Il Re Guglielmo I riuscì a sedare la rivolta facendo arrestare i baroni. Matteo Bonello finì in carcere, accecato e torturato. Analoga sorte toccò ad alcuni baroni pugliesi che Guglielmo fece punire crudelmente (Palermo, Marzo del 1161). Altri riuscirono a salvarsi rifugiandosi in Abruzzo. Soggiogate le Puglie, Guglielmo marciò su Benevento, dove era il Papa coi conti di Loretello e di Rupecanina. Ma il Papa trovò più conveniente patteggiare; Guglielmo venne a patti, e si dichiarò vassallo della Santa Chiesa per i domini della terraferma, e, diversamente dagli avi che avevano mantenuto l'indipendenza della Sicilia, se ne fece investire dal Papa (26 giugno 1156). Fu tra i patti promessa vita e libertà ai baroni riparatisi a Benevento, purchè uscissero dal regno; ma Guglielmo fece accecare, scudisciare gettere in orride carceri i conti di Alesa e Tarsio; al conte di Squillace furno cavati gli occhi e mozzata la lingua; più fortunato fu il conte di Policastro, che morì prima di essere arrestato. Gli stessi nipoti naturali del re, Tancredi e Guglielmo, furono presi e confinati dentro la reggia di Palermo. Con queste ed altre crudeltà,istigate da Maione, furono domati i baroni.
Dopo questi sforzi, tornato a Palermo, il Re si immerse negli ozi e nelle lascivie; il regno restò in balia del predetto triumvirato. Morì a quarantasei anni il 07 maggio del 1166. Gli successe il figlio dodicenne, Guglielmo II, sotto la reggenza della regina Margherita e dei tre ministri. Si fecero per tre giorni le pompe funebri, ma dicono gli storici, che quelle che lo piansero sinceramente furono le donzelle musulmane. Lasciò il regno in disordine e minacciato. Ebbe soprannome di Malo, in confronto al suo successore. Prima della sua morte fece erigere un castello delizioso che chiamò Zisa.
Guglielmo salì al trono tredicenne alla morte del padre Guglielmo I di Sicilia nel 1166 sotto tutela della regina madre Margherita di Navarra. Il regno di Sicilia veniva da un triste periodo di lotte intestine dovute ad una serie di lacerazioni fra la nobiltà, il clero ed il popolo probabilmente anche accentuato dal carattere poco mite di Guglielmo I. Divenuto maggiorenne, Guglielmo II venne incoronato Re di Sicilia nel 1172 con l'appoggio dell'arcivescovo Gualtiero, del clero e dell'aristocrazia. Di Guglielmo II, rispetto al padre, i cronisti dell'epoca sottolinearono spesso, oltre alla bellezza, la correttezza nell'esercizio delle funzioni ed il rispetto per le leggi ed il popolo, l'istruzione e la mitezza d'indole tutte qualità che valsero al normanno l'appellativo di Buono. Il re inoltre, riuscì a godere di un periodo di relativa stabilità e riappacificazione nelle relazioni fra le diverse fazioni.
Nel 1176 mandò il suo consigliere, l'arcivescovo di Capua Alfano di Camerota, a negoziare il matrimonio con la figlia di Enrico II d'Inghilterra, per instaurare un'alleanza fra gli Altavilla e i Plantageneti. La missione fu svolta con successo e la principessa fu condotta nella capitale. A Palermo il 13 febbraio 1177, Guglielmo sposò Giovanna Plantageneto (1165-1199), figlia del re Enrico II e sorella di Riccardo Cuor di Leone.
Il regno di Guglielmo fu particolarmente proficuo per le arti in Sicilia. Fra le opere avviate da Guglielmo merita una citazione il Duomo di Monreale, realizzato con il beneplacito di Papa Lucio III, e l'Abbazia di Santa Maria di Maniace, fortemente voluta dalla regina madre Margherita. Anche la splendida costruzione della Zisa, avviata dal predecessore Guglielmo I, fu completata sotto il suo regno.
L'atmosfera nel suo regno non era turbata da odio interreligioso; afferma Michele Amari: «E pur l'universale della popolazione non aborriva per anco i Musulmani ...; la voce del muezzin non facea ribrezzo nelle grandi città ... onde gli eunuchi, gaiti o paggi che dir si vogliano, esercitavano gli ufficii di corte sotto quel velo sottilissimo d'ipocrisia che li facea apparire cristiani...; Guglielmo accogliea con onore i Musulmani stranieri, medici e astrologhi e largìa denaro a' poeti ...; i Musulmani soggiornavano in alcuni sobborghi senza compagnia di Cristiani; un qâdî amministrava la loro giustizia; frequentavan essi le moschee e ciascuna era anco scuola: fiorivano i loro mercati...». La sua inusitata tolleranza verso i suoi sudditi musulmani (che tanto scandalizzava i cristiani benpensanti ed esasperava il Papa) viene attestata anche dal noto viaggiatore Ibn Jubayr che, nella sua Rihla (Viaggio), ricorda come nel terremoto del febbraio 1169, egli s'aggirasse nella reggia affermando ai suoi diversi servitori: «Che ciascuno preghi il Dio ch'egli adora! Chi avrà fede nel suo Dio, sentirà la pace in cuore» .
