Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

  • A proposito degli alieni....

    Il saggio dal titolo "A proposito degli alieni....", di Francesco Toscano e Enrico Messina

    Sinossi: Fin dalla preistoria ci sono tracce evidenti del passaggio e dell’incontro tra esseri extraterrestri ed esseri umani. Da quando l’uomo è sulla Terra, per tutto il suo percorso evolutivo, passando dalle prime grandi civiltà, all’era moderna, sino ai giorni nostri, è stato sempre accompagnato da una presenza aliena. Lo dicono i fatti: nei reperti archeologici, nelle incisioni sulle rocce (sin qui rinvenute), nelle sculture, nei dipinti, in ciò che rimane degli antichi testi, sino ad arrivare alle prime foto e filmati oltre alle innumerevoli prove che oggi con le moderne tecnologie si raccolgono. Gli alieni ci sono sempre stati, forse già prima della comparsa del genere umano, e forse sono loro che ci hanno creato.

  • Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.

    Il saggio dal titolo "Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Milioni di persone in tutto il mondo credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E se fosse vero? Questo libro nasce proprio per questo motivo, cercare di dare una risposta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, al quesito anzidetto. L`archeologia spaziale, o archeologia misteriosa, è definibile come la ricerca delle tracce, sotto forma di particolari reperti archeologici o delle testimonianze tramandate nel corso dei millenni, di presunti sbarchi sulla Terra di visitatori extraterrestri avvenuti all’alba della nostra civiltà.

  • Condannato senza possibilità d'appello

    Il romanzo breve dal titolo "Condannato senza possibilità d'appello.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Le concezioni primitive intorno all`anima sono concordi nel considerare questa come indipendente nella sua esistenza dal corpo. Dopo la morte, sia che l`anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d`animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica, seguirà sempre il volere di Dio; cioè il volere dell’Eterno di consentire alle anime, da lui generate e create, di trascendere la vita materiale e innalzarsi ad un piano più alto dell’esistenza, imparando, pian piano, a comprendere il divino e tutto ciò che è ad esso riconducibile.

  • L'infanzia violata, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano

    Sinossi: Dovrebbero andare a scuola, giocare, fantasticare, cantare, essere allegri e vivere un'infanzia felice. Invece, almeno 300 milioni di bambini nel mondo sono costretti a lavorare e spesso a prostituirsi, a subire violenze a fare la guerra. E tutto ciò in aperta violazione delle leggi, dei regolamenti, delle convenzioni internazionali sui diritti dell'infanzia. La turpe problematica non è lontana dalla vostra quotidianità: è vicina al luogo in cui vivete, lavorate, crescete i vostri bambini. Ad ogni angolo dei quartieri delle città, dei paesi d'Italia, è possibile trovare un'infanzia rubata, un'infanzia violata.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei "ru viddrani", Don Ciccio, "u pastranu", capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un'acredine che amplifica l'entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea Romanescu, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il fantasy dal titolo "E un giorno mi svegliai", di Francesco Toscano

    Sinossi: "E un giorno mi svegliai" è un fantasy. Il personaggio principale del libro, Salvatore Cuzzuperi, è un impiegato residente nella provincia di Palermo che rimane vittima di un'esperienza di abduction. Il Cuzzuperi vivrà l'esperienza paranormale del suo rapimento da parte degli alieni lontano anni luce dal pianeta Terra e si troverà coinvolto nell'aspra e millenaria lotta tra gli Anunnaki, i Malachim loro sudditi, e i Rettiliani, degli alieni aventi la forma fisica di una lucertola evoluta. I Rettiliani, scoprirà il Cuzzuperi, cercano di impossessarsi degli esseri umani perché dotati di Anima, questa forma di energia ancestrale e divina, riconducibile al Dio Creatore dell'Universo, in grado di ridare la vita ad alcune specie aliene dotate di un Dna simile a quello dell'uomo, fra cui gli stessi Rettiliani e gli Anunnaki. Il Cuzzuperi perderà pian piano la sua umanità divenendo un Igigi ammesso a cibarsi delle conoscenze degli "antichi dèi", ed infine, accolto come un nuovo membro della "fratellanza cosmica".

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei “ru viddrani”, Don Ciccio, “ù pastranu”, capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un’acredine che amplifica l’entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea ROMANESCU, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • Naufraghi nello spazio profondo, di Francesco Toscano

    Il romanzo di fantascienza dal titolo "Naufraghi nello spazio profondo ", di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza.

  • Malacarne, di Francesco Toscano

    Libro/E-book: Malacarne, di Francesco Toscano

    Sinossi: Nella primavera dell'anno 2021 a Palermo, quando la pandemia dovuta al diffondersi del virus denominato Covid-19 sembrerebbe essere stata sconfitta dalla scienza, malgrado i milioni di morti causati in tutto il mondo, un giovane, cresciuto ai margini della società, intraneo alla famiglia mafiosa di Palermo - Borgo Vecchio, decide, malgrado il suo solenne giuramento di fedeltà a Cosa Nostra, di vuotare il sacco e di pentirsi dei crimini commessi, così da consentire alla magistratura inquirente di assicurare alla giustizia oltre sessanta tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria Gesù. Mentre Francesco Salvatore Magrì, inteso Turiddu, decide di collaborare con la Giustizia, ormai stanco della sua miserevole vita, qualcun altro dall'altra parte della Sicilia, che da anni ha votato la sua vita alla Legalità e alla Giustizia, a costo di sacrificare sé stesso e gli affetti più cari, si organizza e profonde il massimo dell'impegno affinché lo Stato, a cui ha giurato fedeltà perenne, possa continuare a regnare sovrano e i cittadini possano vivere liberi dalle prevaricazioni mafiose. Così, in un turbinio di emozioni e di passioni si intrecciano le vite di numerosi criminali, dei veri e propri Malacarne, e quella dei Carabinieri del Reparto Operativo dei Comandi Provinciali di Palermo e Reggio di Calabria che, da tanti anni ormai, cercano di disarticolare le compagini mafiose operanti in quei territori. Una storia umana quella di Turiddu Magrì che ha dell'incredibile: prima rapinatore, poi barbone e mendicante, e infine, dopo essere stato "punciutu" e affiliato a Cosa Nostra palermitana, il grimaldello nelle mani della Procura della Repubblica di Palermo grazie al quale potere scardinare gran parte di quell'organizzazione criminale in cui il giovane aveva sin a quel momento vissuto e operato.

  • NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA , di Francesco Toscano

    Libro/E-book: NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA,di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza. Nel giro di pochi anni, pur tuttavia, a differenza di quanto auspicatosi dagli scienziati che avevano ideato e progettato la missione Marte, l’ingegnere MIGLIORINI e la sua progenie sarebbero rimasti coinvolti in un’aspra e decennale guerra combattuta da alcuni coloni di stanza sul pianeta Marte e da altri di stanza sulla superficie polverosa della nostra Luna, per l’approvvigionamento delle ultime materie prime sino ad allora rimaste, oltre che per l’accaparramento del combustibile, costituito da materia esotica e non più fossile, di cui si alimentavano i motori per viaggi a velocità superluminale delle loro superbe astronavi; ciò al fine di ridurre le distanze siderali dello spazio profondo e al fine di generare la contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali, che avrebbero consentito loro di percorrere le enormi distanze interstellari in un batter di ciglia...




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giovedì 19 settembre 2024

La città di Palermo e le sue mille contraddizioni.


Palermo, 19 settembre 2024.

Palermo è una città piena di contraddizioni. Se da un lato è una città ricca di storia e cultura, come evidenziato dalla presenza di antichi assi viari come via Maqueda, quartieri storici come l'Albergheria, e monumenti che ricordano le diverse dominazioni subite dalla città, dall'altro lato Palermo è anche una città segnata dal degrado sociale, dalla criminalità organizzata e dalla difficoltà di reintegrarsi nella società per chi ha un passato difficile

Questa duplice natura di Palermo è evidente in molti aspetti della vita cittadina:

Turismo: Palermo è una città che attrae turisti per la sua bellezza e la sua storia, ma allo stesso tempo deve affrontare le sfide del degrado e della criminalità. Palermo è una delle città più affascinanti d’Europa: tra le vie del suo centro storico scoprirete i luoghi più incredibili. Palermo è una città moderna, multietnica e tra le più sicure del mondo (cfr. i dati pubblicati da il Sole 24 Ore a questo link: Reati, furti, rapine: scopri l’indice della criminalità 2024 della tua provincia | Il Sole 24 ORE). Per chi ha voglia di esplorare, preparatevi a grandi sorprese: strade e vicoli della città vecchia si aprono su monumenti e splendide chiese che svariano dal periodo normanno fino al magnifico barocco siciliano. E poi, a pochi chilometri dalla città deliziosi luoghi caratteristici aspettano i visitatori che hanno voglia di sole e mare. Tutto questo dentro una cornice multietnica che colora le strade e i mercati storici dove puoi gustare lo street food più originale;
Criminalità organizzata: La mafia è una realtà radicata a Palermo, come si evince dalla presenza  di famiglie mafiose che controllano il territorio e influenzano la vita dei cittadini onesti residenti nel capoluogo siciliano (Curiosità: Era il 15 novembre del 2000 e la città di Palermo fece da cornice alla firma della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale. Entrò in vigore il 29 settembre 2003 con l'adesione, ad oggi, di 190 Stati dell'Onu su 193.Grazie a quell'intesa non esistono più battaglie solitarie contro un fenomeno che non ha un'appartenenza territoriale, ma ogni Stato può contare sulla collaborazione degli altri Paesi, sulla condivisione delle competenze e delle esperienze nazionali. 
Economia: Palermo è una città con un'economia fragile, in cui molti giovani sono costretti a lasciare la città natia per cercare lavoro. La provincia di Palermo produce da sola quasi un quarto del PIL regionale (16 mln di euro nel 2002. La sua è una ricchezza prodotta soprattutto dai servizi, che con l'85% costituiscono il volano dell'economia; 
l'industria è ferma al 12% e l'agricoltura al 3%. Questa ipertrofia del terziario è causata soprattutto dall'elefantiaca preponderanza degli impieghi nella PA, che produce da sola il 25% del PIL. Nonostante ciò il tasso di disoccupazione è parecchio alto, considerato anche che l'industria non riesce ad assorbire che il 13% degli occupati e l'agricoltura il 4%. Dal punto di vista occupazionale poi, l'AM di Palermo coinvolge da sola il 71% degli addetti, lasciando ai comuni di secondo anello (il 37% della popolazione provinciale) un misero 29%. 
A Palermo si riscontrano nel terziario elevati livelli di occupazione soprattutto nella distribuzione commerciale e nella PA mentre il terziario avanzato raccoglie soprattutto consulenti legali, contabilità, revisione dei conti e consulenza fiscale, oltre a informatici e PR. Il terziario è così gonfiato anche perché l'unico settore dove i giovani cercano lavori adeguati. Nel frattempo la legge del 1997 che obbliga di iscrivere le imprese agricole nel registro camerale ha fatto crollare le richieste. Palermo comunque non brilla per terziario avanzato, e sono frequenti soprattutto le aperture di attività di ristorazione. Nel secondario industriale, l'AM contiene l'85% delle attività, e in particolare PA ne possiede il 58%. Non è un settore quantitativamente significativo ma annovera importanti industrie connesse alle telecomunicazioni, alla produzione di beni meccanici e di semilavorati, alla filiera agroalimentare e a quella conserviera. Oltre Palermo brillano Termini Imerese e Carini. Termini Imerese ha legato il suo nome alle industrie metalmeccaniche, gravitanti per lo più intorno alla FIAT auto che qui possedeva un impianto di assemblaggio di automobili di piccola cilindrata i cui componenti venivano da stabilimenti già decentrati. Carini invece annovera industrie di varie specie: edile, chimico, alimentare, meccanico;
Ambiente:  Il mare di Palermo, un tempo pulito e ricco di vita, è oggi inquinato e degradato dall'azione dell'uomo; la città, agli occhi dei cittadini e dei molti turisti, appare, spesso, sporca e lasciata all'incuria (cfr. Palermo bella ma troppo sporca, il mortificante verdetto dei turisti e l’indifferenza strafottente dei palermitani - la Repubblica).
In sintesi, Palermo è una città di contrasti, in cui la bellezza si scontra con il degrado, la speranza si scontra con la violenza, e il passato si intreccia con il presente. I quartieri cittadini offrono uno spaccato di questa complessa realtà, mostrando sia le luci che le ombre di una città affascinante e problematica allo stesso tempo.

