimonianze tramandate nel corso dei millenni, di presunti sbarchi sulla Terra di visitatori extraterrestri avvenuti all’alba della nostra civiltà.

  • Condannato senza possibilità d'appello

    Il romanzo breve dal titolo "Condannato senza possibilità d'appello.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Le concezioni primitive intorno all`anima sono concordi nel considerare questa come indipendente nella sua esistenza dal corpo. Dopo la morte, sia che l`anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d`animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica, seguirà sempre il volere di Dio; cioè il volere dell’Eterno di consentire alle anime, da lui generate e create, di trascendere la vita materiale e innalzarsi ad un piano più alto dell’esistenza, imparando, pian piano, a comprendere il divino e tutto ciò che è ad esso riconducibile.

  • L'infanzia violata, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano

    Sinossi: Dovrebbero andare a scuola, giocare, fantasticare, cantare, essere allegri e vivere un'infanzia felice. Invece, almeno 300 milioni di bambini nel mondo sono costretti a lavorare e spesso a prostituirsi, a subire violenze a fare la guerra. E tutto ciò in aperta violazione delle leggi, dei regolamenti, delle convenzioni internazionali sui diritti dell'infanzia. La turpe problematica non è lontana dalla vostra quotidianità: è vicina al luogo in cui vivete, lavorate, crescete i vostri bambini. Ad ogni angolo dei quartieri delle città, dei paesi d'Italia, è possibile trovare un'infanzia rubata, un'infanzia violata.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei "ru viddrani", Don Ciccio, "u pastranu", capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un'acredine che amplifica l'entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea Romanescu, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il fantasy dal titolo "E un giorno mi svegliai", di Francesco Toscano

    Sinossi: "E un giorno mi svegliai" è un fantasy. Il personaggio principale del libro, Salvatore Cuzzuperi, è un impiegato residente nella provincia di Palermo che rimane vittima di un'esperienza di abduction. Il Cuzzuperi vivrà l'esperienza paranormale del suo rapimento da parte degli alieni lontano anni luce dal pianeta Terra e si troverà coinvolto nell'aspra e millenaria lotta tra gli Anunnaki, i Malachim loro sudditi, e i Rettiliani, degli alieni aventi la forma fisica di una lucertola evoluta. I Rettiliani, scoprirà il Cuzzuperi, cercano di impossessarsi degli esseri umani perché dotati di Anima, questa forma di energia ancestrale e divina, riconducibile al Dio Creatore dell'Universo, in grado di ridare la vita ad alcune specie aliene dotate di un Dna simile a quello dell'uomo, fra cui gli stessi Rettiliani e gli Anunnaki. Il Cuzzuperi perderà pian piano la sua umanità divenendo un Igigi ammesso a cibarsi delle conoscenze degli "antichi dèi", ed infine, accolto come un nuovo membro della "fratellanza cosmica".

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei “ru viddrani”, Don Ciccio, “ù pastranu”, capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un’acredine che amplifica l’entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea ROMANESCU, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • Naufraghi nello spazio profondo, di Francesco Toscano

    Il romanzo di fantascienza dal titolo "Naufraghi nello spazio profondo ", di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza.

  • Malacarne, di Francesco Toscano

    Libro/E-book: Malacarne, di Francesco Toscano

    Sinossi: Nella primavera dell'anno 2021 a Palermo, quando la pandemia dovuta al diffondersi del virus denominato Covid-19 sembrerebbe essere stata sconfitta dalla scienza, malgrado i milioni di morti causati in tutto il mondo, un giovane, cresciuto ai margini della società, intraneo alla famiglia mafiosa di Palermo - Borgo Vecchio, decide, malgrado il suo solenne giuramento di fedeltà a Cosa Nostra, di vuotare il sacco e di pentirsi dei crimini commessi, così da consentire alla magistratura inquirente di assicurare alla giustizia oltre sessanta tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria Gesù. Mentre Francesco Salvatore Magrì, inteso Turiddu, decide di collaborare con la Giustizia, ormai stanco della sua miserevole vita, qualcun altro dall'altra parte della Sicilia, che da anni ha votato la sua vita alla Legalità e alla Giustizia, a costo di sacrificare sé stesso e gli affetti più cari, si organizza e profonde il massimo dell'impegno affinché lo Stato, a cui ha giurato fedeltà perenne, possa continuare a regnare sovrano e i cittadini possano vivere liberi dalle prevaricazioni mafiose. Così, in un turbinio di emozioni e di passioni si intrecciano le vite di numerosi criminali, dei veri e propri Malacarne, e quella dei Carabinieri del Reparto Operativo dei Comandi Provinciali di Palermo e Reggio di Calabria che, da tanti anni ormai, cercano di disarticolare le compagini mafiose operanti in quei territori. Una storia umana quella di Turiddu Magrì che ha dell'incredibile: prima rapinatore, poi barbone e mendicante, e infine, dopo essere stato "punciutu" e affiliato a Cosa Nostra palermitana, il grimaldello nelle mani della Procura della Repubblica di Palermo grazie al quale potere scardinare gran parte di quell'organizzazione criminale in cui il giovane aveva sin a quel momento vissuto e operato.

  • NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA , di Francesco Toscano

    Libro/E-book: NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA,di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza. Nel giro di pochi anni, pur tuttavia, a differenza di quanto auspicatosi dagli scienziati che avevano ideato e progettato la missione Marte, l’ingegnere MIGLIORINI e la sua progenie sarebbero rimasti coinvolti in un’aspra e decennale guerra combattuta da alcuni coloni di stanza sul pianeta Marte e da altri di stanza sulla superficie polverosa della nostra Luna, per l’approvvigionamento delle ultime materie prime sino ad allora rimaste, oltre che per l’accaparramento del combustibile, costituito da materia esotica e non più fossile, di cui si alimentavano i motori per viaggi a velocità superluminale delle loro superbe astronavi; ciò al fine di ridurre le distanze siderali dello spazio profondo e al fine di generare la contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali, che avrebbero consentito loro di percorrere le enormi distanze interstellari in un batter di ciglia...

venerdì 12 novembre 2010

La provincia di Palermo...