Secondo resoconti successivi al 28 agosto 1185, Guglielmo avrebbe chiesto ai suoi vassalli di giurare fedeltà a Costanza, sorella del padre, come sua legittima erede; è bene tuttavia non accordare troppo peso a questa testimonianza priva di concordanza nelle fonti.
Guglielmo venne sepolto ai piedi dell'altare maggiore del Duomo di Monreale, così che chi officiava la Messa doveva inginocchiarsi sulla tomba di Guglielmo. Il Cardinale Torres nel 1500 diseppellì il corpo del re e gli fece costruire un sepolcro rinascimentale, accanto a quello del padre Guglielmo I.
"Plesso del corpo, di naso aquilino, di fulvi capelli come tutti della casa di Hauteville(« Erat autem ejus puer pulchritudinis, quae facilius quidem parem excludere videretur, quam superiorem admittere.» Falcando, f. 449. ). Nutrito fra le discordie e i disordini che segnarono il regno del padre, un giorno trovavasi a scuola col principe Enrico suo fratello, quando, invasa da' ribelli la reggia, il suo precettore Gualtiero Offamill dalle stanze inferiori trafugavali entrambi nella torre Pisana. Vide allora congiure, sedizioni, supplizi incessanti; vide e sentì più tardi gl'intrighi e i tumulti che non mancarono alla materna reggenza : potè quindi sospirare alla dolcezza di giorni più tranquilli e più lieti ; ma l'ereditario coraggio non gli dormìa nelle vene, e allorchè, sollevata Messina, il Cancelliere Stefano gli propose di marciare egli stesso e condurre l'esercito, un lampo di gioia brillò in volto al successore trilustre d' una stirpe di prodi. Ne' primi tempi erasi dedicato volentieri agli studi : il partecipar negli affari ne lo distoglieva in appresso(« Nam cum rex vester bene litteras noverit, rex noster [parla di Enrico II a" Inghilterra) longe litteratior est. Ego autem in laterali scienlia facultates utriusque cognovi. Scitis quod dominus rex Siciliae per armimi discipulus meus fuit, et qui a vobis versificatori atque litteratorise artis primitias habuerat, per industriam et sollicitudinem meam beneficium scientia e plenioris obtinuit. Quam cito autem egressus sum regnum, ipse libris abjectis, ad otium se contulit palatium. »); pur serbavane in cuore vivo e caldo l'affetto. Leggeva e scriveva l'arabo ; e l'alaniah, ossia la divisa che prendeva a foggia musulmana, era « Lode a Dio, giusta è la sua causa. » L'alamah di suo padre era « Lode a Dio in riconoscenza de' suoi beneficii. » Le inclinazioni paterne, in quanto avevano di assolutamente orientale, non rivivevano in lui. Nell'animo aperto, generoso, solerte, temprato a tutt'altro che a un dispotismo voluttuoso, indolente, e, volta a volta, feroce, accoglieva una dose sincera di affetti e sentimenti cristiani istillatigli dalla madre spagnuola, e però ardente di fede tra le stesse debolezze del sesso, dalla voce de' dotti teologi cui fu dato a educare : tuttavia gli scrittori che ne' tempi più tardi vollero su quest' ultimo punto esagerar le sue lodi, caricarono e sfigurarono abbastanza il ritratto. Convertirono le virtù del monarca in una specie di ascetismo devoto : staccarono pienamente Guglielmo dalla musulmana atmosfera, in cui, ad ogni modo, era nato e cresciuto; ed avrebbero con molto scandalo loro, in certe memorie portate di recente alla conoscenza del mondo, veduto la reggia del re buono, del re casto in Palermo conservare i misteri ei diletti dell'antico serraglio (In quanto alle ancelle e alle concubine che tiene nel suo palazzo esse sono tutte musulmane. Il servo di corte che ha nome Iahia impiegato nella manifattura de drappi ove ricama in oro gli abiti del re ci ha raccontato su tal riguardo un altro fatto straordinario cioè che le Franche cristiane dimoranti nella reggia erano state convertite alla fede musulmana dalle sopradette ancelle che questo succede alla insaputa del re e che per altro tali donne sono assai zelanti nelle opere buone.); nè sarebbe per loro mancato anche prima qualche cenno delle allegre regate nel lago di Albeira colle sue concubine (Cum uxoribus suis Beniamino di Tudela Itinerario nella versione dall ebraico di Aria Montano presso Caruso Bibl. Hist .,t. II ,f .1000). La imitazione delle consuetudini arabiche dovea durare, nel tutto, quanto all'apparato e allo splendor della corte come alle maniere ed agli ordini della pubblica azienda. Se non che il potere di fatto che nel regno anteriore giungeva ad assumere il musulmano elemento, era venuto a declinare più sempre ne' quattro anni della successiva reggenza, in ispecie per le tendenze più decisamente occidentali e ortodosse del Cancelliere-Arcivescovo.