Cordiali saluti, 
Francesco Toscano

venerdì 12 novembre 2010

La Sicilia durante l'alto medioevo.

La Zisa, Palermo
La Sicilia durante l'alto medioevo ha avuto una storia che presenta caratteristiche peculiari. Sono mancati, in primo luogo, stanziamenti stabili di popoli germanici sul substrato sociale romano o romanizzato, come è invece avvenuto nelle altre province dell'impero d'occidente. Per questo motivo non ritroviamo nella realtà isolana molti dei caratteri distintivi del medioevo europeo (niente guglie che dopo aver trafitto gli uomini feriscono il cielo). A una breve e poco incisiva fase barbarica, in netta contrapposizione al progressivo ridursi della presenza bizantina nella penisola italica proprio a causa delle invasioni barbariche, seguì la dominazione bizantina, che durò oltre tre secoli, orientalizzando l'isola.

Ma l’evento che più di tutti rivoluzionò definitivamente la realtà geopolitica del Mediterraneo, mutando il ruolo dell’isola, fu l'espansione musulmana che ebbe inizio, dapprima, con sporadiche scorrerie, per poi culminare allo sbarco dell’827 e si concluse nel 902, quando tutta l'isola divenne una provincia periferica dell'ecumene musulmana, un impero che si estendeva dall'Indo ai Pirenei.

La conseguenza fu che mentre in Europa si assisteva ad un lungo periodo di stagnazione, in Sicilia maturava quella che viene giustamente definita "la rivoluzione economica musulmana" il cui esito più importante, in controtendenza con la rarefazione della circolazione monetaria che colpì il resto dell'Europa, fu la circolazione di monete basata sull'oro. Non solo, ma mentre la cristianità si espandeva nel nord e nell'est, in Sicilia si diffondeva il corano e si parlava l'arabo.

Tuttavia, già prima dell'anno 1000 l'espansione musulmana inizia a esaurirsi. Nella penisola iberica si comincia a assistere al contrattacco dei piccoli stati cristiani sopravvissuti (la Reconquista), accompagnata dall’attività militare e economica delle emergenti potenze marinare di Genova e Pisa. Approfittando delle divisioni e dei contrasti interni nel mondo arabo siciliano, di lì a poco irromperanno sulla scena anche alcune poche centinaia di avventurieri normanni, fra cui i figli di Tancredi d'Auteville, Roberto e Ruggero, che, nell'arco di un trentennio, strapperanno l'isola al dominio musulmano.

Ovviamente la storia dei musulmani in Sicilia non finì con l'invasione normanna. Infatti, i normanni, per dominare la società islamica, più evoluta, si adattarono a convivere con essa, creando un’organizzazione statale originale rispetto al resto d'Europa. La conquista normanna, comunque, ebbe come conseguenza quella di rimettere la Sicilia nel corso della storia del continente europeo, rientro che si completerà con Federico II, che, nel volgere di pochi decenni, causò l’eliminazione completa delle sacche di resistenza islamica ancora presenti nell'isola.

Le fonti

Tutta la documentazione araba prodotta dall'amministrazione musulmana in Sicilia è andata perduta. Ci rimangono solo cronache storiche, geografiche, giuridiche o letterarie in genere, di scrittori vissuti durante il periodo normanno, che scrivono attingendo a fonti, oggi, non più reperibili.

Gli studi sul periodo musulmano iniziano con il Fazello,(1498-1570) con la sua “Deche della Storia di Sicilia”. Poco o nulla si scrisse nei due secoli successivi fino a quando, grazie alla "arabica impostura" organizzata dall'abate Giuseppe Vella che, spacciandosi per profondo conoscitore della lingua e della storia araba, si inventò due codici arabi, rinnovando l’interesse per questo periodo storico. L'abate fu appoggiato dal governo borbonico che cercava, ispirandosi alle antiche amministrazioni arabe, di ridimensionare la pratica del latifondo e il potere baronale. Per lui fu creata una cattedra di arabo, e la clamorosa truffa durò parecchi anni fino a quando il canonico Rosario Gregorio riuscì ad imparare l’arabo smascherando così il Vella. L’”arabica impostura” diede comunque, l'avvio ad una serie di studi condotti da Salvatore Morso, successore del Vella alla cattedra di arabo, da Saverio Scrofani, Vincenzo Mortillaro, Giuseppe Caruso ed infine da Michele Amari con la sua colossale opera "Storia dei Musulmani di Sicilia".

All'Amari sono seguiti molti orientalisti, il maggiore dei quali, a parere di molti è stato Umberto Rizzitano.

La conquista

Abbiamo già detto che poco o nulla influirono le invasioni barbariche sulla Sicilia. Data la sua posizione geografica l'isola poteva essere conquistata solo dal mare. Solo i vandali riuscirono a creare una flotta e ad effettuare qualche incursione ma non lasciarono alcuna traccia del loro passaggio. Analogamente possiamo dire dei Goti. L'isola tuttavia faceva gola a Bisanzio, in quanto base logistica per la riconquista di Roma e facilmente Belisario ebbe ragione dei goti. Alla conquista militare seguì il riordinamento politico e con un documento solenne (Prammatica) la Sicilia divenne dominio privato dell'imperatore. L'isola allora aveva una economia fiorente basata sull'agricoltura e sull'artigianato ed era ricca di legname usato sia come combustibile che per la costruzione di navi, case , armi ed utensili.

Gli scambi commerciali erano intensi e la realtà sociale era composita dal punto di vista etnico e linguistico. Il primo, se non l'unico fattore di coesione era il cristianesimo la cui diffusione fu favorita da Bisanzio, sradicando le ultime sacche di paganesimo.

La popolazione era distribuita tra città costiere e villaggi rurali. Accanto ai quali sorsero in questo periodo numerosi insediamenti rupestri (Ispica e Pantalica sono le più importanti) da molti ritenuti un segnale di imbarbarimento, di regressione. Queste abitazioni erano tuttavia funzionali ed economiche; per intenderci, erano una sorta di “case popolari” non gestite dal governo.

In Sicilia si protrasse a lungo la distinzione tra potere militare e civile mentre già nel resto della penisola le invasioni longobarde imposero la concentrazione dei poteri nelle mani dell'esarca e solo nel settimo secolo il pericolo musulmano adeguò le istituzioni al resto dell'Italia.

In quegli stessi anni, Maometto operava quella coesione straordinaria che ancora oggi contraddistingue le popolazioni arabe, unificandole e dando la spinta propulsiva per la conquista del nord con le ricche province bizantine, dell'est verso la valle dell'Indo e ad ovest verso l'Egitto e l'Africa bizantina e la penisola Iberica. Le conquiste arabe furono fulminee e facendo propria l'esperienza marinara di Siriani ed Egiziani, questi popoli del deserto, ben presto approntarono flotte e s'impadronirono dei segreti del mare. Secondo un'antica tradizione i musulmani sbarcarono in Sicilia per la prima volta nel 652 e certamente molti furono gli sbarchi da allora. Non a caso l'imperatore Costante II spostò la sua residenza a Siracusa (nel 663) da dove sperava di difendere sia l'isola sia i residui possedimenti bizantini in Africa.

Costante II fece una brutta fine, morì, nel 668, vittima di una congiura di palazzo.

La Sicilia venne fortificata, come riporta il cronista Ibn al Athir " i Rum (i romani, i bizantini) ristorarono ogni luogo dell'isola, munirono “le castella e li fortilizii". Le ricerche archeologiche testimoniano queste fortificazioni.

La Sicilia era ormai divenuta una terra di frontiera. La situazione era convulsa: rivolte, tentativi di secessione, intrighi e patteggiamenti con i musulmani. L'immagine negativa della Sicilia bizantina è dovuta soprattutto a questo periodo. Questo stato di cose, questa situazione di incertezza, furono mantenuti per qualche decennio, fino a quando un dissidio, forse di carattere personale, per una questione di donne narra la storia o meglio la leggenda, spinse un ufficiale delle forze navali bizantine, Eufemio, a ribellarsi a Bisanzio, a proclamarsi imperatore ed a chiamare a suo sostegno (come più tardi avrebbero, a loro volta fatto, i musulmani di Sicilia con i Normanni) i musulmani d'Ifriqiya.

Non aspettavano altro!

Asad ibn al Furat, vecchio esperto di diritto, fu nominato capo della spedizione, un'armata composta da arabi, berberi, spagnoli, persiani e africani.

L'armata sbarcò in Sicilia il 17 giugno dell'827. Il primo scontro, in un luogo imprecisato della Sicilia occidentale, nei pressi dell'odierna Mazara, avvenne verso la metà di luglio, l'esercito bizantino venne distrutto ed i musulmani iniziarono una rapida avanzata ma nei pressi di Siracusa la marcia trionfale si arrestò.

