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martedì 23 novembre 2010

Il Palazzo Reale di Palermo. Storia di un antico monumento. La storia di Guglielmo II di Sicilia. Parte seconda.

Guglielmo II (Fonte: Dalla rete)
23 Nov. 2010. 

" La causa che aveva assunto Ildebrando, quella della indipendenza non solo, ma della universale supremazia della Chiesa, confondevasi all'altra delle libertà cittadine progredite in Italia. Il contrasto da entrambi simultaneamente impegnato, il trovarsi in presenza di uno stesso nemico stabiliva fra il Papato e i Comuni ribelli all'Impero vincoli necessari e ultimissimi;le due quistioni, religiosa e politica, poterono così innanzi agli occhi degli uomini mostrarsi una sola: ed era illusione che il Papato doveva accortamente sfruttare a seconda de' proprii suoi fini e de' proprii disegni. Allora, in ogni modo, la illusione durava. Alessandro III pontefice, uscito di Roma, rimaneva in Benevento, ove le forze del regno seguivano a coprirlo e difenderlo: Federigo Barbarossa, abbandonate nel 1167 le infauste rive del Tevere, si ritraea per la Toscana a traverso gli Appennini, sfuggendo a stento il provocato sollevarsi de' popoli, salvo a stento da chi, tra i suoi fedeli, assicuravagli il passo. Svernava in Pavia e vi chiamava una dieta, ove co' rappresentanti di quattro sole città accorsero pochi e radi i feudatarii italiani: colà, gettato il guanto in mezzo all' adunanza, poneva al bando le città collegate; si limitava del resto, co' suoi scarsi Tedeschi e co' deboli aiuti raccolti in Italia, ad alcuni guasti su' territori di Milano e Piacenza. Nella primavera seguente ritornava quasi solo in Germania per la valle di Susa, travestilo, cercando nascondersi, s'è da prestar fede a una cronaca. E frattanto il 1 dicembre, congregatisi a nuova e più numerosa assemblea, i confederati di Pontida e quelli della prima Lega Veronese ripetevano il voto della mutua tutela e della mutua assistenza : v'erano deputati di Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Trevigi, Ferrara, Brescia, Bergamo, Milano, Lodi, Piacenza, Modena, Parma, Bologna: il re di Sicilia non era rappresentato al convegno, ma sapevasi avere i suoi messi giurato sostenere le città combattenti, e si avea la certezza che i soccorsi dell' isola non sarebbero per mancare all'impresa. Nel convegno tornavasi a dichiarare lo scopo comune di rivendicare e serbare le municipali franchigie godute dal tempo di Enrico V fino all'assunzione di Federigo al trono, non tollerando tutt' altri legami di padronanza imperiale: Venezia concorrerebbe col proprio navilio pel mare e pe' fiumi ; i collegati guarderebbero coll'esercito i suoi dominii di terra ; si partisse di buona fede il danaro apprestato dal re di Sicilia e dal greco imperatore Manuele Comneno, risarcendo prima Venezia di ciò che avea speso per legazioni a que' principi in pro della Lega ; si ristorassero a provvidenze comuni i danni delle città collegate, e i profitti del vincere si dividessero ugualmente fra loro; si obbligasse ciascuno a non fermare particolari trattati senza consiglio e volontà della Lega: supremi rettori avessero l'indirizzo de' federali negozii; ad essi la cura della comune difesa, la condotta della guerra, l'arbitrato de'dissidii reciproci, l'amministrazione del federale peculio, e, dove necessità lo volesse, la riforma degli statuti giurati. Nuove città, Tortona, Vercelli, Como, Asti, Novara, accedevano poco dopo all' accordo; parecchi signori feudali, tra cui Io stesso marchese Obizzo Malaspina : aggiungevansi ancora Ravenna, Rimini, Imola, Forlì: prendevasi il titolo di Società di Venezia, Lombardia, Marca, Romagna ed Alessandria : Alessandria, per opera de' collegati, era sorta testè sul confluente del Tanaro e della Bormida, a intercettare le comunicazioni tra la ghibellina Pavia e il marchese di Monferrato, con nome che onorava il pontefice, protettore alla Lega. Il quale, in Benevento, proseguiva a dar molo a negoziati attivissimi col greco imperatore, con Francia, Inghilterra, colla Cristianità tutta intera ( Romualdo Salernitano, Chron., f. 874.La Lumia.).