La provincia di Palermo (82 comuni; 4992 km2; 1.275.000 ab.), la più vasta e popolosa fra quelle siciliane, si affaccia a N al Mar Tirreno con una lunga costa, che si articola nei golfi di Castellammare, di Carini, di Palermo e di Termini Imerese, ed è limitata all'interno dalle province di Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Messina: comprende la vulcanica isola di Ustica. Il territorio è prevalentemente montuoso, interessato a E, oltre la valle del f. Torto, dai rilievi delle Madonie (massima elevazione è il Pizzo Carbonara, 1979 m), e a W da una successione alquanto disordinata di rilievi montuosi formati da lunghi contrafforti incisi da brevi e profondi solchi vallivi. Le pianure si limitano per lo più ad ampliamenti della stretta cimosa costiera; le più estese sono la Conca d'Oro, nell'immediato retroterra del capol., e le piane di Partinico e di Termini Imerese. Il clima è tipicamente mediterraneo ma con sensibili variazioni tra le fasce costiere, che godono di estati calde e asciutte ma ventilate e di inverni assai miti e moderatamente piovosi, e le aree montuose dell'interno, che hanno inverni più freddi e piovosi ed estati fresche; le precipitazioni non sono copiose e limitate per lo più ai mesi invernali. Le portate dei corsi d'acqua sono quindi estremamente irregolari con piene invernali e prolungate magre estive. I fiumi principali, e cioè il Pollina, il Fiume Grande (o Imera Settentrionale), il Torto, il San Leonardo e l'Eleutero, tutti tributari del Mar Tirreno, hanno quindi regime torrentizio e possono essere scarsamente utilizzati per l'irrigazione. Importante è invece la circolazione delle acque sotterranee, che sono estratte mediante numerosi pozzi e sfruttate quindi per irrigare vasti e fertili comprensori. La consistenza demografica tende costantemente ad aumentare con un ritmo, tuttavia, non così elevato come giustificherebbe il saldo positivo del movimento naturale della popolazione, in quanto ha ancora un certo peso l'emigrazione, fenomeno che negli ultimi anni si è molto attenuato ma non spento. Da segnalare è l'immigrazione stagionale (spesso clandestina) di Algerini e Tunisini, che trovano impiego nel settore agricolo o in quello della pesca. Sono proseguiti negli anni recenti gli spostamenti tradizionali dall'interno alla costa e alle aree pianeggianti, più fertili e meglio irrigate e dove sorgono i centri maggiori e più industrializzati. I centri principali, dopo il capol., sono Monreale, Carini, Partinico, Bagheria, Villabate, Misilmeri, Termini Imerese, Cefalù, Castelbuono, Gangi, Lercara Friddi e Corleone. Nonostante la grave crisi in cui versa il settore per un complesso di fattori concomitanti di carattere ambientale, climatico e storico, l'agricoltura costituisce tuttora una delle componenti fondamentali della struttura economica provinciale. I principali prodotti, che si ottengono però dalle aree più fertili e irrigate, sono gli agrumi, l'uva da vino, gli ortaggi,la frutta e le olive; altrove è diffusa la cerealicoltura estensiva. Cospicua fonte di reddito è pure la pesca e in fase di notevole espansione è anche il turismo, che però è ostacolato dall'inadeguatezza delle attrezzature ricettive e delle vie di comunicazione. L'industria è sviluppata nei settori meccanico, alimentare, dell'abbigliamento e dell'edilizia, nei quali operano aziende per lo più di piccole e medie dimensioni, con qualche eccezione significativa (Termini Imerese).
Se Palermo è, nel panorama artistico della provincia  (e dell'intera Sicilia), il centro urbano eminente, altri luoghi, altri centri abitati nello stesso territorio provinciale propongono - nella diversità delle testimonianze custodite - depositi d'arte d'alto spessore, che ne fanno preziosi archivi di immagini estetiche. Per esse il vivace mondo espressivo dei centri minori offre la rappresentazione della comune civiltà artistica, squisito apparato di bellezze che partecipano alla composizione dell'articolato mosaico dell'Arte e della Storia. Movendo all'osservazione di un tale composito retablo di forme del passato, il visitatore sperimenterà allora nuove immagini del bello, raccoglierà altre interessanti espressioni figurative che ne soddisferanno umanisticamente l'impegno culturale. Scontato sarà iniziare la scorribanda alla conoscenza artistica della provincia palermitana da Monreale, la cittadina di origine normanna che , ormai conurbata con Palermo, dalle pendici del monte Caputo pittorescamente domina la Conca d'Oro e la stessa capitale. Qui capolavoro esclusivo, che vale da solo un viaggio in Sicilia, è il duomo normanno, struttura di compatto impianto romanico, fondato (1174-1176) dal re Guglielmo il Buono. La maestosa mole dell'edificio severamente prospetta nella marcata imponenza delle due torri angolari che serrano il settecentesco portico a tre arcate, al cui interno la splendida porta bronzea di Bonanno Pisano (1186) immette nel tempio; sul fianco destro è un'altra porta preziosamente scolpita da Barisano di Trani (1179); all'esterno, le absidi propongono una festosa decorazione policroma ad archi acuti intrecciati a tarsie di lava e calcare.Il miracolo è all'interno. Rifulge nella spaziosa aula basilicale l'aurea gloria dell'intenso addobbo musivo, che per una superficie di ben 6340 mq. riveste le pareti, svolgendo in una luminosa narrazione ricca di vividi cromatismi i cicli dell'Antico Testamento nella navata centrale, della vita di Cristo nelle navi minori, ed episodi seguiti all'Incarnazione del Verbo nelle pareti delle absidi, dominate nell'alto del cappellone dalla possente figura del Cristo Pantocratore. Sulla destra dell'edificio, lo squisito chiostro dell'antica abbazia benedettina, opera dalle fascinose evocazioni orientali, si offre con la ritmata sequenza delle sue cento arcate gotiche sorrette da 228 leggiadre colonnine binate, tutte di diverso ornato.
Partendo da Monreale, proseguendo per San Cipirello e successivamente in direzione di Carini.
Da Monreale, inoltrandosi lungo la "scorrimento veloce" per Sciacca, si perverrà dopo breve percorso ai resti di un'antica città: è Ietai, sul monte Iato,nei pressi di San Cipirello, ricostruita nel IV secolo a. C. su una precedente fondazione èlima e rasa al suolo nel 1246 da Federico di Svevia per reprimervi una rivolta delle popolazioni musulmane. Interessante il teatro sulla cima del monte, capace di tremila spettatori; più in basso si apprezzano l'agorà circondata da portici, affiancata dalla "sala del consiglio" e i resti di varie abitazioni e di un tempio sacro a Venere. Si conservano nel piccolo museo civico di San Cipirello cinque buone statue in pietra che ornavano il teatro (due satiri, due baccanti e un leone) e altro materiale archeologico. Restiamo nell'immediato entroterra palermitano per raggiungere Carini.
La città si offrirà al visitatore con la prima significativa emergenza feudale: quel castello reso famoso dalla tragica storia di adulterio e di morte della baronessa Laura Lanza. Risultato di successivi inserti costruttivi e di diverse voghe stilistiche, l'edificio, di originario impianto normanno (107-90),mostra tracce di un vasto rifacimento trecentesco, cui nei secoli XV-XVI seguì la trasformazione in palazzo nobiliare; elementi rinascimentali si riconoscono nel salone delle feste con bel soffitto ligneo dipinto, nel cortile con finestre architravate, nella cappella e nei portali degli appartamenti; settecentesche sono le pitture decorative delle stanze. Nucleo eminente di una trama urbanistica che venne formandosi attorno a questa dimora, il castello assolse a un ruolo propulsivo dell'arricchimento artistico del paese, che si esprime con altri significativi episodi: la chiesa madre dell'Assunzione (1492-1532), ristrutturata nel Settecento, con animata facciata compresa fra due campanili (uno dei quali mozzo) e addobbi neoclassici all'interno;l'oratorio del SS. Sacramento, ornato di vivaci stucchi di scuola serpottiana; la chiesa di San Vito (1532) con campanile d'epoca barocca. Una "Madonna dell'Itria" dello Zoppo di Gangi è nella chiesa omonima.
Le aree costiere ad Est di Palermo. Bagheria.
Ad altre rilevanti immagini, ad altri incontri d'arte conduce il percorso lungo le aree costiere a est di Palermo. Qui, sorta fra il Sei e il Settecento, in dipendenza da una aristocratica voga che sospinse la nobiltà palermitana a realizzare fra le ubertose campagne della Conca d'Oro le proprie dimore estive, Bagheria è luogo di attrattive per le sue celebri ville patrizie, ormai riposte memorie di uno splendore perduto. La più famosa è la villa Palagonia (1715-92), elegante e sfarzoso prodotto barocco con la surrealistica coreografia dei 62 mostri in pietra che ne coronano il recinto, al cui interno l'edificio si compone a ventaglio preceduto dalla movimentata scalea a duplice rampa. Altrettanto illustri sono: la villa Butera, la più antica di tutte (1658), dalla chiusa struttura feudale; la monumentale villa Valguarnera (1721) , scenograficamente preceduta da un ampio loggiato a tenaglia; la villa Trabia (1752),rigorosamente modellata dalla sua esasperata simmetria decoratia a geometrici riquadri, la villa Galletti-Inguaggiato (1777), illeggiadrita dai preziosi decori di facciata; la massiccia villa Cattolica, oggi sede della Galleria d'Arte Moderna, con opere di Guttuso e di altri contemporanei. Interessante complesso residenziale è anche la settecentesca villa San Cataldo, ristrutturata in stile neogotico nel primo Ottocento, affacciata con una elegante balaustrata sull'amabile prospettiva del golfo di Porticello.