Asad capì che non sarebbe stato facile conquistare la cittadella fortificata. Le difficoltà di approvvigionamento ridussero alla fame gli assedianti e Asad fu costretto a chiedere rinforzi. Ma i rinforzi arrivarono anche ai bizantini e lo scontro fu tremendo. I musulmani fecero strage dei nemici, l'assedio fu ulteriormente stretto e Siracusa stava per crollare quando un'epidemia di colera scoppiò tra le fila dell'esercito musulmano. Lo stesso Asad pare ne rimanesse vittima. I musulmani tentarono dapprima di ritornare in Africa ma furono bloccati da una flotta veneta venuta in aiuto dei bizantini. A questo punto, racconta il Fazello, i musulmani bruciate le navi per precludersi volontariamente, qualsiasi voglia di fuga verso l’Ifriqiya, iniziarono a ripiegare verso l'interno. Durante la ritirata conquistarono varie città e posero l'assedio a Castrogiovanni (l’odierna Enna). Qui Eufemio fu attirato in un'imboscata e ucciso. La conquista della Sicilia era ormai completamente in mano saracena ma non si dimostrava impresa facile. Ma una successiva spedizione, composta questa volta da ben 40.000 soldati, comandata dal generale Alcamet, sbarcò in Sicilia nell'831. Le forze congiunte della prima e della seconda spedizione investirono le grandi città siciliane. Palermo cadde, dopo un anno di assedio, nell'832; secondo una fonte islamica dei 70.000 uomini rinchiusi a Palermo ne rimasero in vita solo 3.000. Successivamente caddero Lilibeo (oggi Marsala) e poi Trapani ed Erice.

Ma la totale conquista dell'Isola durò altri quaranta anni ancora. Difatti Castrogiovanni, formidabile fortezza naturale arroccata su un acrocoro a circa 1000 metri d'altezza cadde nell’859, solo per l'aiuto di un traditore che indicò ai musulmani l'imboccatura di un acquedotto, che permise ai musulmani di penetrare nella città, Siracusa nell'877 e solo nel 902, per ultima, Taormina.

La conquista impegnò le truppe islamiche per ben 75 anni, e non fu facile né breve come comunemente si suol far credere. Né, inoltre, i Bizantini si rassegnarono alla perdita della Sicilia. Furono inviate in Sicilia due armate da Costantinopoli, una marittima ed un'altra di fanteria, ma furono inesorabilmente sconfitte, a Rometta, nel 965.

La pace che ne seguì, nel 967, decretò la perdita dell'Isola per Bisanzio. Ma, nonostante le vittorie sui Bizantini, la Sicilia musulmana non ebbe mai pace. A cominciare dal 910, pochi anni dopo la presa di Taormina, iniziarono nell'Isola le lotte intestine tra i capi musulmani, riflesso, d'altronde, di ciò che accadeva in Asia ed in Africa, nel cuore dell'impero arabo.

La Sicilia era stata conquistata dagli Aghalabiti ma, alcuni decenni dopo, i Fatimidi avevano sostituito con la forza i principi aghalabiti nel governo dell'Isola, dopo una feroce lotta che si era svolta in Sicilia ed in Africa.

Il governatore nominato dai Fatimidi, però, non si mostrò all' altezza della situazione, per cui l'emiro Qurhub, legato agli Abassidi di Bagdad, dichiarò l'Isola indipendente; ma i Berberi di Sicilia consegnarono il ribelle ai Fatimidi, che lo fecero uccidere; così questi ultimi ritornarono al potere; siamo nel 917.

Questo periodo non fu felice per la nostra Isola perchè caratterizzato da sommosse e violenze inaudite. Solo nel 948, dopo decenni di lotte, con la vittoria di Hasan Ibn Alì, ritornò la pace e con la nuova dinastia Kalbita la Sicilia conobbe una benefica prosperità e Palermo emulò in splendore Bagdad e Cordova.

Con la morte dell'emiro Yusuf nel 998, cui successe il figlio Giafar (998-1019) , ricominciarono i disordini e le congiure, e i Berberi, considerati la causa di tali torbidi, furono espulsi dall'Isola. Successivamente, i musulmani di Sicilia si divisero in tre fazioni: una capeggiata da Ibn ath Thumma nella Sicilia orientale, quella dei Musulmani “siciliani” nella Sicilia occidentale, e quella di Ibn al Awas nell'Ennese.

Per meglio difendersi dai suoi avversari, Thumma si rivolse ai Normanni, che vennero nell'Isola come mercenari e finirono per conquistarla.

Le ripercussioni sociali ed economiche

A partire dallo sbarco avvenuto nell'827, si trovarono di fronte due gruppi, culturalmente fortemente diversi: gli invasori , di lingua araba e religione musulmana, i vinti ad esclusione degli ebrei, di lingua greca e/o latina e di religione cristiana. Alle differenze culturali si sovrapponevano quelle etniche. Gli islamici provenivano da parti diverse del dar al-Islam: Maghreb, Egitto, Arabia, berberi, persiani, sudanesi e sicuramente altri. Nell'isola vivevano indigeni di lingua greca e latina (greci e romani di Sicilia), immigrati provenienti dalle varie province dell’impero romano e da quello bizantino, barbari, rimasti come mercenari, ed ebrei.

Le grandi stragi dovute a 70 anni di guerra e la fuga di molti avevano depauperato l’isola e l'arrivo di immigrati musulmani servì dunque a ripopolare intere città ma dopo due secoli di conquiste, l'Islam aveva adottato una serie di norme che coniugavano da un lato il gihad, la guerra santa, e dall'altro i rapporti con la gente non musulmana sottomessa. Quando non ci si trovava di fronte ad un eccidio, dovuto all'eccitazione delle truppe dopo un lungo assedio ( come avvenne per Enna, Siracusa, Taormina e Rometta, dove la popolazione fu ridotta in gran parte in schiavitù e gli uomini adulti passati a fil di spada) i musulmani, dopo due secoli di conquiste, avevano messo a punto una sorta di “protocollo” che regolamentava sia il gihad sia i rapporti con i non musulmani sottomessi. Più che la strage o la riduzione in schiavitù molto più spesso si preferiva la sottomissione che avveniva dietro negoziati e quindi a “patti” (minuziosamente descritti nell’accordo di Umar (Amari, Storia dei musulmani in Sicilia). Ai non islamici l’Islam riconosceva il diritto a vivere ed esprimersi, anche se come “altri”, all’interno delle proprie strutture sociali.

Ai cristiani di Sicilia che accettarono i patti, veniva concesso l’aman (la sicurezza, la protezione) e da quel momento venivano chiamati ahl adh dhimma (gente del patto) e veniva loro riconosciuto il diritto all’incolumità, alla libertà personale, alla libertà religiosa, alle proprie usanze, al possesso degli averi in tutto o in parte. La dhimma aveva come contropartita il pagamento di un’imposta sulla persona ( la giziah) e di una tassa fondiaria (il kharag) e tutta una serie di limitazioni e obblighi come, ad esempio, il divieto di erigere nuove chiese , di fare processioni, di suonare le campane, di portare armi, di bere vino in pubblico, l’obbligo di porre contrassegni di riconoscimento sulla persona e sulle case, di cedere il passo ai musulmani …. Dalle imposte della dhimma i musulmani erano, ovviamente, esentati ma erano tenuti al versamento della zakàt (elemosina legale)”, che serviva e serve tuttora per il mantenimento ed il soccorso dei meno abbienti.

L’osservanza di queste regole era tuttavia assai elastica e dipendeva soprattutto dalla maggiore o minore concentrazione di musulmani, senza contare che per evitare l’aman bastava convertirsi all’Islam. Il carattere tollerante di tali norme è dimostrato dal fatto che al loro arrivo i Normanni trovarono ancora moltissimi cristiani e molti monasteri greci, specie nella parte nord orientale dell’isola. Nella stessa Palermo, capitale islamica, officiava all’arrivo di Ruggero d’Altavilla un arcivescovo greco.

Nonostante questo fenomeno di persistenza del cristianesimo nell'arco di circa due secoli la Sicilia conobbe un processo di acculturazione arabo-islamico assai profondo. All'islamizzazione e all'arabizzazione concorsero gli immigrati dell'ecumene musulmana provenienti da diverse parti del dar al-Islam, i loro discendenti e l'imponente numero di conversioni che affrancavano gli indigeni dal pagamento della giziah ed infine un ruolo importante ebbero anche i matrimoni misti.

A testimonianza delle facili ed interessate conversioni il viaggiatore Ibn Hawqal che visitò la Sicilia tra il 972 ed il 973, riferisce del tiepido slancio religioso dei contadini e della possibilità delle figlie di seguire il credo religioso cristiano della madre. La lingua (araba) era poi molto rozza, specie all'interno dell'isola e risultava incomprensibile ad Ibn Hawqal.

Un ruolo importante nell'acculturamento lo ebbe anche il programma d' "incastellamento" voluto dal califfo Muizz (attorno al 966), per difendersi dalle recrudescenze bizantine: la costruzione cioè di cittadelle fortificate all'interno delle quali la popolazione era invitata a soggiornare. Una tale politica aumentava il territorio da coltivare e favoriva il mescolamento fra cristiani e musulmani, favorendo l'insegnamento musulmano. L'effettiva islamizzazione è dimostrata ancor oggi dalla toponomastica. I nomi delle montagne (gebel) delle sorgenti (fawara) dei promontori (rais) ecc., come anche i grandi centri, ebbero il nome arabizzato, pensiamo, ad esempio, Panormus che divenne Balarm o Drepanis che divenne Itrabnis

Dopo la conquista l’isola venne divisa in tre grandi distretti amministrativi: Val di Mazara che comprendeva la parte centro-occidentale dell’isola, Val Demone che comprendeva la parte nord-orientale e Val di Noto che comprendeva la parte meridionale.

La capitale della Sicilia venne spostata da Siracusa a Palermo provocandone così il passaggio dall’area culturale greco-bizantina a quella del Mediterraneo occidentale.

Palermo, scelta come sede del governo, fu dotata di tutte le strutture burocratiche e dei servizi che si confacevano ad una capitale amministrativa.

Gli arabi iniziano ben presto un’opera di lottizzazione delle terre e sostituirono in buona parte con colture intensive le colture estensive del granaio di Roma; con l’impianto di ingegnose opere idrauliche i conquistatori migliorano e bonificano le campagne incentivando, specie nelle zone costiere nord occidentali e nella piana di Catania la coltivazione degli agrumi, del papiro, delle piante di cotone. Si assiste così, nel giro di pochi anni, al sorgere di opifici per la lavorazione delle stoffe, dello zucchero e dei papiri per la scrittura. Palermo, e la Sicilia, diventano un importante emporio per il commercio. Ha inizio un periodo di vero benessere sotto la dominazione degli arabi, portatori di una vigorosa ed originale civiltà che ben si armonizzò, modernizzandola, con quella millenaria locale; la città di Palermo e la Sicilia tutta vivono un eccezionale periodo di fioritura che investe l’arte, l’edilizia, le scienze, l’agricoltura e la cultura in tutte le sue manifestazioni con un conseguente aumento demografico.