La unione lombarda come avea nel Papato la morale sua forza e nella monarchia de' Normanni un materiale sostegno all' altro estremo d'Italia, avrebbe potuto dilatarsi nel centro e raccogliere seco le città commercianti e marittime, di Pisa e di Genova; sventuratamente contrastavano i mercantili interessi e i dissidi reciproci: Genovesi e Pisani, paghi de' privilegi imperiali che ne assicuravano i traffici, e curando poco i comuni vantaggi delle altre genti italiane, in lite eterna fra loro; Siena, Lucca, Firenze, Prato, Pistoia dividentisi per l'una o per l'altra delle due avverse repubbliche ; altre gare, altre offese scambievoli tra Firenze e Bologna: Venezia medesima, ond'era uscito il primo impulso alla Lega, distratta da'suoi affari in Levante, ricondotta al consueto ondeggiare e destreggiarsi a vicenda fra l'Impero bizantino e il germanico, cercando anche, contro il primo, avvicinarsi a quest' ultimo : e in quelle opposte tendenze soffiare accortamente Federigo, e prepararsi la strada alla meditata rivincita. L' antipapa Pasquale Ili moriva, e la fazione imperiale gli dava successore Callisto. Allora un astuto proposito entrò in mente al Tede' sco : cogliere queil ' appicco a intavolare apparenti trattative col papa, staccarlo da'Lombardi e dal re di Sicilia, gettare fra i collegati la diffidenza e il sospetto ; e mandava ambasciatore un Everardo, vescovo di Bamberga. Costui, significato il comando del proprio signore che gli vietava di entrare nel territorio del regno, pregava il pontefice che, lasciata Benevento, si recasse in qualche luogo ne' dominii della Chiesa. Alessandro si avanzò ad ascoltarlo in Veroli. Non avrebbe ripugnato a comporre da sè, ove fosse stato possibile, le differenze tra la Chiesa e l'Impero, dimenticando i suoi propri alleati; quella volta però traspariva assai palese l'insidia : in Verotì, tra i Cardinali presenti e i deputati lombardi chiamati espressamente al colloquio, l'accorto pontefice potè farsi bello d'una onesta ripulsa, e deludere gli avversi artiflcii (Card. Arag., Vita Akxandri III, presso Muratori, Rer. il. scr., IH, f. 461-62.). Poi sopravvennero annunzii di nuovi bellicosi apparecchi in Germania, di una nuova discesa (sarebbe stata la quinta) che Federigo si disponeva ad eseguire in Italia. Concorsi in Modena a solenne adunanza, i collegati ribadivano il patto, accingendosi ad estremi cimenti (Muratori, Anliq. Hai., diss. XLVIII).  Verso l'epoca stessa erasi in Europa rallentato d'alquanto lo slancio delle prime Crociate. Quel nucleo di cristiane colonie raccolto in Palestina ed in Siria sotto i successori di Goffredo Buglione, alimentato da' pellegrini che non cessavano di arrivare a drappelli da mezzodì e da ponente, avrebbe potuto aspirar tuttavia a più larghi e più stabili acquisti; se non che mancava tra i Franchi fermezza e unità di consigli, necessaria concordia e abilità di giovarsi dell' immenso disordine in cui cadea l'Islamismo. Disperse e quasi al nulla ridotte le dinastie de' Saraceni e de' Turchi ; i Selgiucidi spinti in fondo alla Persia ; l'autorità de' Califfi Abbassidi di Bagdad priva di materiale potenza, e circondata soltanto deivano prestigio che ritenea su'credenti; nel Cairo un califfato rivale, che ne' Fatimiti porgea lo spettacolo di degeneri e imbelli signori dominati da schiavi: tali erano le circostanze che avrebbero secondato i progressi e le fortune de'Franchi, quando si rivelava un grand' uomo in cui l'Oriente potè sperare un liberatore ed un vindice. Noradino (Nur-Eddin) figliuolo di Zenghi, soldano di Damasco, erasi, innanzi alla seconda Crociata, impadronito di Edessa: prode, semplice, ardito, infaticabile, austero, ritraeva il fervore de'primi compagni succeduti al Profeta; e minacciava in Terrasanta i possessi cristiani, allorchè la occasione lo traeva a scontrarsi co' Franchi e trionfarne in Egitto. Due gelosi visiri, che nella corte del Cairo s'erano disputato il favore dell'inetto Califfo, contribuivano a chiamare colà una doppia invasione, avendo l'uno, fuggitivo in Damasco, ottenuto da Noradino un esercito per rimetterto in seggio, essendo l'altro, per la propria difesa, ricorso ad Almerico