Nei pressi, sul monte Catalfano, sono gli avanzi di Solunto, importante centro punico (VII secolo a.C.). Solunto, antica città fondata dai Fenici sulla costa settentrionale della Sicilia, sul monte Catalfano, a circa 2 Km da Santa Flavia, di fronte Capo Zafferano, nei pressi di Palermo. Preceduta sulla stessa area dall'insediamento fenicio di KFRA(700 a.C.),la città venne fondata dai Cartaginesi nel IV secolo a.C. che ne mantennero il controllo per più di un secolo. Durante questo periodo divenne centro di traffico marittimo rivaleggiando con Palermo e Mozia. In seguito alla prima guerra punica (250 a.C circa) passò sotto il dominio Romano. Il declino della città iniziò nel I secolo col graduale abbandono della città a favore dei centri abitati della pianura sottostante, fino al saccheggio subito ad opera dei Saraceni nel VII secolo. Il nome greco di Solunto, secondo il mito di fondazione, riportato da Ecateo di Mileto, deriverebbe da quello di un brigante, Solus, ucciso da Eracle. Il nome fenicio conosciuto dalle monete (Kfra = Kafara), significa "villaggio", mentre lo stesso nome greco (Solus, corrispondente al latino Soluntum) potrebbe essere d'origine fenicia, e significherebbe "roccia", con un caratteristico riferimento alla natura del sito. La più antica notizia su Solunto ci è trasmessa da Tucidide (VI, 2, 6), secondo il quale il luogo sarebbe stato occupato dai Fenici (insieme a Mozia e Palermo) al momento della prima colonizzazione greca. La città è stata localizzata con certezza sul monte Catalfano, 20 km ad est di Palermo, ma lo scavo non ha finora trovato nulla d'anteriore al IV secolo a.C. Si era quindi supposto che il centro più antico fossa da identificare con la vicina località di Pizzo Cannita, da dove provengono due sarcofagi antropoidi punici (ora al Museo Archeologico Regionale di Palermo), ma la recente scoperta di tombe del VI secolo ai piedi del monte Catalfano ha riaperto la questione: la Solunto più antica va cioè localizzata nella stessa zona di quella più tarda, anche se ne ignoriamo il sito preciso (forse ai piedi del monte, e in vicinanza del mare, come ci aspetteremmo per un emporio fenicio, o piuttosto nella zona non scavata a monte del teatro, dove va localizzata l'acropoli). La città fu conquistata per tradimento da Dionigi il Vecchio nel corso della sua guerra contro i Cartaginesi (396 a. C.), insieme a Cefalù ed Enna. Già in precedenza il suo territorio era stato saccheggiato insieme a quello di altre due città rimaste fedeli ai Cartaginesi, Halyciae e Palermo (Diodoro, XIV, 48, 4; 78, 7). È probabile che in quest’occasione l'abitato sia stato gravemente danneggiato o distrutto, dal momento che non se ne parla più a proposito della seconda spedizione di Dionigi, nel 368. In ogni caso, è proprio immediatamente dopo tale data che la città venne ricostruita interamente, secondo un piano regolare, nella fortissima posizione sul monte Catalfano che rimase la sua sede definitiva. Sappiamo che nel 307 a. C. vi s’insediò, col benestare dei Cartaginesi, un gruppo di mercenari greci abbandonati da Agatocle in Africa (Diodoro, XX, 69, 3) dopo il fallimento della sua spedizione. La presenza di un forte nucleo ellenico è, del resto, confermata, oltre che dal carattere stesso delle costruzioni e della loro decorazione, dalla presenza d'iscrizioni in greco, e dal tipo delle magistrature e dei sacerdozi in esser ricordati: gli anfipoli di Zeus Olimpio e gli "hieròthytai" (i primi sembrano riprodurre un'istituzione siracusana, introdotta da Timoleonte nel 363 a. C. ). Nel 254, durante la prima guerra punica, la città passò ai Romani, come Iatai, Tindari ed altre (Diodoro, XXIII, 18, 5). Sappiamo da Cicerone che essa faceva parte delle "civitates decumanae" (Verrine, II 3, 103). La notizia più tarda si ricava dall'unica iscrizione latina scoperta a Solunto, una dedica della "res publica Soluntinorum" a Fulvia Plautilla, moglie di Caracalla. A giudicare dai materiali archeologici sembra che il sito, semideserto e in decadenza già dal I secolo, sia stato definitivamente abbandonato poco più tardi. Gli scavi realizzati nell'Ottocento avevano già liberato una parte della città, ma essi sono stati ripresi nel 1952, e portati avanti negli anni successivi. È così tornato alla luce un settore notevole del tessuto urbano, che permette di ricostruire la struttura riorganizzata integralmente intorno alla metà del IV secolo a.C. La città occupa il pianoro del monte Catalfano, che si digrada da ovest ad est (da un'altezza sul livello del mare da m 235 a 150), e in parte è franato sul lato nord. La superficie doveva essere originariamente di circa 18 ettari, ed era suddivisa regolarmente da una serie di strade orientate da nord-est a sud-ovest (tre delle quali sono state parzialmente scavate), intersecate da assi minori perpendicolari (larghi da 3 a 5, 80 m), i quali, essendo disposti perpendicolarmente alla pendenza, sono perlopiù costituiti da scalinate. Ne risultano isolati rettangolari, di circa 40 x 80 m, disposti con il lato minore sugli assi principali. Essi sono suddivisi a metà, in senso longitudinale, da uno stretto "ambitus" (m 0, 80-1), destinato a drenare gli scoli, che, in corrispondenza delle strade principali, si trasformano in canali sotterranei. Non esistevano fogne. La strada principale (nota col nome moderno di "via dell'Agorà") è larga da 5, 60 a 8 m, e conduce alla zona pubblica della città, situata nella zona nord. A differenza delle altre – che sono pavimentate in lastre di calcare – essa presenta, a partire dal terzo isolato, una pavimentazione in mattoni quadrati. In corrispondenza degli incroci, la carreggiata è occupata da tre blocchi allineati con incassi, forse destinati a sostenere ponticelli lignei d'attraversamento in caso d'inondazioni.La disposizione delle abitazioni riflette certamente diversi livelli sociali. Nelle zone periferiche, infatti, per quanto finora si conosce, gli isolati sono divisi in otto abitazioni, di 400 m2 al massimo, e perlopiù prive di peristilio, sostituito da un semplice cortile. Nell'area centrale gli isolati comprendono in genere sei case, la cui superficie arriva sino a 540 m2, e che sono perlopiù dotate di peristili e di ricca decorazione musiva e pittorica. L'impianto sembra essere sostanzialmente quello originario, della metà del IV secolo a.C., anche se naturalmente si notano numerosi rifacimenti d'età tardoellenistica e romana (che sembrano solitamente concentrati fra il II secolo a.C. e il I secolo, mentre scarsissime sono le aggiunte posteriori). Si tratta insomma di un tipico piano regolatore d'età tardoclassica, che ritroviamo anche altrove in Sicilia (Iatai, Tindari, Eraclea, Gela, Agrigento, probabilmente a Segesta ed a Taormina), derivato da modelli greci, verosimilmente dell'Asia minore, come quello di Priene.
Lungo la costa, Termini Imerese e poi Cefalù.
Più oltre, lungo la costa, Termini Imerese partecipa con interessanti testimonianze al repertorio della civiltà artistica. Si segnalano: la matrice di S. Nicola (secoli XVI-XVII), con facciata del 1912 e all'interno una vivida Croce ligna di Pietro Ruzzolone (1484);la chiesa di S. Caterina (sec. XV), con nervoso portale ogivale e interno vivacemente affrescato con quattrocentesche storie della Santa corredate da antiche diciture dialettali; la chiesa dell'Annunziata, con bel porale del 1634 e cupola maiolicata, la chiesa della Madonna della Consolazione, con gradinata barocca a duplice rampa nel prospetto e interno briosamente decorato di stucchi di scuola serpottiana.
Il Palazzo Comunale (1640 circa) presenta sulla compatta massa un rigoglioso portale e all'interno un loggiato e affreschi seicenteschi che illustrano episodi di storia locale. Il sito naturalmente fortificato dove sorge il nucleo più antico della città, fu abitato sin dalla preistoria grazie anche alla presenza di grotte e di ripari sotto roccia (Contino, 2007). Una stazione preistorica dell'Epigravettiano è documentata nel cosiddetto riparo del castello di Termini. Dopo la distruzione di Imera da parte dei Cartaginesi, nel 409 a. C. , l’insediamento fu ricostruito due anni dopo (407 a. C. ) a 12 km ad ovest del precedente, nel luogo dove oggi sorge Termini Imerese. Il nome che esso allora assunse Thermai Himeraìai (in latino Thermae Himeraeae) è dovuto all’esistenza nei pressi di sorgenti d’acque calde, ancor oggi utilizzate: le Terme moderne, nella città bassa, occupano lo stesso luogo di quelle romane, delle quali conservano ancora alcuni resti. Note già molto prima della distruzione di Iimera, queste acque sono, infatti, ricordate da Pindaro nella XII olimpica, in onore di Ergoteles di Imera. Secondo una leggenda, esse sarebbero sgorgate ad opere delle Ninfe, che volevano compiacere Atena: in esse si sarebbe bagnato per la prima volta Ercole, dopo la lotta contro Erice (Diodoro, V 3, 4). Le monete di Termini, che sul dritto hanno la testa di Ercole e sul rovescio tre Ninfe, s’ispirano a questo mito. Secondo Diodoro Siculo, la città sarebbe stata fondata dai Cartaginesi, con l’apporto di coloni libici (XIII 79, 8), ma Cicerone afferma che si trattava in realtà di superstiti di Imera (Verrine, II 2, 86): è probabile del resto che le due informazioni non siano contraddittorie, e che nella colonia punica siano successivamente confluiti gli esuli d’Himera. Ciò sembra confermato dal fatto che, quando Dionigi attaccò l’eparchia cartaginese, nel 397 a. C. , egli ottenne l’appoggio dei Termitani (Diodoro, XIV 47, 6). Nel 361 a. C. , quando la città era sotto il dominio cartaginese, vi nacque Agatocle, il futuro tiranno di Siracusa, figlio di un esule di Reggio (Diodoro, XIX 2, 2 sgg. ). Questi farà di Terme una delle sue basi nella lotta contro i Cartaginesi (Diodoro, XX 56, 3). Nel 260 a. C., nel corso della prima guerra punica, i Romani subirono presso la città una durissima sconfitta ad opera di Amilcare, ma successivamente riuscirono a conquistarla, nel 253. Da allora rimase fedele a Roma, e fu tra quelle soggette a tributo (civitas decumana: Cicerone, Verrine II 2, 90). Dopo la conquista di Cartagine, nel 146 a. C., Scipione Emiliano restituì a Terme le opere d’arte sottratte dai Cartaginesi ad Imera: tra queste era una statua di Stesicoro, che vi aveva soggiornato (Verrine II 2, 86; 4, 73). C’è pervenuta la base di una di queste statue, con parte dell’iscrizione (IG XIV 315). Nel corso delle guerre civili la città parteggiò per Mario (forse in essa vivevano molti di quei