Tale fermento percorre l’intera isola, ma Palermo è al centro di questo risveglio culturale. A tal proposito l’Amari riporta un brano di un compilatore arabo del XIII secolo , Ad-Dimasqi dove si sostiene che la Sicilia “sotto il dominio musulmano fiorì per dottrina e gran numero di scienziati, di letterati e di uomini illustri e rivaleggiò con la Spagna” (Amari, Biblioteca arabo-sicula). La mancanza di documentazione in tal senso è presumibilmente dovuta alle distruzioni belliche della conquista normanna che determinarono la totale scomparsa della documentazione araba nell’isola e alla scarsa ricerca negli archivi arabi e turchi relativi alla Sicilia di quel tempo.

Di sicuro c’è il fatto che la Sicilia assurge al rango di emirato e ciò è di grande rilevanza politica perché “emirato” equivale a regno (e prima di allora la Sicilia non era mai stata regno).

La conquista musulmana significa anche l’aggiunta di un altro pezzo etnico alla popolazione: Ai Sicani, agli Elimi, ai Siculi, ai Fenici, ai Greci ed ai Romani, non volendo considerare le residue minoranze di Vandali e Goti rimasti come mercenari, si aggiungono gli Arabo-berberi del nord Africa (mi viene un po’ difficile considerare “pura” la nostra etnia! e aver paura di possibili “meticciati” paventati da qualche miope politico).

La conquista araba portò pertanto un problema di “integrazione” non di poco conto: gli invasori erano di religione musulmana e di lingua prevalentemente araba, i vinti erano, ad esclusione degli ebrei, di religione cristiana e parlavano greco e/o latino. La questione religiosa fu risolta con l’applicazione dell’aman e con la tolleranza, ma alle differenze culturali e religiose si aggiungevano anche quelle etniche, presenti sia tra i vincitori che tra i vinti. Le genti di religione islamica provenivano da parti diverse del dar al-Islam: vi erano arabi provenienti dalla penisola arabica trapiantati nel Magrheb ed in Egitto, berberi, sudanesi, persiani, andalusi di discendenza indiana, ecc. Nell’isola vi erano indigeni (ancora gli abitanti non si chiamavano “siciliani”; solo da ora si chiameranno “siqilly” dal nome arabo dell’isola, Siqillya) di lingua greca e latina, antichi immigrati provenienti da varie zone dell’impero romano-mediterraneo, immigrati più recenti provenienti da varie zone dell’impero bizantino, vi erano certamente anche “barbari” arruolati come mercenari e piccoli gruppi di ebrei.

Nonostante queste “diversità” in Sicilia si verificò un vasto movimento di acculturazione e integrazione che determinò da un lato l’islamizzazione e l’arabizzazione dei residenti ma dall’altro si assisté alla “sicilianizzazione” degli invasori , così come a suo tempo si erano sicilianizzati i Greci ed i Romani. A tale fenomeno concorsero gli immigrati provenienti dall’ecumene musulmano (soprattutto dall’Ifriqiya) che si insediarono soprattutto nelle città della val di Mazara e della Val di Noto (più di tre quarti dell’Isola, per intenderci) che dopo qualche generazione cominciarono a “sentirsi” “siqiylli”, (siciliani). Le città che erano state distrutte dopo lungo assedio come Siracusa, Rometta, Taormina ed Enna, divennero totalmente musulmane. Numerose colonie musulmane si immisero nelle città costiere abitate dai siciliani come Palermo, Messina, Marsala, Girgenti. E fu proprio l’insediamento nei centri urbani che determinò la sicilianizzazione dei musulmani. Qui i vincitori si trovarono di fronte ad antiche società urbane, ricche di storia millenaria, di arte e di cultura, ricche di case , di strade, di teatri! Palermo all’epoca aveva già più di 1500 anni! Scegliere fra la tenda e la casa, tra una città ed un villaggio non fu difficile. E i musulmani conquistatori non tardarono ad adattarsi “sicilianizzandosi” pur mantenendo un forte carattere islamico nell’organizzazione dello stato . Fu così che in Sicilia si ebbero più città musulmane che in tutta l’Ifriqqya”.

Il processo di acculturazione si riflesse anche sulla lingua, dove troviamo una situazione assai complessa ed intricata.

La lingua ufficiale dello stato era l’arabo classico del Corano ( come il latino per la chiesa di Roma), poi vi era la lingua ufficiale delle istituzioni locali, della burocrazia, dei letterati, che era soprattutto una lingua scritta e colta, peculiare delle classi dominanti, ed infine l’arabo veicolare , quello di uso comune, data però la multietnia si parlavano anche il greco veicolare, il latino veicolare, l’ebraico veicolare, tutte lingue assai lontane dai corrispettivi classici.

Ricordiamoci che la maggior parte della popolazione non era in grado di leggere e scrivere.

L’arabo veicolare era a sua volta un ibrido tra arabo, berbero e parlate isolane, diverso da quello dell’Ifriqiya”; una parlata “originale” che chiameremo “arabo-siculo”, così come c’era l’arabo-ispanico o l’arabo-persiano, ad esempio.

Insomma per farla breve si venne a creare una sorta di parlata mista, una specie di Sabir costituito da qualche migliaio di parole in buona parte arabo-siciliane, e in minor parte greche e latine, la cui percentuale era in relazione alla maggiore o minor presenza di musulmani nei vari distretti dell’isola.

Un raffronto simile a quello linguistico si è avuto anche in altri campi, ed in particolare in quello dell’agricoltura, ed anche in questo caso più o meno pregnante in relazione alla presenza islamica.

Rivoluzionaria è la scomparsa del latifondo romano-bizantino in seguito all’applicazione dell’iqta, cioè della legge agraria islamica. L’iqta per l’Islam era quella che per Roma era stata la legge agraria per la colonizzazione delle terre occupate. Ad ogni cittadino islamico o convertito che ne avesse fatto richiesta, veniva assegnato un pezzo di terra da coltivare (come coltivatore diretto o con l’aiuto di servi, a secondo della grandezza e della posizione sociale ma che non poteva in ogni caso superare certi limiti) e su cui pagare le tasse. Da queste terre ogni coltivatore cercò di ottenere il massimo, grazie alle “moderne tecniche di coltivazione che si sovrapposero, arricchendole, alle tecniche agricole presenti nell’isola che fino ad allora aveva prodotto prevalentemente grano,olio e vino. Ma questa società agricola ebbe un limite che la indeboliva: ne beneficiavano soprattutto i Musulmani, conquistatori o convertiti, che erano in gran numero nelle campagne centro-occidentale. Troviamo pertanto una società egalitaria nella parte più musulmana dell’isola, quella centro-occidentale, che era la più grande, e assai meno egalitaria nelle zone orientali, dove solo i musulmani conquistatori e i pochi convertiti avevano diritto all’iqta.

Le maestranze arabe seppero utilizzare al meglio le risorse idriche del sottosuolo; recenti ricerche di speleologia urbana hanno rivelato nel sottosuolo di Palermo e della Conca d’Oro, una straordinaria rete di condotti sotterranei di drenaggio delle acque. Analoghe strutture sono tutt’ora in funzione a Marsala. Essi sono costruiti secondo la tipologia dei qanat, strette gallerie scavate artificialmente e collegate alla superficie da pozzi seriali. Grazie alla leggera ma costante pendenza dei cunicoli, l’acqua scorre dal punto di captazione per centinaia e centinaia di metri, a volte per chilometri .

Grazie al razionale utilizzo delle acque in Sicilia compaiono e/o si diffondono le coltivazioni di cotone, lino, canapa , ortaggi, legumi, papiro, canna da zucchero, agrumi, datteri e anche i gelsi, necessari per l’allevamento dei bachi da seta. Dello sviluppo dell’orticoltura e di coltivazioni arboree pregiate ne sono ancora oggi testimonianza termini come nuara , senia, cubba, gebbia, vattali, garraffu, ecc. Si continuò a produrre ancora grano, olio e vino ma in quantità minore anche in considerazione del fatto che per via delle guerre erano andati perduti i mercati esteri tradizionali, in particolare Roma. Dello sviluppo dell’agricoltura e dell’arricchimento del patrimonio botanico non poca parte ebbe l’estensione dell’ecumene islamico e l’intensificarsi dei commerci con le regioni asiatiche fino all’India . Per intenderci si verificò un’apertura di commerci paragonabile a quella che qualche secolo più tardi causò , ma in campo atlantico, la scoperta delle americhe.


Balarm, la Medinah

I conquistatori arabi, come precedentemente detto, non sono intervenuti a modificare il tessuto urbano, piuttosto che adattare la città ai loro modi di vivere, si sono adattati loro a quella di città quali Messina e Palermo , fra le più importanti del mediterraneo.

Palermo, secondo l’usanza magrebina, da città marinara sarebbe dovuta diventare una città interna lontana dalle insidie e dai pericoli del mare, ma non fu così e la grande strada centrale che dal mare portava a piedimonte , fino al vecchio nucleo fortificato (Qasr, Castello, da cui Cassaro) venne mantenuta ed arricchita.

Gli scrittori arabi la descrivono affiancata da botteghe e pavimentata (simat al balat)

Oltre alle botteghe, che occupavano determinate vie della città in ragione della categoria merceologica, si svilupparono i suq (mercati). Ibn Hawqal ci descrive i suq di Palermo indicando per ciascuno il luogo ed il tipo di commercio che vi si svolgeva.

Un’altra cittadella fortificata, la Eletta (al-khalisah, l’odierna Kalsa) venne edificata, successivamente, nei pressi del porto. Attorno alle due cittadelle fortificate sorsero numerosi quartieri aperti, popolarissimi ed attivissimi.

Palermo si arricchisce, in quest’epoca, di palazzi, di moschee e di parchi diventando una metropoli orientale; fioriscono scuole di medicina, di matematica, di diritto, di teologia musulmana, poeti e storici fanno splendere il suo nome nel mondo intero. La città araba esercita un ruolo predominante su tutta la Sicilia; questa posizione elitaria è sottolineata anche dal nome significativo di Medinah con il quale viene chiamata, termine che sta a significare città capo di molti domini.

Nel linguaggio comune, comunque, la città continua ad essere chiamata con il suo antico nome anche se si assiste alla trasformazione fonetica del toponimo Πανορμος (Panormus) in Balarm o Balarmuh.

