l Pisani che non vedevano le condizioni imperiali molto liete in quel tempo, preferirono acconciarsi col re: e mandarono ambasciatori nell'isola, i quali non riuscendo ad intendersi circa a' patti proposti, poco dopo si partirono senza effetto (Chron. Pia., loc. cit., f. 180. Il Testa (De vita et rebus gestis Guill. Il, lib. 3, f. 187) porta all'anno 1172 una seconda ambasceria de' Pisani, e, in sèguito a quella, ta pace conchiusa tra Guglielmo II e il Comune di Pisa. Ma nelta citata opera, allontanandosi dalla solita diligenza e dalla solita critica, questo insigne pubblicista siciliano non cita documenti autentici nè autori contemporanei, e sbaglia sovente sulla scorta di memorie inesatte o assai posteriori di data.).
II Comune di Genova inclinava ugualmente ad amichevoli accordi colla corte in Palermo. In popolare assemblea fu deciso spedire a Guglielmo solenne messaggio. Andarono Bellamuto, uno» de' Consoli, Ruggero Castro ed Amico Grillò, cittadini fra i più riputati, sopra una galera a grandi spese bellamente arredata. Ma falliva la pratica, ed anch'essi inutilmente ripassarono il mare. Aveano queste doppie trattative con Pisa e con Genova precesso la maggiore età di Guglielmo: dacch'egli assumeva decisamente il governo, il primo oggetto che venisse ad occupare la diplomazia della corte in Palermo fu il contrasto fra il proscritto primate ed il re d'Inghilterra, che avea, giusto allora, preso dimensioni siffatte da svegliare universale attenzione. La gran lite tra il sacerdozio e la potestà secolare, tra il pastorale e lo scettro, sembrava riprodursi colà in questo nuovo episodio. Il primate esiliato fulminava l'anàtema, il re tenea saldo: se non che nascevane una violenta turbazione in quel regno. Il re di Francia, onde alimentare molestie al suo temuto vicino, abbracciava la causa dell' esule; Alessandro III pontefice pendeva naturalmente a costui, ma il conflitto in cui trovavasi impegnato in Italia, e il timore di procacciarsi novello e potente avversario nel sovrano che reggea l'Inghilterra, gl'imponeva riguardi. In Sicilia la persecuzione sofferta dal Becket aveva (come innanzi toccammo) eccitato in principio un sentimento pietoso. Stefano, il Cancelliere-Arcivescovo, ebbe già ad attestargli soccorrevole cura: adesso Gualtiero Offamill, successore di Stefano nella palermitana diocesi, ne seguiva le tracce (Dalla epistota 66 di Pietro di Blois a Gualtiero Oftamill, tra le sue opere, f. 554, appare come l'arcivescovo si fosse costantemente mostrato sollecito della sorte del Becket.); ma da questa prima occasione pare essersi rivelato più o meno l'antagonismo che covava latente fra i due maggiori ministri di Guglielmo II. A parte della somiglianza di patria e di razza che legavalo al Becket, Gualtiero, straniero alla Sicilia e di professione ecclesiastico, animato anche da istinti sinceri di cattolico zelo, tendeva ad attirare Guglielmo in una via di concessioni alla Chiesa: il Protonotaro d'Aiello, spingendo e secondando Guglielmo nella sua politica di ostilità coll'Impero germanico, di alleanza con Alessandro III e i Comuni lombardi, mirava insieme a sostenere la piena indipendenza del regno, così come ad altri, rispetto alla curia di Roma. Per 1' autorità e per la parola di lui avveniva dunque che la dispula fra il re Enrico ed il Becket si presentasse nell'isola con più gravi colori : si vedevano in forse, di fronte alle pretese del clero, quelle civili franchigie, a cui tenea, più. che ogni altra, la monarchia di Sicilia; nè gli attuali rapporti di amicizia