commercianti italici che costituivano una parte importante del partito mariano): Pompeo, nell’81 a. C., s’apprestava a punire duramente Terme, quando ne fu distolto dall’intervento del più influente cittadino, Stenio, che, da partigiano di Mario, divenne allora sostenitore ed amico di Pompeo (Plutarco, Vita di Pompeo, 10-11): il che non impedì a Verre di spogliare la casa di Stenio delle sue opere d’arte e d’intentargli un processo (Verrine, II 2, 83-112). Dopo la guerra con Sesto Pompeo Augusto vi dedusse una colonia: è probabile che questo fatto costituisse una punizione per la città, che, per legami clientelari, aveva abbracciato probabilmente il partito pompeiano. La radicalità dell’operazione risulta dalle numerose iscrizioni latine che ci sono pervenute, e soprattutto dalla presenza massiccia in esse di nomi romani ed italici: il vecchio fondo della popolazione sembra praticamente scomparire all’inizio dell’età imperiale. La continuità di vita attraverso il Medioevo ha probabilmente permesso la conservazione delle linee fondamentali dell’impianto primitivo. Il Foro corrispondeva probabilmente alla zona dell’attuale piazzale del Duomo (a nord della piazza Vittorio Emanuele), il cardo a via del Belvedere e il decumanus alle vie che conducono dal Duomo a San Giovanni. In un’iscrizione greca, conservata al Museo Civico, si ricorda l’opera di un ginnasiarca, che aveva fatto costruire alcuni edifici (tra i quali forse lo stesso ginnasio) e pavimentare una strada a partire da una porta in direzione del mare (IG, XIV 317). Resti di edifici furono visti in passato preso il Duomo, e identificati senza motivo con la casa di Stenio: si trattava probabilmente di costruzioni pubbliche annesse al Foro. A quest’ultimo appartiene verosimilmente un grande portico scoperto nel secolo scorso lungo il fianco sinistro del Duomo e la via del Belvedere: trattasi di un edificio allungato (m 130 x 18,40), preceduto da una gradinata con un colonnato ad est ed una serie d’ambienti ad ovest, pavimentati in signino, databile tra il II e il I secolo a. C. Un altro monumento superstite della città si trova nella Villa Palmeri (o Municipale), subito dopo l’ingresso da porta Palermo, a sinistra. Si tratta di resti di un edificio in opera cementizia, con paramento a blocchetti; falsamente identificato con la curia (ricordata da Cicerone: Verrine, II, 112). Non lontano è l'anfiteatro, uno dei tre conosciuti in Sicilia (oltre a quelli di Siracusa e di Catania): esso occupa la zona compresa tra via Garibaldi e via San Marco, dove un gruppo di case ne ha conservato la pianta. È in gran parte realizzato con paramento a blocchetti in opera cementizia, e presenta un doppio ambulacro, fatto notevole per un edificio così piccolo (m 98 x 75 circa). La cavea era in parte scavata e in parte costruita: resta una parte dell’ordine inferiore delle arcate, visibile sul alto occidentale (in via Anfiteatro). Non sappiamo se esistessero ordini superiori. L’anfiteatro, come gli altri simili della Sicilia, fu probabilmente realizzato in età augustea, in relazione con la deduzione della colonia. Negli stessi anni, e nella medesima occasione, dovette essere costruito l’acquedotto, il più importante e meglio conservato dell’isola. Le sorgenti si trovano 5 km ad est della città, alle falde del Monte Calogero. Qui, in località Brucato, si possono ancora vedere i resti delle due vasche di decantazione. Il passaggio del torrente Barratina avveniva in località Fontana Superiore. In un primo tempo dovette essere realizzato con un sifone lungo circa 600 m, del quale resta il castello di compressione a pianta esagonale, ben conservato, alto m 15,60 e poggiante su uno zoccolo quadrato di m 6 di lato. Su cinque dei lati si aprono finestre, e dal lato E partiva il condotto. Su questa torre era un tempo una grand’iscrizione, ora scomparsa: aquae Cornealiae ductus p. XX. L’ultima indicazione (“venti piedi”) corrisponde forse all’area di rispetto ai lati del manufatto. Più tardi sembra che l’acquedotto passasse più a valle: in contrada Figurella è ancora visibile un ponte a doppio ordine d’arcate (in origine nove nell’inferiore, quindici nel superiore: due archi per ogni ordine sono crollati), alto 14 m. La struttura, in opera cementizia con paramento in blocchetti, è la stessa dell’anfiteatro e della curia, e mostra d’appartenere allo stesso progetto edilizio, nel quale non si può identificare quello della colonia augustea. Nel Museo Civico, installato nell’ex-ospedale dei Fatebenefratelli (in via del Museo Civico, di fronte al Duomo), sono esposti numerosi ed importanti reperti provenienti dalla città e dal suo territorio. Tra questi, otto teste leonine della sima del Tempio della Vittoria a Himera.; due leoni in tufo del Foro; un mosaico con pesci; ritratti imperiali (ritratto giulio-claudio; di Agrippina maggiore; di Domiziano; di una dama traianea; statue togate). Inoltre, la ricchissima collezione epigrafica. Ad est di Termini, presso la foce del fiume Torto, è un rilievo roccioso (ultima propaggine del Monte Castellaccio) noto col nome di Mura Pregne, che raggiunge i 370 metri d’altezza. Ivi sono visibili cospicui resti di fortificazioni in opera poligonale appartenenti ad un centro antico. Resti d’occupazione a partire dall’età del Ferro (emersi in seguito ad alcuni saggi di scavo) dimostrano che si tratta di un centro indigeno, successivamente ellenizzato al momento della colonizzazione greca d’Himera, che è stato variamente identificato (Hippana, Kronion). Con la caduta dell'impero romano iniziò un periodo di decadenza della cittadina. Termini fu sede vescovile sino al XII secolo, anche se la serie dei vescovi presenta diverse lacune ed incertezze. Durante il dominio normanno divenne città regia e successivamente entrò a far parte delle città demaniali. Soprattutto dal medio evo e sino agli inizi del XIX secolo fu uno dei maggiori centri di raccolta ed imbarco del grano e di altre derrate che venivano stoccate e sottoposte a dazio in appositi magazzini (Regio Caricatore). La presenza del caricatore fece la fortuna della cittadina che divenne uno dei maggiori porti siciliani ed ebbe intensi rapporti commerciali con le repubbliche marinare (Contino & Mantia, 1997,1998, 2001 a, b; 2002a, b; 2003, 2004, 2005a,b,c) di Genova, Pisa e Venezia e con i maggiori porti mediterranei (Marsiglia,Barcellona etc.) e nel XVI secolo anche atlantici. Alla fine del Settecento fu sede della sezione Ereina Imerese dell'Accademia Ereina di Palermo e poco dopo dell'Accademia Euracea (per la storia di questo consesso si veda la voce Accademia Mediterranea Euracea). Nel XIX secolo la chiusura del Caricatore del Grano fu l'inizio di una profonda crisi economica che si attenuò solo alla fine del secolo quando si svilupparono attività artigianali e protoindustriali. Il calo demografico, legato soprattutto all'emigrazione verso le Americhe, fu compensato agli inizi del XX secolo da una immigrazione dall Agrigentino, dal Messinese e dal Ragusano.
Proseguendo in direzione di Messina, Cefalù, adagiata ai piedi della sua pittoresca rocca, appresta al visitatore un suggestivo repertorio d'arte. Tracce di frequentazione del sito risalgono all'epoca preistorica, in particolare in due grotte che si aprono sul lato settentrionale del promontorio su cui sorse la città. A un insediamento pre-ellenico si riferisce la cinta muraria di tipo megalitico, datata alla fine del V secolo a. C. , che circonda l'attuale centro storico ed è in gran parte ancora conservata, e il contemporaneo "tempio di Diana", un santuario costituito da un edificio megalitico, coperto con lastroni di pietra di tipo dolmenico che ospita una precedente cisterna più antica (IX secolo a.C.). Nel IV secolo a.C. i Greci diedero al centro indigeno il nome di Kefaloidion, dal greco kefalé, ovvero "capo"; riferito probabilmente al suo promontorio. Nel 307 a.C. venne conquistata dai Siracusani e nel 254 a.C. dai Romani, che le diedero in latino il nome di Cephaloedium. La città ellenistico-romana ebbe una struttura urbanistica regolare, formata da strade secondarie confluenti sul principale asse viario e chiusa ad anello da una strada che segue il perimetro della cinta muraria. Nel periodo del dominio bizantino l'abitato si trasferì dalla pianura sulla rocca e restano tracce di lavori di fortificazione di quest'epoca (mura merlate), oltre a chiese, caserme, cisterne per l'acqua e forni). La vecchia città non venne tuttavia del tutto abbandonata, come prova il recente rinvenimento di un edificio di culto cristiano, con pavimento in mosaico policromo risalente al VI secolo. Nell'858, dopo un lungo assedio, venne conquistata dagli Arabi, che le diedero il nome di Gafludi, e fece parte dell'emirato di Palermo. Di questo periodo si hanno tuttavia notizie scarse e frammentarie e mancano anche testimonianze monumentali. Nel 1063 fu liberata dai Normanni di Ruggero I e, nel 1131, fu rioccupato l'antico abitato sulla costa, rispettando la struttura urbana preesistente: a questo periodo risalgono parecchi dei monumenti cittadini, quali: * la chiesa di San Giorgio e il lavatoio di via Vittorio Emanuele * Il chiostro del duomo e il "Palazzo Maria" (forse domus regia di Ruggero II) in piazza del Duomo * l'Osterio Magno sul corso Ruggiero. Precisamente al 1131 è datata in particolare la basilica cattedrale. Tra la metà del XIII secolo e il 1451 passò sotto il dominio di diversi feudatari e da ultimo divenne possedimento del vescovo di Cefalù. La storia successiva di Cefalù si può assimilare a quella della Sicilia e del resto dell'Italia. Nel 1752 vi si iniziano a stabilire i consolati stranieri (Francia, Danimarca, Olanda, Norvegia e Svezia) e la città diventa meta del Grand Tour. Durante il Risorgimento vi venne fucilato il 14 marzo 1857 il patriota Salvatore Spinuzza. Dopo lo sbarco di Garibaldi la città proclamò la sua adesione al Regno d'Italia nel gennaio del 1861. Oggi è una località marina e una meta turistica per le sue spiagge e le opere d'arte che conserva.