Nel X secolo i due viaggiatori arabi, Al-Muqaddasi ed Ibn Hawqal, forniscono delle descrizioni dettagliate della città; Al-Muqaddasi nella sua opera intitolata Ahsan at-taqàsim fì mà rifat al-aqalìm (La migliore delle ripartizioni per la conoscenza delle regioni) scrive: “Palermo capitale di Sicilia, è situata sul mare in quell’isola. È più grande di al-Fustàt (il Cairo vecchio), ma è ripartita in diversi settori; i fabbricati della città sono di pietra e calce ed essa appare rossa e bianca. La circondano sorgenti e canneti, le fornisce acqua un fiume chiamato Wadì Abbàs (l’odierno fiume Oreto). I mulini sono numerosi nel suo mezzo ed essa abbonda di frutta e di produzioni del suolo e d’uva. L’acqua batte le sue mura. Possiede una città interna, nella quale si trova la moschea gàmî; i mercati sono nel sobborgo (rabad). Ha inoltre una città esterna dotata di mura e chiamata al-Halisah, in cui si aprono quattro porte” (De Simone A., Palermo araba, in La Duca R., 2003).

Sul punto più alto della città gli arabi costruiscono il primo nucleo dell’attuale Palazzo dei Normanni. L’Emiro e la classe dirigente risiedono all’interno delle mura dell’antica città di impianto punico-romano fino al 937-938; le antiche mura racchiudevano i quartieri della Galka (al-Halqâh, la cinta), sede degli spazi amministrativi, e quello del Cassaro (al-Qasr, il castello), corrispondenti rispettivamente alle primitive paleopoli, e neapoli attraversati dalla simat al balat, l’odierno Corso Vittorio Emanuele ( Cassaro). Al di fuori delle mura, via via che aumenta il numero degli abitanti per il naturale accrescimento demografico, si vanno formando altri quartieri: l’hârat al masgid Ibn Siqlâb (quartiere della moschea) e l’hârat al gadîdah (quartiere nuovo) che abbracciano quelli che saranno i quartieri dell’Albergheria e dei Lattarini, compresi fra le mura meridionali della città e l’odierno corso Tukory; l’hârat as Saqâlibah (quartiere degli Schiavoni), sede di mercanti e milizia mercenaria, situato a settentrione, al di là delle rive del Papireto; il muaskar, sede di stanza delle truppe, una vasta contrada suburbana scarsamente edificata situata ad occidente. Tutti i quartieri che vengono edificati al di fuori delle antiche mura vengono indicati dagli arabi con il termine di rabad cioè borgo.

Vengono costruiti numerosi bagni pubblici, gli hammâm, profondamente legati alla cultura ed alla religione islamica. Oggi l’unica testimonianza di bagni arabi in Sicilia è data da quelli di Cefalà Diana che rappresentano anche una delle poche opere appartenenti con certezza a questo periodo, tutto il resto è stato distrutto o modificato o costruito dai re Normanni.

La città manterrà la sua egemonia per tutta l’età araba manifestando tutto il suo fasto ed il suo splendore all’arrivo dei nuovi dominatori normanni.

Una delle più belle descrizioni della Sicilia di quel felice periodo è quella offertaci dal geografo e scienziato Al-Idrisi il quale afferma: “Diciam dunque che l’isola di Sicilia è la perla del secolo per abbondanza e bellezze; il primo paese del mondo per bontà di natura, frequenza di abitazioni e antichità. Vengovi da tutte le parti i viaggiatori e i trafficanti delle città e delle metropoli, i quali tutti ad una voce la esaltano, attestano la sua grande importanza, lodano la sua splendida bellezza, parlano delle sue felici condizioni, degli svariati pregi che si accolgono in lei e dei beni d’ogni altro paese del mondo che la Sicilia attira a sé. Nobilissime tra tute le altre che ricordi la storia, furono le sue dominazioni; potentissime sopra tutt’altre le forze che i Siciliani prostrarono chi lor facesse contrasto. E veramente i re della Sicilia vanno messi innanzi di gran lunga a tutti gli altri re, per la possanza, per la gloria e per l’altezza de’ proponimenti”

La cultura arabo-islamica elaboratasi in Sicilia è di stampo maghrebino e quindi fortemente dipendente da quelle dell’Ifrìqiya e della Spagna islamica con la quale l’isola ha molteplici scambi culturali.

La vita quotidiana è scandita dall’osservanza degli insegnamenti del Corano e dalle attività religiose legate alla preghiera.

Nella prima fase che segue la conquista dell’isola si assiste ad una sorta di conversione di massa; la gente del libro abbandona il proprio credo per avvicinarsi alla nuova religione islamica. Questa ondata di “islamizzazione” non è tanto legata a motivi religiosi ma quanto alla possibilità di godere dei privilegi riservati ai musulmani e ad evitare il pagamento della jizya e della kharàj. Non c’è da stupirsi quindi se questo primo periodo è segnato da una totale assenza di rispetto verso le leggi coraniche come è sottolineato da Michele Amari il quale, riportando le impressioni di Ibn Hawqal sulla gente siciliana afferma che “Non usano la circoncisione, né osservano le preghiere, né pagan la limosina legale, né vanno in pellegrinaggio; appena avvien che digiunino il ramadhan e che facciano il lavacro in un sol caso. […] non essere in Palermo begli ingegni né uomini dotti, né sagaci, né religiosi, non vedersi al mondo gente meno svegliata, né più stravagante; men vaga di lodevoli azioni né più bramosa di apprendere vizi”.

I musulmani siciliani amano molto la vita sociale; sono soliti riunirsi il venerdì, giorno di festa, per banchettare, danzare e suonare. Gli strumenti musicali più diffusi in Sicilia sono l’oboe, l’arpa, il liuto e il tamburo come ricorda Ibn Hamdìs nei suoi versi: “le cantatrici toccan le corde, calmano i moti del dolore negli animi degli astanti. Questa qui stringesi al collo un suo liuto; quella bacia il suo flauto. La ballerina getta il pie’ a misura della mano che picchia la tamburella” . I pranzi del venerdì, ai quali sono invitati solo gli uomini, vengono imbandite splendide tavole ricche di numerose pietanze; la quantità e la varietà dei cibi è non solo manifestazione pubblica delle ricchezze del padrone di casa, ma anche indice di generosità.

La carne, è una delle pietanze principali, ma le tavole abbondano anche di pesci, datteri, mandorle, frutta fresca, pane farcito di miele e frutta secca, e una svariata quantità di dolci, tra i quali forse l’antenata della nostra cassata e i sorbetti alla frutta. Nella preparazione dei piatti si fa abbondante uso di spezie ed erbe aromatiche.

Le pietanze non vengono portate una alla volta ma si imbandisce la tavola con tutte le portate che vengono servite in ampi vassoi di rame. Ogni commensale non ha un proprio piatto ma si serve dal vassoio comune sistemato sulla tavola.

Particolare attenzione viene data anche all’abbigliamento e alla cura dell’igiene personale; la radice culturale di questa pratica è da ricercarsi nell’applicazione delle Sacre Scritture del Corano.

L’attenzione riposta nella cura dell’igiene personale è testimoniata da un libro arabo dell’XI secolo, intitolato Il Manuale dei segreti del matrimonio che, tra le tante raccomandazioni fatte alla giovani coppie, riporta anche una serie di ricette mediche e cosmetiche: “Per esempio, per rendere luminosa la pelle del volto, far sparire segni di lentiggini e anche macchie di lebbra, vaiolo e cicatrici, è consigliato un miscuglio di zafferano, zucchero candito, gomma arabica, urina di pipistrello, latte di madre, bianco d'uovo, olio di mandorla, succo di fichi, menta, pistacchi, mostarda, e così via. Poiché all'uomo è gradevole la donna prosperosa, ed egli può provare standole vicino un piacere che una donna magra non sa dare, elenchiamo una lista di cibi sui quali una donna scarna può contare per ingrassare, rinforzare i tessuti, rendere limpida la pelle, e accattivarsi i desideri del marito, aumentando di peso” . Non garantisco della bontà dell’intruglio!

Gli uomini portano la barba che, in base alla lunghezza, al colore e alla forma, ne denota il rango sociale. Un uomo della classe agiata possiede una barba folta e di media lunghezza tinta di blu, giallo, verde o rosso; gli operai portano una barba corta; i medici e i giuristi una barba lunga e bianca. La barba dei militari è divisa in due ciuffi neri. Tutti hanno i capelli rasati tranne i principi che hanno una pettinatura formata da lunghe trecce. Gli uomini, oltre a riporre molta cura nella barba, si radono le ascelle e si dipingono gli occhi con il kajal. Le donne portano i capelli raccolti in trecce il cui numero e la lunghezza ne denunciano il ceto sociale.

L’abito maschile è costituito da una camicia e da un pantalone in tela bianca. Le camicie, formate da nove pezzi di tessuto cuciti insieme hanno delle larghe maniche che vengono arrotolate e talvolta usate come tasche. Il pantalone è trattenuto in vita da un cordoncino intrecciato con fili di cotone e fili d’oro. L’abbigliamento è infine completato da ampi mantelli e da una specie di giacca, anche essa formata da nove pezzi cuciti e con lunghe maniche, aperta sul davanti e stretto in vita da una fascia di tela o di seta.

Le donne indossano dei larghi pantaloni rigonfi sulle caviglie, una casacca di seta dai colori chiari con profonde aperture sul seno e sui fianchi che lasciano intravedere il petto coperto da una leggera camicia di seta con larghe maniche pendenti.

Le donne usano collane, spille, bracciali e le loro vesti sono riccamente ricamate. Gli uomini indossano un turbante o un copricapo adeguato alla propria posizione sociale.

In Sicilia, come nel resto del mondo arabo, è in uso la pratica della poligamia, a patto che si possano mantenere più mogli in “egual misura”.

Oltre che nei costumi della vita quotidiana, gli Arabi lasciano profonde tracce del loro passaggio nella cultura scientifica; a Palermo si studiano la geometria della Terra e i punti cardinali e l'astronomia.

La Sicilia e, più in generale, tutta l'Italia meridionale acquistano nell'epoca musulmana conoscenze d'ogni tipo: mediche, filosofiche, astrologiche, scientifiche. Questo fenomeno continuerà durante il periodo normanno, soprattutto alla corte di Ruggero II, facendo della Sicilia uno dei punti più importanti attraverso i quali sono penetrati in Occidente gli influssi delle arti e delle scienze orientali.

Non solo nelle città ma anche negli insediamenti rurali gli scavi archeologici hanno riportato alla luce monete e oggetti di uso quotidiano riccamente decorati che indicano un livello di vita tutt’altro che miserabile. Ancora oggi in certe zone della Sicilia si costruiscono le case alla maniera elaborata dagli arabi, presumibilmente sui modelli romani: un grande cortile interno, ornato di piante e fiori e piccole peschiere, sul quale si affacciano le stanze o gli appartamenti.

La fine

Come già accennato, le lotte intestine che si scatenarono tra gli emiri dei tre valli, in assonanza con le lotte d’Ifriqya, richiamarono l’attenzione di Bisanzio, che spedì un esercito al comando di Giorgio Maniace. Dopo alcuni successi iniziali, questi fu, però, costretto alla ritirata. Successivamente scoppiarono altre profonde liti, la leggenda narra, ancora una volta, per una questione di donne, che determinarono la chiamata degli Altavilla, i quali, ben presto, da mercenari al soldo di Ibn at Thumma , caid di Siracusa, si trasformarono in conquistatori.