re di Gerusalemme ed a'Franchi. I due visiri, strumento a più gagliarde ambizioni, disparvero in breve: rimaneva il contrasto fra gli ausiliari di entrambi. La corte del Cairo, minacciata da si diversi nemici, opponeva gli uni agli altri a vicenda: il califfato di Bagdad, ad abbattere l'emula sede del Cairo, animava Noradino alla conquista e alla preda ; Noradino, vincitore de' Franchi, si mutava per l'Egitto alla fine da alleato in signore; deponeva in Adel l'ultimo de'califfi Fatimiti, e così due rivolgimenti gravissimi si compivano a un tempo: la musulmana credenza ridotta oggimai sotto un solo capo nel califfo di Bagdad; l'Egitto e tante ricche Provincie dalle sponde dell' Eufrate e del Tigri alle sorgenti del Nilo formanti un sol corpo nelle valide mani del soldano di Damasco. I timori crescevano a Gerusalemme ed a'Franchi. La guerra sacra si bandla dagl'imam nelle moschèe dell'Oriente; ma quella gloria si serbava a un guerriero più giovane, il cui nome cominciava appena a bisbigliarsi e conoscersi. Selah-Eddin (il Saladino delle cronache franche) di origine curdo, erasi educato nel campo, e avea fra l'armi seguito Chirkù, paterno suo zio, che governava per Noradino in Egitto: si diè poscia alle dissipazioni e a'piaceri, e parve hi essi dimenticare ogn' istinto di grandezza e di fama: nell'ufficio succedette allo zio; ma quell'indole voluttuosa e leggiera sembrò allora convertirsi d'un tratto: si fe' sobrio, oculato, intraprendente, operoso, severo a sè medesimo e agli altri; chiamò dal fondo del Kurdistan il padre e i parenti, e, come l'antico patriarca, li mise in alto stato al suo fianco; represse gli emiri; ricompose e riordinò celermente il paese. Noradino cominciò a sospettare del suo proprio vicario, e disponeasi in persona a passare in Egitto, ma perì poco stante, nè restavane che un fanciullo decenne.

La potenza che aveva egli sudato a fondare, accennava sfasciarsi: Saladino vi stendea sopra la mano, sene impadroniva del tutto, invocato da' popoli, sposatala vedova dell'estinto soldano e presa la custodia del figlio: i disegni del suo antecessore rivivevano in lui, formidabili a' Cristiani dell'Asia. Almerico, anche allora cessato di vivere, non lasciava che un erede a tredici anni, privo degli occhi ed infetto di lepra. I baroni del cristiano reame, ga reggiando fra loro intorno  alla tutela dell' orfano, lasciavano che Saladino si assodasse e si estendesse ne' suoi vasti dominii (Michaud, Histotre des Croisades, liv. VII, VIII.). Al confine dell' Europa e dell' Asia, serbando F orgoglio di antiche memorie, ma colpito di decadenza fatale, l'Impero bizantino pareva colla dinastia de' Comneni arrestarsi alcun poco sul sinistro pendio. Manuele, in un governo di trent' anni all' incirca, avea dovuto contrastare co' Turchi, co' Franchi di passaggio in Levante, cogli Ungheri sostenuti dall' impero tedesco, con Venezia, col re di Sicilia; avea dovuto riconoscer quest'ultimo e simulare amistà: pur tra tanti avversarii, e con varia fortuna mostrando a tutti la fronte, non deponeva le altere pretese, non che sulle provincie meridionali d'Italia, sul vecchio mondo romano; erasi rivolto al pontefice, e con ardita proposta aveva offerto concordar le due Chiese (la latina e la greca), soccorrere il papa stesso in Italia, e, per le mani di lui, riunir sul suo capo la corona imperiale d'Occidente (Cinnamo, Hist., lib. V, VI.). Alessandro III, diffidente delle greche promesse, aveva alimentato la pratica sol quanto bastasse a spaventar Barbarossa: Barbarossa cercò di sua parte avvicinarsi al Comneno per distoglierlo dalle cose italiane; poi, dacchè seppe interrotte quelle brighe col papa, ripigliava il contegno nimichevole al Greco. De' due Cesari, Manuele Comneno, colla nota doppiezza della propria sua corte, era, in ogni modo principe valoroso e sagace: Federigo, non volgare intelletto, grand'animo e profondamente convinto di ciò che teneva sua ragione e suo dritto, superbo, inesorato, spietato, con tutto il male che avea fatto e dovea fare in Italia, era sempre una delle più elevate figure che sovrastassero al duodecimo secolo. Regnavano con loro Enrico II in Inghilterra, Luigi