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lunedì 12 maggio 2025

Il concetto di "Collaborazione di giustizia" e il suo ruolo nell'ambito investigativo e giudiziario, così come emerge dalla lettura dei romanzi di Francesco Toscano.

Palermo, lì 12 maggio 2025.

La collaborazione di giustizia è un elemento cruciale nella lotta contro le organizzazioni criminali, in particolare le mafie. Essa si basa su un "contratto" informale tra lo Stato e l'individuo affiliato o vicino all'organizzazione criminale. In cambio della fornitura di informazioni provenienti dall'interno dell'organizzazione, il collaboratore riceve benefici processuali, penali e penitenziari. Oltre a questo, sono previsti protezione e sostegno economico per sé e per i propri familiari.

I collaboratori di giustizia, definiti in gergo giornalistico anche "pentiti", sono considerati uno strumento indispensabile. Essi permettono di conoscere direttamente:

  • Come sono strutturate le organizzazioni criminali;
  • Quali obiettivi perseguono;
  • Quali strategie adottano;
  • Di quali rapporti di connivenza o di collusione si nutrono;
  • Quali delitti hanno compiuto o intendono compiere.

Inoltre, le loro dichiarazioni consentono l'arresto di boss importanti, il sequestro e la confisca di patrimoni illeciti, e talvolta di evitare l'uccisione di persone nel mirino delle cosche.

Per un mafioso, iniziare a collaborare con lo Stato significa violare una regola fondamentale: la consegna del silenzio, l'omertà. L'omertà è garanzia del mantenimento della segretezza, dell'esercizio del potere e dell'assicurazione dell'impunità. Per questo motivo, i collaboratori sono considerati "infami" nel mondo mafioso e possono essere colpiti da "vendette trasversali", agguati diretti contro i loro familiari (figli, parenti).

Le dichiarazioni dei collaboratori, così come quelle dei testimoni di giustizia, devono essere oggettivamente riscontrate dagli investigatori al fine di verificarne la veridicità. Una volta appurato che la collaborazione è veritiera, il collaboratore (o il testimone di giustizia) viene inserito in un apposito programma di protezione. Questo programma è stato introdotto in Italia dalla legge 15 marzo 1991, n. 82.

La gestione del programma di protezione è affidata a una Commissione ministeriale centrale, presieduta da un Sottosegretario di Stato e composta da magistrati e investigatori esperti in indagini sulla criminalità organizzata. Questa commissione valuta e decide l'ammissione, la modifica e la revoca del programma. L'attuazione pratica delle misure di assistenza e il supporto per il reinserimento sociale e lavorativo sono curati dal Servizio centrale di protezione, che mantiene i rapporti con diverse autorità e amministrazioni.

La legislazione in materia è stata modificata dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, che ha introdotto una distinzione formale e netta tra collaboratori e testimoni di giustizia, un diverso regime giuridico, criteri più rigidi per la selezione delle collaborazioni, un limite temporale di 180 giorni per confessare tutte le informazioni, e limiti di pena da scontare in carcere per l'accesso ai benefici penitenziari (un quarto della pena o 10 anni in caso di ergastolo).

Il maggior numero di collaboratori di giustizia si è registrato a metà degli anni Novanta, in seguito alle stragi di Capaci e via d'Amelio (1992) e alle autobombe del 1993, eventi che portarono a una dura azione di contrasto dello Stato contro le mafie, percepita in modo traumatico dall'opinione pubblica. Tra le principali organizzazioni mafiose, la 'Ndrangheta registra il minor numero di collaborazioni, probabilmente a causa dei legami di sangue tra i membri.

I romanzi di Francesco Toscano, in particolare, menzionano diversi esempi specifici di collaborazione:

  • Marco Guarraggiano: Pronto a divenire collaboratore di giustizia ("infame") dopo indagini; aveva di che parlare su reati, inclusi omicidi su mandato mafioso, essendo affiliato con il "rito della punciuta". Il suo avvocato non si presentò all'interrogatorio.
  • Francesco Salvatore Magrì: Viene definito un collaboratore di giustizia. Decide di collaborare perché stanco della sua vita ("miserevole vita", "fatta di sotterfugi, di violenza") e per affrancarsi dal crimine. Le sue dichiarazioni hanno riguardato gli assetti dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova, Brancaccio, Santa Maria di Gesù e il ruolo di un imprenditore. Magrì aveva fornito informazioni utili su personaggi del mandamento di Porta Nuova e aveva menzionato possibili intrecci tra Brancaccio e Porta Nuova tramite figure minori della Vuccirìa a lui e al padre legate. Era stato formalmente affiliato a Cosa Nostra ("punciuta") alla presenza del suo "padrino" Taiamonte Francesco. La sua decisione di collaborare venne comunicata alla Dottoressa Macaluso. Un primo colloquio investigativo si svolse in una località segreta. Il verbale del suo interrogatorio è identificato con un numero di procedimento penale della D.D.A. di Palermo. Fu avvisato dei suoi diritti.
  • Ferdinando Cozzolino: Inizialmente indicato come l'usuraio denunciato da Colajanni. Dopo il suo arresto per usura, ha espresso la volontà di collaborare con la giustizia. Le sue dichiarazioni "puntano direttamente su Cosa Nostra panormita", aprendo "scenari investigativi del tutto inediti". Cozzolino ha dichiarato che la vicenda dell'usura con Colajanni era una "farsa" con interessi più grandi in ballo legati a Fici Domenico e a Cosa Nostra. Ha riferito di presunte infiltrazioni mafiose negli affari di Fici e ha indicato figure di spicco di diverse famiglie mafiose palermitane. La sua decisione di collaborare è vista come una potenziale svolta ("chiave di volta") nell'indagine sulla morte di Colajanni. Viene ipotizzato che la tempistica della sua collaborazione possa essere dovuta a un cambiamento negli equilibri criminali o al fatto che si senta minacciato. La sua collaborazione è fondamentale per ottenere un quadro più completo sul contesto in cui operavano Fici e Colajanni. Il suo interrogatorio è stato audio registrato dalla Procura della Repubblica, ma non videoregistrato per mancanza di apparecchiature. Fu avvisato dei suoi diritti prima di rendere dichiarazioni spontanee.

Nel contesto del romanzo "Le indagini del Maresciallo Ascali : L'usuraio", la decisione di Cozzolino di collaborare con la giustizia rappresenta un ribaltamento completo dell'indagine iniziale. La denuncia di usura da parte di Colajanni, secondo Cozzolino, potrebbe essere stata una messa in scena legata a dinamiche criminali più complesse. Le dichiarazioni di Cozzolino, unite ai riscontri investigativi, suggeriscono un coinvolgimento di Fici Domenico (socio di Colajanni e amante della moglie) con Cosa Nostra. Questo sposta il focus investigativo da un semplice caso di usura a un possibile omicidio legato a moventi passionali (la scoperta del tradimento da parte di Colajanni) e a dinamiche mafiose più ampie. La collaborazione di Cozzolino fornisce elementi indiziari ("nuove propalazioni indiziarie") che permettono di richiedere misure cautelari (come il fermo di indiziato di delitto) nei confronti di Fici e altri.

In sintesi, la collaborazione di giustizia è un meccanismo complesso e rischioso per l'individuo, ma di fondamentale importanza per lo Stato per penetrare le strutture criminali, acquisire prove, e in alcuni casi, come nel romanzo, fornire la svolta cruciale per la comprensione e la risoluzione di delitti apparentemente legati a contesti più limitati.

Cordialmente vostro,

Francesco Toscano.

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