La guerra di conquista durò 30 anni e alla fine le parti si rovesciarono e questa volta furono i furbi normanni ad applicare l’aman nei confronti dei musulmani siciliani. Riconobbero, comunque, l’alto grado di preparazione e civilizzazione araba e, apprezzandone la cultura, l’arte e i costumi, si adattarono felicemente continuando quel periodo di splendore e floridezza. La gestione dello stato cambiò radicalmente facendo precipitare la Sicilia in pieno feudalesimo quando Federico II, imperatore di Germania, avviò un processo di persecuzione che portò allo sterminio degli arabi e alla deportazione dei sopravvissuti in Puglia! Le terre musulmane del Val di Mazara rimaste deserte furono graziosamente donate a profughi ghibellini lombardi, che però non le coltivarono più “alla siciliana”. E così anche ciò che di materiale rimaneva della cultura dei musulmani di Sicilia non rimase più niente.

 di Fara Misuraca

Bibliografia:

  • Amari, M., Biblioteca arabo-sicula, Edizioni Dafni, 1982;
  • Amari, M., Storia dei Musulmani di Sicilia, Le Monnier, 2002;
  • Contino, P, Il regio sollazzo della Favara a Maredolce, tesi di laurea A.A. 2003-2004;
  •  Ibn Gùbayr, Viaggio in Ispagna, Sicilia, Siria e Palestina, Mesopotamia, Arabia, Egitto, Sellerio Editore,1979;
  •  La Duca R., Storia di Palermo vol. II – Dal tardo-antico all’Islam, edizioni L’Epos, 2002;
  •  La Sicilia islamica nelle cronache del medioevo, con un testo di U. Rizzitano, Edi.bi.si., 2004;
  • Maurici, F., Breve storia degli arabi in Sicilia, Flaccovio Editore,1999;
  • Renda,F., Storia della Sicilia dalle origini ai nostri giorni, vol I , Sellerio, 2003;
  • Sucato I., Palermo sotto la dominazione Araba: vicende politiche sociali e religiose, Editrice La Via, Palermo 1963;
  • Tramontana S., Vestirsi e travestirsi in Sicilia, Sellerio editore, 1993;
  • Tramontana S., Il Regno di Sicilia, Einaudi, 1999.

venerdì 1 dicembre 2017

Blogger internazionali alla scoperta di Palermo il primo, il 2 e il 3 dicembre.




L'associazione italiana travel blogger (Aitb) sarà a Palermo per tre giorni insieme a blogger internazionali per conoscere - e raccontare a un pubblico internazionale - la città grazie a momenti di formazione, visite guidate, enogastronomia e percorsi d'arte che potranno essere seguiti da tutti tramite i social.

È l'ultimo “Meet up” dell'anno organizzato dall'associazione e per Palermo è stato scelto lo slogan “Essere di casa a Palermo”: la prossima Capitale Italiana della Cultura e sede di Manifesta 12 verrà esplorata infatti insieme al main partner dell'evento, il portale turistico VisitPalermo e l'esperienza in città sarà autentica grazie alle dimore in cui alloggeranno i blogger, selezionate da Wonderful Italy.

Grazie al programma redatto da VisitPalermo, i blogger vivranno la città seguendone i ritmi reali, la tradizione e la cultura attraverso i mercati, l'arte urbana, i palazzi storici, i musei e l'enogastronomia ed è previsto un focus sulla comunicazione declinata al territorio.

sabato 9 novembre 2024

Il carattere palermitano: difficile da definire.

Palermo, lì 9 novembre 2024.

Il blog “Sicilia, la terra del Sole.” fornisce uno spaccato sulla storia, l'arte e la cultura di Palermo, ma non si concentra esplicitamente sul carattere dei suoi abitanti. Tuttavia, alcune informazioni possono essere estrapolate dai post in esso contenuti per delineare un'immagine parziale:

  • Orgoglio cittadino: Un post menziona la rivalità tra Catania e Palermo su quale delle due città rappresenti meglio la Sicilia e i siciliani nel mondo. Questo suggerisce un forte senso di orgoglio e appartenenza alla propria città;
  • Senso di comunità e tradizione: Le descrizioni dei mercati popolari come la Vucciria e Ballarò mostrano un forte senso di comunità e attaccamento alle tradizioni locali;
  • Influenza della storia: La storia di Palermo, segnata da diverse dominazioni e influenze culturali, ha sicuramente plasmato il carattere dei suoi abitanti. Ad esempio, la presenza di elementi architettonici normanni, arabi e barocchi nelle chiese testimonia un'eredità complessa e stratificata;
  • Contesto sociale difficile: In alcuni post, poi, emerge un contesto sociale difficile, con la presenza della criminalità organizzata e la difficoltà di reinserimento per chi ha un passato criminale. Tuttavia, è importante sottolineare che questo non rappresenta la totalità della popolazione palermitana.

Il cibo da strada e l'identità palermitana

Il blog, in particolare, offre uno spaccato interessante sul ruolo del cibo da strada nella cultura palermitana. Sebbene non si concentrino sull'analisi del carattere dei palermitani, alcuni spunti emergono dalle descrizioni dei quartieri, delle tradizioni culinarie e delle interazioni sociali legate al cibo.


Il cibo da strada come elemento di coesione sociale:


Il blog, inoltre, mette in evidenza come il cibo da strada sia un elemento fondamentale della vita quotidiana a Palermo. I mercati storici come la Vucciria e Ballarò sono descritti come luoghi ricchi di colori, odori e sapori, dove la gente del posto si riunisce per acquistare prodotti freschi e consumare specialità locali. In particolare, la Vucciria è descritta come un luogo dove la gente si riversa per bere a basso costo bevande tipiche come il "sangue siciliano" o lo "zibibbo". Questa dimensione sociale del cibo da strada suggerisce che esso svolge un ruolo importante nella creazione di un senso di comunità e appartenenza tra i palermitani.

Le specialità palermitane come simbolo di identità: Le fonti menzionano diverse specialità culinarie tipiche di Palermo, tra cui:

  • Il panino con la milza ("pane ca meusa"): Questo panino, venduto in chioschi e bancarelle in tutta la città, è descritto come una delle specialità più amate dai palermitani, tanto da essere stato insignito del premio "Oscar del cibo di strada" nel 2015. La sua popolarità testimonia l'attaccamento dei palermitani alle proprie tradizioni culinarie;
  • Lo sfincione: Questa focaccia morbida e saporita, condita con pomodoro, cipolla e caciocavallo, è un'altra specialità palermitana molto apprezzata. La sua preparazione e il suo consumo sono legati a momenti di festa e convivialità;
  • Le arancine: Queste crocchette di riso ripiene, fritte e dorate, sono un altro simbolo della cucina palermitana. La loro varietà di gusti e la loro diffusione in tutta la città ne fanno uno dei cibi da strada più consumati;
  • Pane e panelle: Questa semplice ma gustosa combinazione di pane e frittelle di farina di ceci è un'altra specialità palermitana che si può trovare facilmente per le strade della città.

La presenza di queste specialità culinarie, tramandate di generazione in generazione, contribuisce a creare un senso di identità e appartenenza tra i palermitani. Il cibo da strada, in questo senso, diventa un simbolo della cultura e della tradizione locale.

Il cibo da strada come riflesso della storia multiculturale di Palermo: La cucina palermitana è il risultato di secoli di influenze culturali diverse, come quelle arabe, normanne e spagnole. Questa eredità multiculturale si riflette anche nel cibo da strada, che spesso presenta ingredienti e tecniche di preparazione provenienti da diverse tradizioni. Ad esempio, lo sfincione ha origini arabe, mentre le arancine sono state influenzate dalla cucina spagnola.

Il cibo da strada come strumento di inclusione sociale: In un post presente nel blog si parla, inoltre, di un'iniziativa chiamata "Le Arancine aiutano a Leggere", che promuoveva l'istruzione e la cultura dei bambini di Ballarò, un quartiere di Palermo con una forte presenza di immigrati. Questa iniziativa dimostra come il cibo da strada possa essere utilizzato anche come strumento di inclusione sociale e di promozione di valori positivi.

In conclusione, il blog "Sicilia, la terra del Sole." suggerisce che il cibo da strada a Palermo non è solo un modo per soddisfare la fame, ma rappresenta un elemento importante della cultura e dell'identità palermitana. Esso, in ultima analisi, contribuisce a creare un senso di comunità, a tramandare le tradizioni locali e a riflettere la storia multiculturale della città.

Al prossimo post!

 

martedì 23 novembre 2010

Il Palazzo Reale di Palermo. Storia di un antico monumento. Guglielmo II di Sicilia dall'ascesa al trono al 1174. Parte prima.


23 Novembre 2010.

Il Re Guglielmo I riuscì a sedare la rivolta facendo arrestare i baroni. Matteo Bonello finì in carcere, accecato e torturato. Analoga sorte toccò ad alcuni baroni  pugliesi che Guglielmo fece punire crudelmente (Palermo, Marzo del 1161). Altri riuscirono a salvarsi rifugiandosi in Abruzzo. Soggiogate le Puglie, Guglielmo marciò su Benevento, dove era il Papa coi conti di Loretello e di Rupecanina. Ma il Papa trovò più conveniente patteggiare; Guglielmo venne a patti, e si dichiarò vassallo della Santa Chiesa per i domini della terraferma, e, diversamente dagli avi che avevano mantenuto l'indipendenza della Sicilia, se ne fece investire dal Papa (26 giugno 1156). Fu tra i patti promessa vita e libertà ai baroni riparatisi a Benevento, purchè uscissero dal regno; ma Guglielmo fece accecare, scudisciare gettere in orride carceri i conti di Alesa e Tarsio; al conte di Squillace furno cavati gli occhi e mozzata la lingua; più fortunato fu il conte di Policastro, che morì prima di essere arrestato. Gli stessi nipoti naturali del re, Tancredi e Guglielmo, furono presi e confinati dentro la reggia di Palermo. Con queste ed altre crudeltà,istigate da Maione, furono domati i baroni.

Dopo questi sforzi, tornato a Palermo, il Re si immerse negli ozi e nelle lascivie; il regno restò in balia del predetto triumvirato. Morì a quarantasei anni il 07 maggio del 1166. Gli successe il figlio dodicenne,  Guglielmo II, sotto la reggenza della regina Margherita e dei tre ministri. Si fecero per tre giorni le pompe funebri, ma dicono gli storici, che quelle che lo piansero sinceramente furono le donzelle musulmane. Lasciò il regno in disordine e minacciato. Ebbe soprannome di Malo, in confronto al suo successore. Prima della sua morte fece erigere un castello delizioso che chiamò Zisa.