al Papato bastavano a vincere questo vivo e speciale interesse. Gli articoli che formavano in Inghilterra materia al contendere (diritto del re sulle rendite de' beneficii vacanti, obbligazione de'vescovi di giurare fedeltà alla corona, di sottostare, come gli altri sudditi tutti, alle pubbliche imposte, gli appelli dalle curie episcopali devoluti alla corona) non erano dubbii affatto in Sicilia, ma la prerogativa reale avevalia suo favore risoluti da un pezzo: in punto di giurisdizione e disciplina ecclesiastica 1'arbitrio del principe andava anzi più lungi; è vero bensi che poteva in Sicilia farsi forte della pontificia annuenza che mancava in Inghilterra ad Enrico (L'esempio della Sicilia e dell'Ungheria, ove il re godeva anche gli attribuii di Legato Apostolico, era uno degli argomenti, anzi il principale, ch'Enrico opponesse alle ragioni dell'arcivescovo di Canterbury. Però si legge in una delle di lui Epistole. « Frustraci ue nobis, auctore Domino, Siculorum aut Ungarorum. proponuntur esempla, quae nos in die judicii minime excusarent, si tyrannorum barbanera prseferremus apostolicis institutis, et sajcularium insolentiam Potestatum crederemus potius formam esse vivendi, quam testamentum aeternum confirmatum morte et sanguine fllii Dei. » Presso Baronio, Ann. eccl., an. 1168, n. 43) . Ciò che avea senza meno di animoso e di nobile la fermezza di un inerme prelato contro un re poderoso e superbo, spariva pel Protonotaro d'Aiello, e spariva ugualmente per la corte in Palermo: rimaneva una mera questione di principii e di massime. Enrico, sollecitando Alessandro a consentirgli la rimozione del Becket dal metropolitano suo seggio, commovea mezza Europa. Erasi in Italia rivolto financo a' Milanesi,a' Cremonesi, a' Parmigiani perchè intercedessero in suo favore presso il pontefice( Epistola di Tommaso Becket, presso Baronio, an. 1169, n. 3.); a' Milanesi prometteva tremila marche per risarcire le mura della loro città (Giulìnt, Memorie storiche di Milano, t. VI, f. 272.): nell' isola otteneva infine che Roberto di Basseville conte di Lorotello e Riccardo Palmer, il vescovo di Siracusa, fossero delegati ambasciatori ad Alessandro in Anagni; e partivano, stringevano il papa, ma non potevano indurlo se non che a delegare suoi messi per comporre il litigio ( Ep. 80, lib, 3 nella raccolta delle lettere del Becket, presso Caruso, Bibl. Hist., t. Il, f. 984.): Riccardo Palmer tradiva i legami che l'univano al Becket per la speranza di conseguire nella propria sua patria il vescovato di Lincoln ( Ep. cit., presso Baronio, an. 1169, n. 3.). Il resto di quella contesa, quanto dire il ritorno del Becket all'antica diocesi per interposizione di Francia, la conciliazione simulata di Enrico, le acclamazioni del popolo intorno al ben amato pastore, l'assassinio di lui sull'altare, le proteste e la penitenza del re, sopra cui ricadeva l'accusa, potè ancora occupare le cronache e le leggende del secolo (Thierry, Hìst. de la Conquéle d'Ànglelerre, liv. IX, X). Innanzi alla crudele catastrofe, e quando i negoziati promossi da Enrico tuttavia dibattevansi, pare corresse di nuovo un progetto di nozze, ventilato altra volta sotto il vecchio Guglielmo, tra una figlia del re d'Inghilterra e Guglielmo II (« Nam et ipsi (gli emissarii del re Enrico II) Regi Siculo... ut eum caperent in perniciem Ecclesise, et nostram, filiam regis Anglia e coputandoli in matrimonio promiserunt. » Ep. cit. di Tommaso Becket, presso Baronio, an.1169, n. 13.)"
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