VII in Francia. Enrico II, alla eredità di Guglielmo il Bastardo e al contado di Anjou congiungendo per la moglie Eleonora il ducato d'Aquitania, quanto dire il paese fra i Pirenei, la Loira ed il Rodano, possedeva coll' inglese suo scettro tanta parie del continente di qua dalla Manica; soggiogava l'Irlanda e riduceva tributaria la Scozia; in faccia a' suoi baroni normanni, non meno che a'suoi sudditi sassoni, teneva alta la prerogativa reale: nel conflirto con Tommaso Becket, l'arcivescovo di Canterbury,potè eccedere di violenza tirannica; e nondimeno atteggiavasi a difensore imperterrito de' contesi attributi del principato civile contro le usurpazioni e gli abusi del clero. 

Nel 1169, in un abboccamento a Montmirail, Luigi VII si stringeva umiliato al suo potente vicino, vassallo di nome per le provincie francesi, rivale nel fatto. Minore di concetti e di spiriti, vedendo col divorzio della propria consorte la monarchia dismembrarsi de' preziosi appannaggi che passavano a Enrico, raccoglieva tuttavolta que'frutti che avea seminato l'amministrazione del savio Suggero sotto il padre e durante il suo soggiorno in Palestina: i baroni più docili che non fossero addietro, la corona più obbedita e temuta, orescente nelle città e nelle classi borghesi il rigoglio di vita, che dovea quanto prima creare un terzo stato fra i signori e la plebe. In complesso acceleravasi quell'interno lavoro onde il medio evo tendeva a trasformarsi e rifondersi. Vi cospiravano i più diversi elementi  la Chiesa che si faceva puntello alla libertà de' Comuni, e il potere laicale che procurava spezzare i legami di che avvince vaio il clero; il fervore cristiano che smovea l'Occidente e lo spingeva a riversarsi e combattere in lontane intraprese; l'Oriente che scopriva a' Crociati meraviglie sconosciute ed insolite; l'interesse de' re che a deprimere il colosso feudale proteggeva l'affrancarsi del popolo; il popola che, giovandosi del favore de' re, da' baroni toglieva l'esempio di opporsi e resistere. In si gran tramestìo sociale e politico l'Italia si trovava naturalmente precedere tutto il resto d'Europa. La civiltà che in Italia tornava a destarsi repubblicana nel settentrione e nel centro, nel mezzogiorno rifioriva monarchica: colà più impregnata di tradizioni occidentali e latine ; qui di preferenza informata al contatto della orientale cultura. Innanzi al risorto e ringiovanito Occidente dovea l'Oriente oscurarsi e dileguarsi fra poco: allora sugli avanzi del mondo latino e del mondo barbarico rifletteva, quanto forse vi splendesse di meglio in lettere, in sapere ed in arti. La filosofia di Aristotile si accoppiava per le versioni e pe' comenti degli Arabi alla teologia delle scuole. L'algebra e le matematiche, insegnate nelle scuole degli Arabi, si spandevano di là per l'Europa. La medicina s'imparava negli Arabi. Al rimare degli Arabi s'ispirava il nuovo ciclo poetico che schiudeasi in Europa. L'architettura traeva dagli Arabi e da' Bizantini ad un tempo ornamenti e modelli; e nella lingua di que' Greci degradati e corrotti spirava sempre qualche aura e qualche idea più distinta de' classici antichi. Di fronte a ciò, sant'Anselmo, san Bernardo, Abelardo segnavano l'elevarsi più alto dell' ingegno e della dottrina in Occidente. La giurisprudenza con Irnerio e cogli allievi di lui faceva le prime sue prove, ma cercando nel vecchio dritto Romano inchiodare e costringere a forza la società rinnovantesi. E dovea correre un altro secolo ancora a san Tommaso ed a Dante. Verso il 1168, dopo la ritirata da Roma, il dispetto per l'appoggio e l'asilo che Guglielmo II prestava al pontefice dentro i propri suoi Stati, aveva nell'imperator Barbarossa ridestato pensieri di diretta invasione contro la monarchia di Sicilia: e spediva il suo cancelliere Rinaldo, arcivescovo di Colonia, che sollecitasse i Pisani, affinchè, ricordevoli degli obblighi assunti, il soccorressero del proprio navilio (Chronica varia pisana, presso Muratori, Ber. it. str., t. VI, f. 179. I progetti di Federigo in quell'anno contro la Sicilia sono anche accennati da Ottone di San Biagio, Chronicon, presso Muratori, voi. cit., f. 890.)