Per non allontanarsi dalla reggia, e non lasciare a qualche accorto rivale opportunità di scalzarlo, aveva egli supplicato Alessandro III gli piacesse permettere che fosse consecrato da' suoi suffraganei. Il papa temporeggiò qualche tempo, a non darsi l'aria di precipitare il consenso (Falcando, f. 485), poi trasmettevagli il pallio per mezzo di quello stesso cardinal Giovanni di Napoli, del quale è menzione più sopra; e cosi, con insolito esempio, la consecrazione adempivasi il 28 settembre per le mani de'vescovi di Girgenti, di Mazzara e di Malta ( Romualdo Salernitano, f. 874. Diploma del 28 settembre 1169, presso Mongitore, Bulla, Privilegia et lustramento Panormitatus Ecclesia Metropolitanoe, Pan., 1734, f. 44.).
Da quell'ora una modificazione novella avvenia nel governo: la preminenza- restava all' Offamill (Falcando, f. 486.); con lui entrava a dividere i principali maneggi il Protonotaro d'Aiello, che, dopo la cacciata di Stefano, aveva ripigliato le veci di Gran Cancelliere: durarono sotto a loro, con minori ingerenze, Riccardo Palmer (confermato già vescovo) il vescovo Gentile, il gaito Riccardo; l'arcivescovo Romualdo di Guarna fu accomiatato bellamente dalla corte e rimandato in Salerno alla propria diocesi; accomiatato con lui il conte d'Avellino, ch' era anche della parentela del re : i conti di Geraci e di Molise tornavano a'loro castelli, e di Rodrigo, il brutto conte di Montescaglioso, non si trova più affatto parola, talchè par verisimile che fosse rinviato - oltremare. La regina Margherita sempre più s'ecclissava e si tirava in disparte: il re, che avea preso ad amministrare di fatto, nel 1172 compiva infine i diciottenni ; e le lettere e i diplomi officiali, intitolati sino allora co' nomi di Margherita e Guglielmo, si veggono da quel tempo portare in fronte il solo nome di lai ( Diploma del 15 aprile 1172, presso Mongitore, op. cit., f. 46, e tutt' altri diplomi posteriori a quella data. L'ultimo atto che m'è avvenuto incontrare con il nome della regina Margherita, è una pergamena greca del novembre 1171, ove si parla dell' arconte Pro-Cancelliere e degli altri arconti della potente corte. Si vegga nella raccolta del signor Giuseppe Spata, Le Pergamene greche esistenti nel Grande Archivio di Palermo, f. 274.).
II senno precoce, la bontà, la mitezza del principe bastavano adesso a temperare i rapporti scambievoli tra i suoi consiglieri. Cessavano le vecchie gare di corte. In Gualtiero Offamill, il modesto grammatico alzato a primeggiare d'un tratto, potè far meraviglia il salire sì rapido e il trionfo di un' ambizione latente, non creduta nè sospetta finoggi; ma sotto a quella era pure uno zelo assai vivo verso il regio suo alunno. Il Protonotaro d'Aiello, non più costretto a implicarsi in tortuosi raggiri, doveasi mostrare nel migliore suo Iato: la capacità, la destrezza, la matura esperienza delle cose e degli uomini, la cura sollecita del patrio interesse e del patrio decoro. I grandi baroni non prepotenti, non rolti a licenza, ma neppure soffocati e schiacciati dalla mano di ferro che avea pesalo sovr'essi coll' antico Guglielmo : tornati a rimuovere (colla consueta politica della casa di Hauteville) dalle consulte più intime della reggia in Palermo, riserbati a'Parlamenti solenni, alle giurisdizioni ne' feudi, alle pompe ed agli onori del grado, ma tuttavia consapevoli che quel potere di corte non dovessse, oggi almeno,esercitarsi con mire sistematicamente per loro dannose e sinistre: le differenze di origine, di stirpe italiana o normanna, tendenti a indebolirsi più sempre nel comune sentimento di casta, ed in quello che gli legava del pari al suolo e alle fortune del regno. Fra le popolazioni diverse che vi abitavano insieme, un equo riguardo ch'estendevasi a tutte. I Musulmani, sopra i quali il prevalere della parte cristiana veniva con lento, ma continuo e irresistibil cammino crescendo ogni giorno, potevano con più mesto rammarico riportarsi col pensiero a que'tempi in cui le insegne normanne non erano comparse a soppiantare nell'isola gli stendardi del celeste Profeta; e nondimeno, contro le poco amiche intenzioni dell'aristocrazia signorile e della Chiesa oggidì dominante, trovavano sempre un appoggio nella persona del re, nella prerogativa sovrana. Al loro voto segreto : "Che Dio renda la Sicilia a' credenti !" si aggiungeva più apertamente quest'altro, alludendo a Guglielmo: « che Dio conceda loro il prolungamento di questa vita in perfetta sanità! » (Ibn-Giobair, Viaggio in Sicilia.)