Guglielmo salì al trono tredicenne alla morte del padre Guglielmo I di Sicilia nel 1166 sotto tutela della regina madre Margherita di Navarra. Il regno di Sicilia veniva da un triste periodo di lotte intestine dovute ad una serie di lacerazioni fra la nobiltà, il clero ed il popolo probabilmente anche accentuato dal carattere poco mite di Guglielmo I. Divenuto maggiorenne, Guglielmo II venne incoronato Re di Sicilia nel 1172 con l'appoggio dell'arcivescovo Gualtiero, del clero e dell'aristocrazia. Di Guglielmo II, rispetto al padre, i cronisti dell'epoca sottolinearono spesso, oltre alla bellezza, la correttezza nell'esercizio delle funzioni ed il rispetto per le leggi ed il popolo, l'istruzione e la mitezza d'indole tutte qualità che valsero al normanno l'appellativo di Buono. Il re inoltre, riuscì a godere di un periodo di relativa stabilità e riappacificazione nelle relazioni fra le diverse fazioni.

Nel 1176 mandò il suo consigliere, l'arcivescovo di Capua Alfano di Camerota, a negoziare il matrimonio con la figlia di Enrico II d'Inghilterra, per instaurare un'alleanza fra gli Altavilla e i Plantageneti. La missione fu svolta con successo e la principessa fu condotta nella capitale. A Palermo il 13 febbraio 1177, Guglielmo sposò Giovanna Plantageneto (1165-1199), figlia del re Enrico II e sorella di Riccardo Cuor di Leone.

Il regno di Guglielmo fu particolarmente proficuo per le arti in Sicilia. Fra le opere avviate da Guglielmo merita una citazione il Duomo di Monreale, realizzato con il beneplacito di Papa Lucio III, e l'Abbazia di Santa Maria di Maniace, fortemente voluta dalla regina madre Margherita. Anche la splendida costruzione della Zisa, avviata dal predecessore Guglielmo I, fu completata sotto il suo regno.

L'atmosfera nel suo regno non era turbata da odio interreligioso; afferma Michele Amari: «E pur l'universale della popolazione non aborriva per anco i Musulmani ...; la voce del muezzin non facea ribrezzo nelle grandi città ... onde gli eunuchi, gaiti o paggi che dir si vogliano, esercitavano gli ufficii di corte sotto quel velo sottilissimo d'ipocrisia che li facea apparire cristiani...; Guglielmo accogliea con onore i Musulmani stranieri, medici e astrologhi e largìa denaro a' poeti ...; i Musulmani soggiornavano in alcuni sobborghi senza compagnia di Cristiani; un qâdî amministrava la loro giustizia; frequentavan essi le moschee e ciascuna era anco scuola: fiorivano i loro mercati...». La sua inusitata tolleranza verso i suoi sudditi musulmani (che tanto scandalizzava i cristiani benpensanti ed esasperava il Papa) viene attestata anche dal noto viaggiatore Ibn Jubayr che, nella sua Rihla (Viaggio), ricorda come nel terremoto del febbraio 1169, egli s'aggirasse nella reggia affermando ai suoi diversi servitori: «Che ciascuno preghi il Dio ch'egli adora! Chi avrà fede nel suo Dio, sentirà la pace in cuore» .
Secondo resoconti successivi al 28 agosto 1185, Guglielmo avrebbe chiesto ai suoi vassalli di giurare fedeltà a Costanza, sorella del padre, come sua legittima erede; è bene tuttavia non accordare troppo peso a questa testimonianza priva di concordanza nelle fonti.

Guglielmo venne sepolto ai piedi dell'altare maggiore del Duomo di Monreale, così che chi officiava la Messa doveva inginocchiarsi sulla tomba di Guglielmo. Il Cardinale Torres nel 1500 diseppellì il corpo del re e gli fece costruire un sepolcro rinascimentale, accanto a quello del padre Guglielmo I. 

"Plesso del corpo, di naso aquilino, di fulvi capelli come tutti della casa di Hauteville(« Erat autem ejus puer pulchritudinis, quae facilius quidem parem excludere videretur, quam superiorem admittere.» Falcando, f. 449. ). Nutrito fra le discordie e i disordini che segnarono il regno del padre, un giorno trovavasi a scuola col principe Enrico suo fratello, quando, invasa da' ribelli la reggia, il suo precettore Gualtiero Offamill dalle stanze inferiori trafugavali entrambi nella torre Pisana. Vide allora congiure, sedizioni, supplizi incessanti; vide e sentì più tardi gl'intrighi e i tumulti che non mancarono alla materna reggenza : potè quindi sospirare alla dolcezza di giorni più tranquilli e più lieti ; ma l'ereditario coraggio non gli dormìa nelle vene, e allorchè, sollevata Messina, il Cancelliere Stefano gli propose di marciare egli stesso e condurre l'esercito, un lampo di gioia brillò in volto al successore trilustre d' una stirpe di prodi. Ne' primi tempi erasi dedicato volentieri agli studi : il partecipar negli affari ne lo distoglieva in appresso(« Nam cum rex vester bene litteras noverit, rex noster [parla di Enrico II a" Inghilterra) longe litteratior est. Ego autem in laterali scienlia facultates utriusque cognovi. Scitis quod dominus rex Siciliae per armimi discipulus meus fuit, et qui a vobis versificatori atque litteratorise artis primitias habuerat, per industriam et sollicitudinem meam beneficium scientia e plenioris obtinuit. Quam cito autem egressus sum regnum, ipse libris abjectis, ad otium se contulit palatium. »);  pur serbavane in cuore vivo e caldo l'affetto. Leggeva e scriveva l'arabo ; e l'alaniah, ossia la divisa che prendeva a foggia musulmana, era « Lode a Dio, giusta è la sua causa. » L'alamah di suo padre era « Lode a Dio in riconoscenza de' suoi beneficii. » Le inclinazioni paterne, in quanto avevano di assolutamente orientale, non rivivevano in lui. Nell'animo aperto, generoso, solerte, temprato a tutt'altro che a un dispotismo voluttuoso, indolente, e, volta a volta, feroce, accoglieva una dose sincera di affetti e sentimenti cristiani istillatigli dalla madre spagnuola, e però ardente di fede tra le stesse debolezze del sesso, dalla voce de' dotti teologi cui fu dato a educare : tuttavia gli scrittori che ne' tempi più tardi vollero su quest' ultimo punto esagerar le sue lodi, caricarono e sfigurarono abbastanza il ritratto. Convertirono le virtù del monarca in una specie di ascetismo devoto : staccarono pienamente Guglielmo dalla musulmana atmosfera, in cui, ad ogni modo, era nato e cresciuto; ed avrebbero con molto scandalo loro, in certe memorie portate di recente alla conoscenza del mondo, veduto la reggia del re buono, del re casto in Palermo conservare i misteri ei diletti dell'antico serraglio (In quanto alle ancelle e alle concubine che tiene nel suo palazzo esse sono tutte musulmane. Il servo di corte che ha nome Iahia impiegato nella manifattura de drappi ove ricama in oro gli abiti del re ci ha raccontato su tal riguardo un altro fatto straordinario cioè che le Franche cristiane dimoranti nella reggia erano state convertite alla fede musulmana dalle sopradette ancelle che questo succede alla insaputa del re e che per altro tali donne sono assai zelanti nelle opere buone.); nè sarebbe per loro mancato anche prima qualche cenno delle allegre regate nel lago di Albeira colle sue concubine (Cum uxoribus suis Beniamino di Tudela Itinerario nella versione dall ebraico di Aria Montano presso Caruso Bibl. Hist .,t. II ,f .1000). La imitazione delle consuetudini arabiche dovea durare, nel tutto, quanto all'apparato e allo splendor della corte come alle maniere ed agli ordini della pubblica azienda. Se non che il potere di fatto che nel regno anteriore giungeva ad assumere il musulmano elemento, era venuto a declinare più sempre ne' quattro anni della successiva reggenza, in ispecie per le tendenze più decisamente occidentali e ortodosse del Cancelliere-Arcivescovo.


Epistola 66 di Pietro di Blois a Gualtiero Offamill arcivescovo di Palermo, tra le sue opere, f. 144. Nelle ultime parole è uno dei soliti maligni frizzi di Pietro. Ma la storia riconosce Guglielmo II  come principe non certamente disposto a poltrir nella reggia.

La popolazione infedele della città di Palermo avea con ardore concorso alla rovina di Stefano ; ma nel ministero novello si lasciava poca parte a chi dovea rappresentarla al governo: appena il solo gaito Riccardo fra dieci membri non musulmani di origine; nè vi si annoverava AbuT-Kasim, vero capo di tutto il partito. Degli altri nove, cinque apparteneano alla Chiesa; uno (il Protonotaro d'Aiello) a quella borghesia cortigiana già incarnata in Maione; tre (i conti di Geraci, di Molise e di Montescaglioso) all'alta aristocrazia signorile, riuscita infine a insinuarsi nuovamente con loro ne'regi consigli. Da principio sembrarono tutt'insieme accordarsi. Ma segnatamente tenevali uniti il comune interesse d'impedire una ricomparsa possibile del Cancelliere proscritto.


Col favore della innamorata regina a costui non difettavano aiuti ed avvocati al di fuori. Il re di Francia, Luigi VII, accreditava alla regina e a Guglielmo un certo Teobaldo, priore di Crèpy nel Valois, che passava in Levante per affari del certosino suo ordine ; e nelle lettere erano attestati della riconoscenza del re per la ospitalità ricevuta vent'anni prima in Sicilia al suo ritorno di Siria, proteste del desiderio sincero di contribuire con uffici ed esortazioni amorevoli alla gloria e prosperità di Guglielmo, raccomandazioni efficaci per la persona di Stefano, offeso ed espulso a torto per avversi maneggi, e il cui richiamo sarebbe di onore a Guglielmo, di consolazione non piccola al regno intero di Francia (Ad gloriam nominis cestri et regni Francorum consola tionem Presso Bréquigny Mim de l Académie des Inscrip et Bel. Lettr., vol.  LI, f. 625 e seg).


Tommaso Becket, l'arcivescovo di Canterbury, allora ricoveratosi in Francia, aggiungeva la propria sua opera ; e Io stesso priore Teobaldo ne recava una lettera alla regina Margherita, cui non erano su questo proposito necessari gl' incentivi del santo (Epistola 57 presso Caruso Bibl. Hist., t. II f. 983), di Siracusa, non ancora scopertosi malfido amico a Tommaso, al quale, però, quelle esortazioni in vantaggio di Stefano giungevano vane affatto ed inutili (Ep. 58 loc. cit. « Unum tamen est quod in aure vestra secretius consuluisse, rogasse et obiinuisse consideramus, ut nobilis viri Stephani, Panormitani Electi, revocationem diligenter procuretis apud Regem et Reginam, tum ob causas, quas in presenti de industria reticemus,tum ut prelati Regis et totius Regni Francorùm gratiam vobis eternaliter comparetis. » Ivi.).
 