Fonte:
Opuscolo informativo dell'A.A.P.I.T di Palermo.

 

Gli 82 comuni della provincia:



Cartina della provincia con rappresentati i confini comunali
Pos.
Comune
Abitanti
1 Palermo 660.085
2 Bagheria 55.797
3 Monreale 36.722
4 Carini 33.660
5 Partinico 31.797
6 Termini Imerese 27.458
7 Misilmeri 27.116
8 Villabate 20.247
9 Cefalù 13.774
10 Cinisi 11.679
11 Ficarazzi 11.394
12 Corleone 11.374
13 Terrasini 11.312
14 Belmonte Mezzagno 10.812
15 Casteldaccia 10.773
16 Santa Flavia 10.590
17 Capaci 10.570
18 Altofonte 10.117
19 Trabia 9.328
20 Castelbuono 9.294
21 San Giuseppe Jato 8.771
22 Caccamo 8.384
23 Gangi 7.263
24 Isola delle Femmine 7.170
25 Lercara Friddi 7.077
26 Borgetto 6.951
27 Marineo 6.834
28 Altavilla Milicia 6.740
29 Campofelice di Roccella 6.560
30 Montelepre 6.414
31 Balestrate 6.244
32 Piana degli Albanesi 5.986
33 San Cipirello 5.395
34 Cerda 5.344
35 Prizzi 5.281
36 Bisacquino 4.989
37 Caltavuturo 4.326
38 Collesano 4.130
39 Torretta 4.048
40 Bolognetta 3.980
41 Alia 3.979
42 Ciminna 3.920
43 Valledolmo 3.840
44 Polizzi Generosa 3.757
45 Castellana Sicula 3.665
46 Montemaggiore Belsito 3.661
47 Camporeale 3.535
48 Petralia Soprana 3.523
49 Villafrati 3.404
50 Lascari 3.401
51 Castronovo di Sicilia 3.276
52 Trappeto 3.125
53 Pollina 3.107
54 Petralia Sottana 3.079
55 Chiusa Sclafani 3.068
56 Mezzojuso 2.994
57 Vicari 2.945
58 Sciara 2.846
59 Roccapalumba 2.700
60 Palazzo Adriano 2.337
61 Alimena 2.249
62 Giardinello 2.199
63 Giuliana 2.147
64 Ventimiglia di Sicilia 2.092
65 Baucina 2.007
66 Contessa Entellina 1.973
67 Geraci Siculo 1.958
68 San Mauro Castelverde 1.947
69 Isnello 1.718
70 Roccamena 1.606
71 Bompietro 1.539
72 Campofiorito 1.384
73 Aliminusa 1.348
74 Ustica 1.335
75 Blufi 1.121
76 Godrano 1.112
77 Cefalà Diana 1.027
78 Gratteri 1.021
79 Santa Cristina Gela 921
80 Scillato 653
81 Campofelice di Fitalia 578
82 Sclafani Bagni 473

giovedì 11 novembre 2010

Il pane c'a meusa.

Il pane c'a meusa
11 Novembre 2010.

Pietanza tipica del cosiddetto "cibo da strada"

Il pane c'a meusa (panino con la milza) è un esempio di tradizione gastronomica italiana nel campo del cosiddetto "cibo da strada", precursore dell'odierno fast food. Questa pietanza, tradizione esclusiva di Palermo, consiste in una pagnotta morbida, sormontata da una spruzzata di sesamo, che viene imbottita da pezzetti di milza e polmone di vitello. La milza e il polmone vengono prima bolliti e poi, una volta tagliati a pezzetti, soffritti brevemente nella sugna. Il panino può essere integrato con caciocavallo grattuggiato (maritato) oppure semplice (schietto-celibe). 

Tipica l'attrezzatura del meusaro: una pentola inclinata
Dalle mani di un abile artigiano nasce una bontà succulenta.

Tipica l'attrezzatura del meusaro: una pentola inclinata all'interno della quale frigge lo strutto mentre in alto attendono le fettine di milza e polmone che devono essere fritte solo al momento. Una forchetta con due denti per carpire le fettine fritte, che vanno scolate brevemente e ficcate nella vastella anch'essa calda, e per questo custodita sotto un telo. Il panino va servito caldo, in mano all'avventore, in carta di pane. La maggior parte dei meusari sono ambulanti e si trovano nei mercati come la Vucciria. Il più famoso è l'Antica Focacceria San Francesco, che risale al lontano 1834, il cui proprietario ha fatto della battaglia contro il pizzo una coraggiosa scelta di vita denunciando i suoi estortori mafiosi.

Storia

L'origine di questo panino sembra risalire al medioevo, quando gli ebrei palermitani, impegnati nella macellazione della carne, non potendo percepire denaro per fede religiosa per il proprio lavoro, trattenevano come ricompensa le interiora che rivendevano come farcitura insieme a pane e formaggio. Cacciati da Ferdinando II di Aragona detto il cattolico, questa attività venne continuata dai caciottari palermitani. In realtà, il consumo di interiora, particolarmente diffuso a Palermo, è tipico di quelle comunità ove, al consumo di carne dovuto alla presenza di famiglie nobiliari, corrispondeva un utilizzo degli scarti della macellazione da parte del popolo. Il cibo pronto da strada è anche una tipicità araba. Si pensi al kebab, e a Palermo, accanto al panino con la milza, troviamo per strada anche il panino con panelle e/o crocchè (cazzille), le stigghiola, la frittola, il musso, i polipari, l'aringa, e tutta una serie di pietanze da consumere in piedi: arancine, calzoni, spiedini, ravazzate.

fonte:
  • tratto da: Wikipedia, l'enciclopedia libera

Altroconsumo - Free mini stereo

In Sicilia abbondano da sempre i cereali.

I cereali
11 Novembre 2010.