Succedeva dunque un periodo di riposo e d'ordine, di prosperità e sicurezza al di dentro. E ne' grandi fatti che agitavano il mondo potè la monarchia di Sicilia aver luogo condegno ad apparire e risplendere.In Occidente, la lotta tra il Sacerdozio e l'Impero, tra l'Impero e i Comuni italiani; in Oriente, la lotta tra la Cristianità e l'Islamismo, tra la mezzaluna e la croce, e l'urto reciproco dell' Europa e dell' Asia. La causa che aveva assunto Ildebrando, quella della indipendenza non solo, ma della universale supremazia della Chiesa, confondevasi all'altra delle libertà cittadine progredite in Italia. Il contrasto da entrambi simultaneamente impegnato, il trovarsi in presenza di uno stesso nemico stabiliva fra il Papato e i Comuni ribelli all' Impero vincoli necessari e ultimissimi ; le due quistioni, religiosa e politica, poterono così innanzi agli occhi degli uomini mostrarsi una sola: ed era illusione che il Papato doveva accortamente sfruttare a seconda de' proprii suoi fini e de' proprii disegni. Allora, in ogni modo, la illusione durava. Alessandro III pontefice, uscito di Roma, rimaneva in Benevento, ove le forze del regno seguivano a coprirlo e difenderlo : Federigo Barbarossa, abbandonate nel 1167 le infauste rive del Tevere, si ritraea per la Toscana a traverso gli Appennini, sfuggendo a stento il provocato sollevarsi de' popoli, salvo a stento da chi, tra i suoi fedeli, assicuravagli il passo. Svernava in Pavia e vi chiamava una dieta, ove co' rappresentanti di quattro sole città accorsero pochi e radi i feudatarii italiani: colà, gettato il guanto in mezzo all' adunanza, poneva al bando le città collegate; si limitava del resto, co' suoi scarsi Tedeschi e co' deboli aiuti raccolti in Italia, ad alcuni guasti su' territori di Milano e Piacenza. Nella primavera seguente ritornava quasi solo in Germania per la valle di Susa, travestilo, cercando nascondersi, s'è da prestar fede a una cronaca. E frattanto il 1 dicembre, congregatisi a nuova e più numerosa assemblea, i confederati di Pontida e quelli della prima Lega Veronese ripetevano il voto della mutua tutela e della mutua assistenza : v'erano deputati di Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Trevigi, Ferrara, Brescia, Bergamo, Milano, Lodi, Piacenza, Modena, Parma, Bologna: il re di Sicilia non era rappresentato al convegno, ma sapevasi avere i suoi messi giurato sostenere le città combattenti, e si avea la certezza che i soccorsi dell'isola non sarebbero per mancare all'impresa. Nel convegno tornavasi a dichiarare lo scopo comune di rivendicare e serbare le municipali franchigie godute dal tempo di Enrico V fino all'assunzione di Federigo al trono, non tollerando tutt' altri legami di padronanza imperiale: Venezia concorrerebbe col proprio navilio pel mare e pe' fiumi ; i collegati guarderebbero coll' esercito i suoi dominii di terra ; si partisse di buona fede il danaro apprestato dal re di Sicilia e dal greco imperatore Manuele Comneno, risarcendo prima Venezia di ciò che avea speso per legazioni a que' principi in pro della Lega ; si ristorassero a provvidenze comuni i danni delle città collegate, e i profitti del vincere si dividessero ugualmente fra loro; si obbligasse ciascuno a non fermare particolari trattati senza consiglio e volontà della Lega: supremi rettori avessero l'indirizzo de' federali negozii; ad essi la cura della comune difesa, la condotta della guerra, l'arbitrato de'dissidii reciproci, l'amministrazione del federale peculio, e, dove necessità lo volesse, la riforma degli statuti giurati ( II relativo documento può leggersi presso Muratori, Antiq.it., diss. XLVIII. Veggasi inoltre Tosti, Storia della Lega Lombarda, lib. IV, f. 342., Milano, 1860.)"