l Pisani che non vedevano le condizioni imperiali molto liete in quel tempo, preferirono acconciarsi col re: e mandarono ambasciatori nell'isola, i quali non riuscendo ad intendersi circa a' patti proposti, poco dopo si partirono senza effetto (Chron. Pia., loc. cit., f. 180. Il Testa (De vita et rebus gestis Guill. Il, lib. 3, f. 187) porta all'anno 1172 una seconda ambasceria de' Pisani, e, in sèguito a quella, ta pace conchiusa tra Guglielmo II e il Comune di Pisa. Ma nelta citata opera, allontanandosi dalla solita diligenza e dalla solita critica, questo insigne pubblicista siciliano non cita documenti autentici nè autori contemporanei, e sbaglia sovente sulla scorta di memorie inesatte o assai posteriori di data.)

II Comune di Genova inclinava ugualmente ad amichevoli accordi colla corte in Palermo. In popolare assemblea fu deciso spedire a Guglielmo solenne messaggio. Andarono Bellamuto, uno» de' Consoli, Ruggero Castro ed Amico Grillò, cittadini fra i più riputati, sopra una galera a grandi spese bellamente arredata. Ma falliva la pratica, ed anch'essi inutilmente ripassarono il mare. Aveano queste doppie trattative con Pisa e con Genova precesso la maggiore età di Guglielmo: dacch'egli assumeva decisamente il governo, il primo oggetto che venisse ad occupare la diplomazia della corte in Palermo fu il contrasto fra il proscritto primate ed il re d'Inghilterra, che avea, giusto allora, preso dimensioni siffatte da svegliare universale attenzione. La gran lite tra il sacerdozio e la potestà secolare, tra il pastorale e lo scettro, sembrava riprodursi colà in questo nuovo episodio. Il primate esiliato fulminava l'anàtema, il re tenea saldo: se non che nascevane una violenta turbazione in quel regno. Il re di Francia, onde alimentare molestie al suo temuto vicino, abbracciava la causa dell' esule; Alessandro III pontefice pendeva naturalmente a costui, ma il conflitto in cui trovavasi impegnato in Italia, e il timore di procacciarsi novello e potente avversario nel sovrano che reggea l'Inghilterra, gl'imponeva riguardi. In Sicilia la persecuzione sofferta dal Becket aveva (come innanzi toccammo) eccitato in principio un sentimento pietoso. Stefano, il Cancelliere-Arcivescovo, ebbe già ad attestargli soccorrevole cura: adesso Gualtiero Offamill, successore di Stefano nella palermitana diocesi, ne seguiva le tracce (Dalla epistota 66 di Pietro di Blois a Gualtiero Oftamill, tra le sue opere, f. 554, appare come l'arcivescovo si fosse costantemente mostrato sollecito della sorte del Becket.); ma da questa prima occasione pare essersi rivelato più o meno l'antagonismo che covava latente fra i due maggiori ministri di Guglielmo II. A parte della somiglianza di patria e di razza che legavalo al Becket, Gualtiero, straniero alla Sicilia e di professione ecclesiastico, animato anche da istinti sinceri di cattolico zelo, tendeva ad attirare Guglielmo in una via di concessioni alla Chiesa: il Protonotaro d'Aiello, spingendo e secondando Guglielmo nella sua politica di ostilità coll'Impero germanico, di alleanza con Alessandro III e i Comuni lombardi, mirava insieme a sostenere la piena indipendenza del regno, così come ad altri, rispetto alla curia di Roma. Per 1' autorità e per la parola di lui avveniva dunque che la dispula fra il re Enrico ed il Becket si presentasse nell'isola con più gravi colori : si vedevano in forse, di fronte alle pretese del clero, quelle civili franchigie, a cui tenea, più. che ogni altra, la monarchia di Sicilia; nè gli attuali rapporti di amicizia