In Sicilia abbondano da sempre i cereali: lenticchie, fave, ceci e fagioli crecevano bene sull'isola e furono, per secoli, la base dell'alimentazione non solo contadina. Bastava un filo d'olio a farne piatto degno di un re. Un vero mistero si cela dietro il fagiolo: chi potrebbe mai immaginare che nello sfarzo del Rinascimento italiano, si potesse regalare un sacchetto di fagioli come dono di nozze? Eppure non furono poveri contadini a pensare a quell'insolito dono: è quanto fece, nel 1533, Alessandro de' Medici quando sua sorella Caterina andò sposa a Henri II, re di Francia. Capita sovente di leggere che quella pianta annua, erbacea delle Papilionacee, sia stata l'ultima arrivata nella cucina italiana assieme ad altre quattromila piante giunte dall'America: patate, arachidi,tabacco, pomodoro, cacao, mais ecc. ecc.

Il mistero sta nel fatto che in tutta la Sicilia si mangiavano fagioli neri già da alcuni secoli. Erano stati i musulmani, giunti in Sicilia nel IX secolo, a portarli da quel territorio chiamato "Mezzaluna fertile" e che va identificato oggi con Siria-Libano-Egitto. Lo scoprì nel 1949 il Professor Maxime Rodinson ricercando documenti arabi relativi alla cucina di corte dei secoli XII e XIII dove s'illustra l'evoluzione alimentare, e quindi, i cambiamenti degli usi gastronomici dell'immenso impero islamico. Si cita anche il riso: originario dell'India, arrivò in Sicilia ma trionfò a Palermo. Come pure la canna da zucchero, introdotta nelle zone iraniane dall'India e poi coltivata felicemente nell'Isola, particolarmente sulla fascia costiera della provincia di Palermo: da Villabate a Bagheria, e poi su tutta la costa occidentale dove nel 1410 i Beccadelli, principi di Camporeale, crearono il primo impianto industriale per la sua lavorazione. Un "trappetum cannamelarum" che darà il nome al comue di Trappeto. Naturalmente l'alimentazione " di corte ", quindi la cucina araba ricca, divenne ricercata e varia, spesso sontuosa per l'impegno di prodotti costosissimi. Si distinsero cuochi egiziani e turchi, ricercatissimi dai vari signori.

Furono ritenuti prodotti destinati all'èlite: il riso, lo zucchero, i fagioli e le lenticchie. Quelle dell'isola di Ustica sono, oggi, celebri e universalmente riconosciute come prodotto di grande interesse. Quando ai territori della "Mezzaluna fertile" si aggiunsero terre di Sicilia, ricche di acque e con clima più temperato, i fagioli ne trassero beneficio per la facilità di coltivazione, tanto da abbassarne il prezo rendendoli popolari. In un testo dell'arabo Al Jahiz, i fagioli sono indicati come "cibo plebeo" e finirono con l'essere ignorati nei successivi manoscritti di "alta cucina". Che i fagioli siciliani fossero già alimento pregiato della cucina europea, prima della fatidica scoperta dell'America, è documentato ampiamente. Nel celebre "Mènagier de Paris" della fine del XIV secolo, sono descritti ventiquattro menù; fra i "cibi per iniziare" c'è un "passato di fagioli". In ricettari tedeschi e francesi coevi, si consigliava un "impasto di fagioli e piselli" per farcire di magro animali da cuocere interi, allo spiedo: anatre, oche, galline e capponi, ma pure maialini e cinghiali. Lo conferma un attento studio del Professore Terence Scully in "The art of cookery in the Middle Age" pubblicato in USA nel 1995.

I contadini siciliani erano certi che facessero un gran bene. La tisana di baccelli riduce il colesterolo, la pressione alta ed ha azione antidiabetica. Applicati esternamente, sia il decotto che la farina di fagioli, sono ritenuti, nella medicina popolare, ottimi rimedi contro l'eczema cutaneo. Nei progetti del CNR (Centro Nazionale delle Ricerche) c'è pure il nostro fagiolo da cui si sta tentando di recuperare alcune proteine di grande interesse per l'alimentazione del futuro. Il fagiolo sembra essere di buon auspicio: in italiano, si dice "capitare a fagiolo", "andare a fagiolo" e pure "sfagiolare" nel senso di gradire, andare a genio... In siciliano il fagiolo è femminile. Si dice "fasòla" nome pure di un'antica danza popolare. Purtroppo c'entra poco con il fagiolo: il curioso nome viene dalle battute musicali Fa-sol-La. Peccato.

Ai musulmani si deve pure l'arrivo del riso in Sicilia. Lo conoscevano benissimo i Sicelioti, con il nome di "oryza",costosa medicina che veniva dall'Oriente. Sicuramente dal Giappone proveniva quello che attecchì in epoca araba: "oryza sativa japonica", per i botanici. Si parla e si scrive tanto sulle coltivazioni del riso in varie parti dell'Isola, ma non c'è un solo documento in proposito. E' da supporre che il riso, probabilmente, fu soltanto commercializzato e non prodotto. A Palermo non si è mai trasformato in fumanti risotti. Nella cucina raffinata dei "Monsù", invece, prese le sembianze di profumatissimi timballi. In quella popolare è elemento fondamentale per minestre di verdure e sublimi arancine ripiene di ragù di carne.

Tratto dall'opuscolo informativo "alla scoperta della provincia di Palermo - Cucina storia e tradizioni" edito dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'incremento Turistico di Palermo, sita a Palermo alla piazza Castelnuovo 35. Il webmaster del sito, Francesco Toscano, ringrazia l'AAPIT per la gentile concessione fattagli a seguito della quale è stato possibile realizzare questa e le successive pagine web.
L'azienda è presente sul web all'indirizzo:

I formaggi siciliani: il pecorino.

I formaggi siciliani
11 Novembre 2010.

Il più illustre dei formaggi siciliani, il pecorino, ha un testimonial letterario di tutto rispetto: Omero. Sissignori. Quando Ulisse ed i suoi compagni entrano nell'antro di Polifemo, sull'Etna, trovano "cacio, latte e tanta uva". Con quell'uva faranno il vino con cui ubriacheranno il ciclope, fuggendo nascosti nel vello delle pecore. Quindi quel cacio era un "pecorino". Si produce nel Palermitano - non solo sulle pendici dell'Etna - perchè l'ovinicoltura è una delle grandi ricchezze del territorio, con un arco di maggiore produzione nelle zone di Godrano, Cinisi e in alcuni Comuni limitrofi. Si produce pure il famoso caciocavallo, che deve la curiosa assonanza equestre perchè messo "a cavallo delle canne" per asciugare. E' prodotto con il latte delle "Cinisare", mucche allevate allo stato brado, sfruttando i pascoli naturali della zona di Cinisi, ricchi di essenze foraggere tipiche dell'ambiente mediterraneo. Già nel 1412, come si rileva dal calmiere imposto per i mercati della città di Palermo, si distingue tra "cacio vacchino" e "caciocavallo". Dal 1549 al 1553 è indicato nella "dieta delle suore" del monastero di San Castrenze di Monreale, e lo ritroviamo, in data 23 febbraio 1679, in un "rinfresco" aristocratico. Re Ferdinando di Borbone, da Palermo, inviava "casicavalli", come pegno d'amore, alla sua favorita, Donna Lucia Migliaccio duchessa di Floridia. Palermo è la capitale dei pecorini: ricotta, primosale, tuma e cannestrato riescono a soddisfare i palati più esigenti.

Tratto dall'opuscolo informativo "alla scoperta della provincia di Palermo - Cucina storia e tradizioni" edito dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'incremento Turistico di Palermo, sita a Palermo alla piazza Castelnuovo 35. Il webmaster del sito, Francesco Toscano, ringrazia l'AAPIT per la gentile concessione fattagli a seguito della quale è stato possibile realizzare questa e le successive pagine web.
L'azienda è presente sul web all'indirizzo:

La pasta nella provincia di Palermo.

La pasta con le sarde
11 Novembre 2010.
A Palermo la pasta è un pezzo di storia. Furono i musulmani a creare, nei primi anni del X secolo a Trabia - a pochi chilometri dal capoluogo - il pirmo impianto per la produzione di "itria", gli spaghetti, da cui deriverebbe il nome del paese. Pare che li abbia portati Marco Polo dal lontano Catai: sarà anche vero, ma questo succedeva alla fine del XIII secolo ed i palermitani mangiavano spaghetti già da trecento anni. Si esportavano, in epoca normanna, "nelle Calabrie". Termine che indicava non solo la Calabria, ma pure Puglia, Basilicata e Campania. Fu con il pane, la prima "materia plastica" alimentare che non aveva più alcun rapporto con l'elemento di provenienza: un prodotto del'ingegno umano.


PASTE CON LE SARDE

ingredienti(4 persone):
Bucatini gr. 400, sarde fresche gr. 800, finocchietto di montagna gr. 500, uva passa gr. 30, pinoli gr. 30, due sardine sottosale, una grossa cipolla, un bicchiere di vino bianco, mezzo bicchiere di olio di oliva, una bustina di zafferano, sale e pepe.