II greco imperatore Manuele Commeno ed un' altra a Riccardo Palmer, l'Eletto neno, istigato, come pare, dal re Cristianissimo (Dopo la missione presso la corte di Sicilia il priore Teobaldo era incaricato di un altra presso l Imperatore di Costantinopoli Bréquigny f. 627), intercedeva ugualmente : certo corse voce nell' isola ch' ei pensasse restaurare, sino colla forza, il profugo illustre (Falcando f. 485); e ciò, probabilmente, col titolo che gli dava la qualità di futuro suocero del giovane re per le nozze proposte colla propria figliuola. Tra i nobili stessi che non erano pervenuti a introdursi nel nuovo governo, sembra ancora che molti, per uggia e dispetto, si fossero dati a sposare la causa del caduto ministro, e, fra essi, il conte di Lorotello, testè rivocato dall' esilio(Falcando f. 485-486).


Troncò quelle pratiche e le ultime speranze della regina Margherita l'annunzio della morte intempestiva di Stefano. Infermò in Gerusalemme di subito male, contratto per le angosce dell' animo : e spirato fra le braccia del re Almerico e degli altri principi franchi, che stavano intorno al suo letto, ebbe esequie e riposo nella chiesa del Santo Sepolcro (Guglielmo da Tiro , Historia, lib. XX parag. III, f. 977. Epistola 92 di Pietro di Blois, tra le sue opere, f. 167. Falcando, 486). Contemporaneamente arrivava a Gualtiero Offamill la pontificia conferma nello stallo ottenuto di palermitano arcivescovo.


Per non allontanarsi dalla reggia, e non lasciare a qualche accorto rivale opportunità di scalzarlo, aveva egli supplicato Alessandro III gli piacesse permettere che fosse consecrato da' suoi suffraganei. Il papa temporeggiò qualche tempo, a non darsi l'aria di precipitare il consenso (Falcando, f. 485), poi trasmettevagli il pallio per mezzo di quello stesso cardinal Giovanni di Napoli, del quale è menzione più sopra; e cosi, con insolito esempio, la consecrazione adempivasi il 28 settembre per le mani de'vescovi di Girgenti, di Mazzara e di Malta ( Romualdo Salernitano, f. 874. Diploma del 28 settembre 1169, presso Mongitore, Bulla, Privilegia et lustramento Panormitatus Ecclesia Metropolitanoe, Pan., 1734, f. 44.).

Da quell'ora una modificazione novella avvenia nel governo: la preminenza- restava all' Offamill  (Falcando, f. 486.); con lui entrava a dividere i principali maneggi il Protonotaro d'Aiello, che, dopo la cacciata di Stefano, aveva ripigliato le veci di Gran Cancelliere: durarono sotto a loro, con minori ingerenze, Riccardo Palmer (confermato già vescovo) il vescovo Gentile, il gaito Riccardo; l'arcivescovo Romualdo di Guarna fu accomiatato bellamente dalla corte e rimandato in Salerno alla propria diocesi; accomiatato con lui il conte d'Avellino, ch' era anche della parentela del re : i conti di Geraci e di Molise tornavano a'loro castelli, e di Rodrigo, il brutto conte di Montescaglioso, non si trova più affatto parola, talchè par verisimile che fosse rinviato - oltremare. La regina Margherita sempre più s'ecclissava e si tirava in disparte: il re, che avea preso ad amministrare di fatto, nel 1172 compiva infine i diciottenni ; e le lettere e i diplomi officiali, intitolati sino allora co' nomi di Margherita e Guglielmo, si veggono da quel tempo portare in fronte il solo nome di lai ( Diploma del 15 aprile 1172, presso Mongitore, op. cit., f. 46, e tutt' altri diplomi posteriori a quella data. L'ultimo atto che m'è avvenuto incontrare con il nome della regina Margherita, è una pergamena greca del novembre 1171, ove si parla dell' arconte Pro-Cancelliere e degli altri arconti della potente corte. Si vegga nella raccolta del signor Giuseppe Spata, Le Pergamene greche esistenti nel Grande Archivio di Palermo, f. 274.).
 
II senno precoce, la bontà, la mitezza del principe bastavano adesso a temperare i rapporti scambievoli tra i suoi consiglieri. Cessavano le vecchie gare di corte. In Gualtiero Offamill, il modesto grammatico alzato a primeggiare d'un tratto, potè far meraviglia il salire sì rapido e il trionfo di un' ambizione latente, non creduta nè sospetta finoggi; ma sotto a quella era pure uno zelo assai vivo verso il regio suo alunno. Il Protonotaro d'Aiello, non più costretto a implicarsi in tortuosi raggiri, doveasi mostrare nel migliore suo Iato: la capacità, la destrezza, la matura esperienza delle cose e degli uomini, la cura sollecita del patrio interesse e del patrio decoro. I grandi baroni non prepotenti, non rolti a licenza, ma neppure soffocati e schiacciati dalla mano di ferro che avea pesalo sovr'essi coll' antico Guglielmo : tornati a rimuovere (colla consueta politica della casa di Hauteville) dalle consulte più intime della reggia in Palermo, riserbati a'Parlamenti solenni, alle giurisdizioni ne' feudi, alle pompe ed agli onori del grado, ma tuttavia consapevoli che quel potere di corte non dovessse, oggi almeno,esercitarsi con mire sistematicamente per loro dannose e sinistre: le differenze di origine, di stirpe italiana o normanna, tendenti a indebolirsi più sempre nel comune sentimento di casta, ed in quello che gli legava del pari al suolo e alle fortune del regno. Fra le popolazioni diverse che vi abitavano insieme, un equo riguardo ch'estendevasi a tutte. I Musulmani, sopra i quali il prevalere della parte cristiana veniva con lento, ma continuo e irresistibil cammino crescendo ogni giorno, potevano con più mesto rammarico riportarsi col pensiero a que'tempi in cui le insegne normanne non erano comparse a soppiantare nell'isola gli stendardi del celeste Profeta; e nondimeno, contro le poco amiche intenzioni dell'aristocrazia signorile e della Chiesa oggidì dominante, trovavano sempre un appoggio nella persona del re, nella prerogativa sovrana. Al loro voto segreto : "Che Dio renda la Sicilia a' credenti !" si aggiungeva più apertamente quest'altro, alludendo a Guglielmo: « che Dio conceda loro il prolungamento di questa vita in perfetta sanità! » (Ibn-Giobair, Viaggio in Sicilia.) 

Succedeva dunque un periodo di riposo e d'ordine, di prosperità e sicurezza al di dentro. E ne' grandi fatti che agitavano il mondo potè la monarchia di Sicilia aver luogo condegno ad apparire e risplendere.In Occidente, la lotta tra il Sacerdozio e l'Impero, tra l'Impero e i Comuni italiani; in Oriente, la lotta tra la Cristianità e l'Islamismo, tra la mezzaluna e la croce, e l'urto reciproco dell' Europa e dell' Asia. La causa che aveva assunto Ildebrando, quella della indipendenza non solo, ma della universale supremazia della Chiesa, confondevasi all'altra delle libertà cittadine progredite in Italia. Il contrasto da entrambi simultaneamente impegnato, il trovarsi in presenza di uno stesso nemico stabiliva fra il Papato e i Comuni ribelli all' Impero vincoli necessari e ultimissimi ; le due quistioni, religiosa e politica, poterono così innanzi agli occhi degli uomini mostrarsi una sola: ed era illusione che il Papato doveva accortamente sfruttare a seconda de' proprii suoi fini e de' proprii disegni. Allora, in ogni modo, la illusione durava. Alessandro III pontefice, uscito di Roma, rimaneva in Benevento, ove le forze del regno seguivano a coprirlo e difenderlo : Federigo Barbarossa, abbandonate nel 1167 le infauste rive del Tevere, si ritraea per la Toscana a traverso gli Appennini, sfuggendo a stento il provocato sollevarsi de' popoli, salvo a stento da chi, tra i suoi fedeli, assicuravagli il passo. Svernava in Pavia e vi chiamava una dieta, ove co' rappresentanti di quattro sole città accorsero pochi e radi i feudatarii italiani: colà, gettato il guanto in mezzo all' adunanza, poneva al bando le città collegate; si limitava del resto, co' suoi scarsi Tedeschi e co' deboli aiuti raccolti in Italia, ad alcuni guasti su' territori di Milano e Piacenza. Nella primavera seguente ritornava quasi solo in Germania per la valle di Susa, travestilo, cercando nascondersi, s'è da prestar fede a una cronaca. E frattanto il 1 dicembre, congregatisi a nuova e più numerosa assemblea, i confederati di Pontida e quelli della prima Lega Veronese ripetevano il voto della mutua tutela e della mutua assistenza : v'erano deputati di Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Trevigi, Ferrara, Brescia, Bergamo, Milano, Lodi, Piacenza, Modena, Parma, Bologna: il re di Sicilia non era rappresentato al convegno, ma sapevasi avere i suoi messi giurato sostenere le città combattenti, e si avea la certezza che i soccorsi dell'isola non sarebbero per mancare all'impresa. Nel convegno tornavasi a dichiarare lo scopo comune di rivendicare e serbare le municipali franchigie godute dal tempo di Enrico V fino all'assunzione di Federigo al trono, non tollerando tutt' altri legami di padronanza imperiale: Venezia concorrerebbe col proprio navilio pel mare e pe' fiumi ; i collegati guarderebbero coll' esercito i suoi dominii di terra ; si partisse di buona fede il danaro apprestato dal re di Sicilia e dal greco imperatore Manuele Comneno, risarcendo prima Venezia di ciò che avea speso per legazioni a que' principi in pro della Lega ; si ristorassero a provvidenze comuni i danni delle città collegate, e i profitti del vincere si dividessero ugualmente fra loro; si obbligasse ciascuno a non fermare particolari trattati senza consiglio e volontà della Lega: supremi rettori avessero l'indirizzo de' federali negozii; ad essi la cura della comune difesa, la condotta della guerra, l'arbitrato de'dissidii reciproci, l'amministrazione del federale peculio, e, dove necessità lo volesse, la riforma degli statuti giurati ( II relativo documento può leggersi presso Muratori, Antiq.it., diss. XLVIII. Veggasi inoltre Tosti, Storia della Lega Lombarda, lib. IV, f. 342., Milano, 1860.)"
Fonte:-


Bibliografia:- 
  • Storia della Sicilia sotto Guglielmo il Buono  di Isidoro La Lumia, da pag. 119 a pag. 128;
  •  Ibn-Giobair, Viaggio in Sicilia sotto il regno di Guglielmo il Buono;
  • Tosti, Storia della Lega Lombarda, lib. IV, f. 342., Milano, 1860.
Linkografia:-

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