al Papato bastavano a vincere questo vivo e speciale interesse. Gli articoli che formavano in Inghilterra materia al contendere (diritto del re sulle rendite de' beneficii vacanti, obbligazione de'vescovi di giurare fedeltà alla corona, di sottostare, come gli altri sudditi tutti, alle pubbliche imposte, gli appelli dalle curie episcopali devoluti alla corona) non erano dubbii affatto in Sicilia, ma la prerogativa reale avevalia suo favore risoluti da un pezzo: in punto di giurisdizione e disciplina ecclesiastica 1'arbitrio del principe andava anzi più lungi; è vero bensi che poteva in Sicilia farsi forte della pontificia annuenza che mancava in Inghilterra ad Enrico (L'esempio della Sicilia e dell'Ungheria, ove il re godeva anche gli attribuii di Legato Apostolico, era uno degli argomenti, anzi il principale, ch'Enrico opponesse alle ragioni dell'arcivescovo di Canterbury. Però si legge in una delle di lui Epistole. « Frustraci ue nobis, auctore Domino, Siculorum aut Ungarorum. proponuntur esempla, quae nos in die judicii minime excusarent, si tyrannorum barbanera prseferremus apostolicis institutis, et sajcularium insolentiam Potestatum crederemus potius formam esse vivendi, quam testamentum aeternum confirmatum morte et sanguine fllii Dei. » Presso Baronio, Ann. eccl., an. 1168, n. 43) . Ciò che avea senza meno di animoso e di nobile la fermezza di un inerme prelato contro un re poderoso e superbo, spariva pel Protonotaro d'Aiello, e spariva ugualmente per la corte in Palermo: rimaneva una mera questione di principii e di massime. Enrico, sollecitando Alessandro a consentirgli la rimozione del Becket dal metropolitano suo seggio, commovea mezza Europa. Erasi in Italia rivolto financo a' Milanesi,a' Cremonesi, a' Parmigiani perchè intercedessero in suo favore presso il pontefice( Epistola di Tommaso Becket, presso Baronio, an. 1169, n. 3.);  a' Milanesi prometteva tremila marche per risarcire le mura della loro città (Giulìnt, Memorie storiche di Milano, t. VI, f. 272.): nell' isola otteneva infine che Roberto di Basseville conte di Lorotello e Riccardo Palmer, il vescovo di Siracusa, fossero delegati ambasciatori ad Alessandro in Anagni; e partivano, stringevano il papa, ma non potevano indurlo se non che a delegare suoi messi per comporre il litigio ( Ep. 80, lib, 3 nella raccolta delle lettere del Becket, presso Caruso, Bibl. Hist., t. Il, f. 984.): Riccardo Palmer tradiva i legami che l'univano al Becket per la speranza di conseguire nella propria sua patria il vescovato di Lincoln ( Ep. cit., presso Baronio, an. 1169, n. 3.). Il resto di quella contesa, quanto dire il ritorno del Becket all'antica diocesi per interposizione di Francia, la conciliazione simulata di Enrico, le acclamazioni del popolo intorno al ben amato pastore, l'assassinio di lui sull'altare, le proteste e la penitenza del re, sopra cui ricadeva l'accusa, potè ancora occupare le cronache e le leggende del secolo (Thierry, Hìst. de la Conquéle d'Ànglelerre, liv. IX, X). Innanzi alla crudele catastrofe, e quando i negoziati promossi da Enrico tuttavia dibattevansi, pare corresse di nuovo un progetto di nozze, ventilato altra volta sotto il vecchio Guglielmo, tra una figlia del re d'Inghilterra e Guglielmo II (« Nam et ipsi (gli emissarii del re Enrico II) Regi Siculo... ut eum caperent in perniciem Ecclesise, et nostram, filiam regis Anglia e coputandoli in matrimonio promiserunt. » Ep. cit. di Tommaso Becket, presso Baronio, an.1169, n. 13.)"

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