La "pasta con le sarde" è una esperienza unica perchè pranzo completo. Comprende la pasta, pesce e verdura; fu il primo piatto "mari e monti" della storia, nato oltre mille anni fa. Entrò in tutte le case e finanche nei conventi. La sua variante più celebre, la "pasta alla palina" fu creata nel palermitano convento di San Francesco di Paola: i Padri Paolini, la cui Regola prevede l'osservanza più stretta nel "mangiare di magro", tolsero pure le sarde. Poichè i "Paolini" sono dialettalmente intesi "Palini", quel piatto si effeminò in "palina". Altra delizia palermitana: gli "anelletti al forno", immancabili compagni di pic nic in campagna e giornate sulle spiagge al fresco riparo di un ombrellone. Occasione di competizioni fra suocere e nuore visto che la ricetta è, ancora oggi, affidata alla personale interpretazione. A Casteldaccia ed a Corleone soprattutto - in provincia di Palermo - continua, fortunatamente, l'antica tradizione dei maestri pastai. Piccole aziende continuano a fare la pasta con il buon grano duro, come si faceva un tempo, per la gioia degli estimatori. Altri primi meno "unici", ma altrettanto sostanziosi includono la pasta con le acciughe, al nero di seppia, , alla carrettera (aglio, olio, peperoncino e pecorino), con i broccoli o alla Norma (pomodoro e melanzane). Tra le minestre da provare il maccu di fave (con finocchietto e pomodoro).


Ttratto dall'opuscolo informativo "alla scoperta della provincia di Palermo - Cucina storia e tradizioni" edito dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'incremento Turistico di Palermo, sita a Palermo alla piazza Castelnuovo 35. Il webmaster del sito, Francesco Toscano, ringrazia l'AAPIT per la gentile concessione fattagli a seguito della quale è stato possibile realizzare questa e le successive pagine web.
L'azienda è presente sul web all'indirizzo:

Le verdure: Asparagi,lattughe,cicoria....

11 Novembre 2010.

Asparagi,lattughe,cicoria,borragine,spinaci,cavoli,cavolfiori,broccoli,indivia,ortica,scarola,finocchio,sedano:furono cibo e medicina, oggi un modo per riflettere su una scelta di vita a tavola.Non dimentichiamo che la verdura fu cibo dei palermitani più poveri e dei contadini che non disponevano di carni o pesci freschi, sia per l'alto costo che per la mancanza di sistemi di refrigerazione.Furono le verdure ed il pinolo ad evitare pericolose intossicazoini, fungendo da antisettico, vermifugo e, comunque, da antidoto.Verdure e ortaggi hanno un loro sovrano nel territorio palermitano: il carciofo. Cresceva spontaneo (ancora oggi) il cardo, tipico dei terreni aridi e sassosi: "plernix" per i greci. Più tardi per gli arabi fu "Karsciuf", una delizia anche per gli angioini che, in francese naturalmente, lo chiamavano "chardon". Per indicare quello spazio dove ne crescevano tanti spontaneamente, fra la città e il Monte Pellegrino, dissero "où il y a les chardons", cioè dove ci sono i cardi. Oggi è celebre, universalmente, come Ucciardone, una delle prigioni cittadine. Le varietà di carciofi sono numerosissime, ma lo "spinoso di Palermo" resta una vera delizia che vi serviranno sott'olio, sott'aceto, al naturale e in oltre cento ricette, come è possibile assaggiare a Cerda, "capitale del carciofo", a due passi da Palermo.
Il medico di re Luigi XIV, La Framboisière, scrisse che "il carciofo scalda il sangue e lo eccita ai combattimenti amorosi". Nel Medioevo fu proibito alle fanciulle "inducendo il suo succo alle tentazioni del demonio" ....Lo stesso succo fu usato come test di gravidanza: infatti Castore Durante scrisse: " Alla donna si dia da bere il succo di foglie di carciofo, se essa lo vomiterà è segno che è gravida...Provare per credere.

Verdure bollite, pronte da portare a casa, si vendevano già 2500 anni fa nel "thermopolion" delle città greche di Sicilia. Le verdure dai mille sapori raggiunsero un'elevata dignità gastronomica grazie al gustoso olio d'oliva siciliano. Più tardi si accompagnarono egregiamente con una salsa molto economica in uso preso le comunità ebraiche siciliane e cioè l'aglio soffritto nell'olio d'oliva. Una salsa apprezzata dai "Monsù", ideale per "assaisonner", ossia per condire verdure, dando vita ai numerosi piatti "assassunati" della cucina palermitana.

Tratto dall'opuscolo informativo "alla scoperta della provincia di Palermo - Cucina storia e tradizioni" edito dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'incremento Turistico di Palermo, sita a Palermo alla piazza Castelnuovo 35. Il webmaster del sito, Francesco Toscano, ringrazia l'AAPIT per la gentile concessione fattagli a seguito della quale è stato possibile realizzare questa e le successive pagine web.
L'azienda è presente sul web all'indirizzo:

Il pesce nella cucina palermitana.

11 Novembre 2010.

Palermo e la sua provincia onorano il pesce cucinato in modo semplice e antico per poterne esaltare tutta la freschezza.

Lessato e accompagnato da olio extra vergine d'oliva, succo di limone fresco e prezzemolo; arrostito sulla brace, con un profumato "salmoriglio"; fritto croccante, sfumato all'aceto, marinato nel succo di limone, in agrodolce, alla pescatore, oppure al forno su un verde, delicato cuscino di alghe. E poi ancora zuppe e brodini dove lo zafferano rimanda ad orientali profumi da bazar arabo. Agli amanti del pesce, Palermo offre piatti magici in una passerella di colori, sapori, odori sempre diversi: calamari, totani,gamberi, aragoste, polpi, sogliole, pagelli, ricciole, orate, dentici, branzini, cernie, triglie, sgombri, boghe, scorfani, sardine...Ma anche lo squalo, sotto le mentite spoglie di palumbo, gattuccio ecc. ritenuti indispensabili in una zuppa di pesce. Tonno e pescespada sollecitano la fantasia di abilissimi chefs che inventano sempre nuove tentazioni: basta leggere gli invitanti menù di ristoranti e trattorie. Il tonno sott'olio fu invenzione tutta palermitana quando il tonno era la carne dei poveri. Naturalmente il migliore è stato sempre quello dalla "pinna rossa". La precisazione è d'obbligo. Si comprava per San Giovanni o San Pietro perchè costava poco: in effetti basta immaginare in che condizioni fosse il tonno, pescato normalmente nel mese di maggio, alla data del 24 o del 29 giugno. In epoco in cui non esistevano sistemi di refrigerazione. Quel maleodorante tonno era bollito e conservato sott'olio con foglie di alloro e grani di pepe: una manipolazione che lo trasformava in un autentico peccato di gola. Delizia delle serate estive quando si ha poca voglia di stare davanti ai fornelli. Poi finì in scatola e oggi, si spezza con un grissino.... Provate, invece, ad assaggiare quello scuro, quasi marrone, profumatissimo e che un grissino non riuscirà mai a intaccare!

LE ANTICHE TONNARE

Nel tratto di mare che va da Terrasini fino a Cefalù, lungo la costa palermitana, esistettero decine di antichissime "tonnare"


Le ultime tonnare, quella di mondello e di trabia, hanno resistito fino agli anni Cinquanta. Al Museo Mandralisca di Cefalù è conservato un antico boccale siceliota, lavorato a Lipari, su cui è riprodotto un venditore di tonno, nell'atto di affettare le carni del pesce, mentre discute con un cliente che, nella desra, mosra la moneta per il pagamento. Una tradizione millenaria che, ogni anno, si rinnova a maggio e che riflette una plurisecolare civiltà. Come un codice di identificazione: da una parte c'è la civiltà del maiale, del grasso, del burro; dall'altra, invece, quella del tonno, del sale, dell'olio d'oliva. Sia il maiale che il tonno sono stati utili allo sviluppo dell'umanità. Intanto perchè ci hanno nutriti, e ci nutrono ancora, con le loro carni fresche, e poi perchè ci hanno fornito proteine in tempi di carestie e penurie alimentaricome "cibo conservato". Di loro non si butta via niente. Non per nulla i palermitani chiamarono il tonno "maiale di mare". Con le code si fabbricarono le scope; con le spine più grosse, legate assieme, spzzoloni per pulire le carene dei bastimenti.

IL TONNO OGGI


Oggi i tonni con si pescano più nelle "tonnare" , ma in mare aperto e per tutto l'anno. Fino agli ultimi anni Cinquanta erano 32 gli "stalli", cioè le parti in cui si divideva la carne, poi ridotti a 25 fino a metà degli anni Settanta. Oggi, purtroppo, il tonno viene lavorato in blocco togliedo soltanto la testa, la coda, le pinne e le interiora. Le parti più pregiate si mangiano ancora oggi fresche: affettate e cotte sulla brace con un battuto di olio, limone, origano e menta, come consigliava Archestrato di Gela, vissuto attorno al III sec. a.C. Assicura, nei suoi versi, che l'odore di quel piatto "farà venire l'acquolina in bocca anche agli dei dell'Olimpo". Tagliato a grossi tocchi si fa ancora " a ragù", con salsa di pomodoro, aglio e menta. Una delizia... Un tempo, le parti magre meno nobili si tagliavano in tranci, si mettevano sotto sale e si stivavano in botti di legno; attraverso un foro si "rinnovava " la salamoia per 40 giorni. Poi si spedivano nel mondo intero. Il mercato non lo richiede più perchè il sale, come è noto, provoca ipertensione. E di quella, nel mondo, pare che ce ne sia già troppa.


Tratto dall'opuscolo informativo "alla scoperta della provincia di Palermo - Cucina storia e tradizioni" edito dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'incremento Turistico di Palermo, sita a Palermo alla piazza Castelnuovo 35. Il webmaster del sito, Francesco Toscano, ringrazia l'AAPIT per la gentile concessione fattagli a seguito della quale è stato possibile realizzare questa e le successive pagine web.
L'azienda è presente sul web all'indirizzo:

Dalle economiche melanzane un piatto tipico: "La caponata"

11 Novembre 2010.

Della cucina popolare siciliana "la parmiciana" e la "caponata" sono i piatti tipici palermitani più conosciuti. Le economiche melanzane furono trasformate dal popolo in quaglie: bastarono due spacchi ai lati e il gambo lasciato intero a ricordare un ipotetico collo senza testa. Affettate e fritte furono disposte in una teglia rettangolare in modo da sembrare una "parmiciana" che in dialetto è la persiana. Altro che cacio di Parma. Con le stesse economiche melanzane, il popolo creò il vero capolavoro della cucina popolare palermitana: la caponata. Qui i tocchetti di melanzane fritte affogano nell'antichissima salsa "agrodolce" in compagnia dei profumati capperi e delle olive verdi carnose. Questo piatto, considerato "la regina" della cucina popolare, è uno dei grandi misteri della sua storia gastronomica. Il consumo delle melanzane, nelle diverse qualità, fu introdotto dai musulmani: furono affettate e fritte in olio d'oliva, arrostite sulla brace, impanate come cotolette, usate come scodelle per contenere pasta corta. Il suo trionfo in cucina, però, fu decretato quando si coniugò con una antichissima salsa che veniva dalla Persia pre -islamica: l'agrodolce. Una salsa nata da un concetto filosofico-religioso. Infatti, secondo gli insegnamenti di Zarathustra, la dinamicità che la materia trasse dal nulla, destò una forza opposta da cui nache lo spirito del "Male", distruttore dell'armonia dell'Universo. L'uomo, quindi, doveva tendere a ristabilire l'equilibrio delle energie: fra sole e luna, fra bianco e nero, fra dolce e aspro...L'agrodolce, dunque, fu salsa "armoniosa" con il giusto equilibrio per arrivare all'anima.

Le origini e i misteri di una insalata fantastica

I misteri circa la caponata riguardano il nome e la data di nascita: essendo divenuto cibo da poveri non venne mai preso in considerazione dai letterati, cosa non rara per buona parte dei piatti della cucina dell'Isola. Il nome compare per la prima volta in "Etymologicum siculum", stampato a Messina nell'anno 1759: alla voce "caponata" si legge " piatto fatto di cose varie"!
Nel 1853, Vincenzo Mortillaro, illustre studioso di cose siciliane, scrisse che fra gli ingredienti, oltre il pesce, ci sono melanzane o carciofi, capperi e olive. Come mai pure il pesce?
Secondo alcuni studiosi, quella salsa agrodolce veniva acquistata dai marinai dalle taverne (cauponae, in latino) e serviva a condire l'insipida galletta di bordo, biscotto duro e senza sale. I naviganti, spiritosamente, avevano chiamato quel biscotto "cappone di galera" e lo mangiavano arricchendolo (e ammorbidendolo...) con verdure cotte, pesce e quanto di più eterogeneo ed a buon mercato riuscivano a trovare. Insomma una insalata. E come tale, tecnicamente, viene ancora oggi considerata. Altri, invece, sostengono che il nome derivi dalla cucina dei "Monsù" perchè quella salsa fu usata per una conservazione " a breve" di fagiani, lepri e soprattutto di capponi. Da qui "capponata", ridotta a "caponata" dai poveraci che vi affogarono tocchetti di melanzane fritte ivece dei più nobili ingredienti. Quella salsa, inoltre, fu ritenuta ottima per "appareiller", in francese "mettere assieme" cose diverse, e così finì per diventare "apparecchio", cioè una salsa per condire a freddo sia cernie che carciofi: trance di "cernia apparecchiata" o "carciofi apparecchiati" si servono a Palermo ancora oggi come estive delizie. Si contano ben 37 ricette di caponata, tutte rigorosamente documentate storicamente. La caponata, sicuramente la più antica, prevede: gallette da marinario, capperi sotto sale, olive verdi snocciolate, acciughe salate, filetti di tonno sotto sale, olio d'oliva, aceto di vino bianco, un pò di miele e sale. Quanti tipi di caponata si fanno ai nostri giorni? Un numero infinito, certamente, perchè l'interpretazione è ancora affidata alla fantasia e alla creatività di chiunque. Conseguenza dello spiccato individualismo isolano.
Tratto dall'opuscolo informativo "alla scoperta della provincia di Palermo - Cucina storia e tradizioni" edito dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'incremento Turistico di Palermo, sita a Palermo alla piazza Castelnuovo 35. Il webmaster del sito, Francesco Toscano, ringrazia l'AAPIT per la gentile concessione fattagli a seguito della quale è stato possibile realizzare questa e le successive pagine web.
L'azienda è presente sul web all'indirizzo:

Post in evidenza

Recensione del romanzo giallo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano, redatta dalla lettrice Maria Giulia Noto.

Buonasera!  Oggi mi pregio di pubblicare la recensione del romanzo giallo "L'infanzia violata", dello scrivente Francesco ...

I post più popolari

La storia dei blog e di "Sicilia, la terra del Sole."

Cenni storici sul Comune di Palermo,Monreale, la Sicilia in genere.News su società e cultura. News dalle Province Siciliane. Storia di Palermo e della Sicilia dalla preistoria ai giorni nostri. Elementi di archeologia misteriosa,della teoria del paleocontatto.


La storia del blog nasce nel 1997 in America, quando lo statunitense Dave Winter sviluppò un software che permise la prima pubblicazione di contenuti sul web. Nello stesso anno fu coniata la parola weblog, quando un appassionato di caccia statunitense decise di parlare delle proprie passioni con una pagina personale su Internet. Il blog può essere quindi considerato come una sorta di diario personale virtuale nel quale parlare delle proprie passioni attraverso immagini, video e contenuti testuali. In Italia, il successo dei blog arrivò nei primi anni 2000 con l’apertura di diversi servizi dedicati: tra i più famosi vi sono Blogger, AlterVista, WordPress, ma anche il famosissimo MySpace e Windows Live Space. Con l’avvento dei social network, tra il 2009 e il 2010, moltissimi portali dedicati al blogging chiusero. Ad oggi rimangono ancora attivi gli storici AlterVista, Blogger, WordPress e MySpace: sono tuttora i più utilizzati per la creazione di un blog e gli strumenti offerti sono alla portata di tutti. Questo blog, invece, nasce nel 2007; è un blog indipendente che viene aggiornato senza alcuna periodicità dal suo autore, Francesco Toscano. Il blog si prefigge di dare una informazione chiara e puntuale sui taluni fatti occorsi in Sicilia e, in particolare, nel territorio dei comuni in essa presenti. Chiunque può partecipare e arricchire i contenuti pubblicati nel blog: è opportuno, pur tuttavia, che chi lo desideri inoltri i propri comunicati all'indirizzo di posta elettronica in uso al webmaster che, ad ogni buon fine, è evidenziata in fondo alla pagina, così da poter arricchire la rubrica "Le vostre lettere", nata proprio con questo intento. Consapevole che la crescita di un blog è direttamente proporzionale al numero di post scritti ogni giorno, che è in sintesi il compendio dell'attività di ricerca e studio posta in essere dal suo creatore attraverso la consultazione di testi e documenti non solo reperibili in rete, ma prevalentemente presso le più vicine biblioteche di residenza, mi congedo da voi augurandovi una buona giornata. Cordialmente vostro, Francesco Toscano.