Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, sono del tutto casuali.
Sei.
Aveva piovuto sin dalle prime ore del
giorno. Alle sei del mattino, quando Patrizio Finazzo si destò,
dopo aver spento la sveglia che continuava a suonare imperterrita, che per poco
non cadde a terra tanto fu la foga con la quale Patrizio la disattivò, il
cielo, visto dalla finestra della sua camera da letto, era plumbeo.
La temperatura era scesa sin sotto i 14°
Celsius, segno che l’inverno non voleva proprio saperne di cedere il passo alla
primavera.
Dopo essersi recato in bagno, e lì
lavatosi, rasatosi, pettinatosi, ed infine impiastricciatosi con quel profumo
che sua moglie tanto amava, sembrava che Patrizio fosse pronto per avvicinarsi
all’altare maggiore della Chiesa del paese in cui viveva, per ricevere la sua
Prima Comunione, anziché preparato per recarsi in ufficio ed intraprendere,
così come faceva da circa vent’anni, la sua ordinaria attività lavorativa.
Mentre Finazzo stava per indossare i
pantaloni, il telefonino che era poggiato sul comodino di destra della camera
da letto squillò.
Patrizio si diresse verso il telefonino
che continuava a squillare, nell’intento di capire chi fosse a quell’ora del
mattino e successivamente rispondere. Mentre, di corsa, stava superando la
pedata del letto matrimoniale, al fine di evitare che il cellulare con quella
stupida suoneria gli continuasse a martellare il cervello, così guastandogli la
giornata, non essendosi accorto che sul pavimento c’erano le scarpe da
ginnastica che si era tolto la sera precedente, inciampò, andando ad urtare
rovinosamente contro il baule posto a ridosso dell’armadio che sua moglie, in
quel momento all’estero per motivi di lavoro, aveva deciso di acquistare
qualche anno addietro per lì custodirvi la biancheria ed il corredo che sua
nonna materna le aveva regalato prima di sposarsi.
«Buttana
ra miseria, bastarda! Bastardo ru…» non continuò la frase, rendendosi conto
che stava per bestemmiare, cosa che lui, cristiano devoto qual era, non poteva
permettersi, pena la dannazione perpetua della sua anima.
«Pronto?»
«Ispettore,
buongiorno, la Centrale.. sono il Sovrintendente Capo Francesco Catafano.»
«Buongiorno
Catafano, mi dica!»
«Mi
dispiace disturbarla a quest’ora, ma il Commissario Impastato mi ha ordinato di
chiamarla di buon ora, affinché in giornata, dalle ore 09.00 in poi, lei si
possa recare all’obitorio presso l’Istituto di Medicina Legale, del Policlinico
Universitario di Palermo, in quanto è stata fissata per oggi l’autopsia sul
cadavere della badante rumena uccisa il 10 marzo scorso.»
«Ma
non c’era più nessun’altro Ispettore che potesse presenziare?»
«Guardi
Ispettore, non saprei cosa dirle; così mi è stato riferito. La sto chiamando al
fine di comunicarle questo nuovo servizio che lei dovrà svolgere stamani;
presenzierà all’esame autoptico unitamente all’Agente Scelto Salvatore
Cinquanta, il quale, per quanto è a mia conoscenza, si è già messo in viaggio e
la raggiungerà presso la sua abitazione fra qualche minuto. Buongiorno!»
«Vabbè!
Ok, buongiorno.»
Non fece in tempo ad agganciare la
chiamata giunta sul suo cellulare che qualcuno suonò al citofono.
«Chi
è?»
«Ispettore,
buongiorno, sono Cinquanta. L’aspetto giù!»
«Va
bene Salvatore, dammi cinque minuti che scendo.»
«Va
bene, l’aspetto giù, così mi fumo una sigaretta.»
Passarono cinque minuti contati e
Patrizio, così come d’accordo, scese giù nel cortile di casa. Si diresse in
seguito sulla strada ove lo attendeva Cinquanta all’interno della Fiat Punto,
di colore grigio, in dotazione al loro Reparto.
«Ciao
Totò, buongiorno!» Disse il Finazzo.
«Buongiorno.»
Rispose Cinquanta.
«Hai
fatto colazione?» Chiese il Finazzo al suo giovane collega.
«No.»
«Allora
andiamoci a prendere qualcosa al bar, da Giovanni, e poi ci organizziamo.»
Così fecero. Era prestissimo. L’orologio
dell’abitacolo della Punto indicava che erano le ore 07.30.
Patrizio e Salvatore avrebbero avuto
tutto il tempo del mondo per andare in ufficio, leggere parte del fascicolo
relativo all’omicidio della Romanescu, capire quali fossero le priorità della
delega d’indagine emessa dal Pubblico Ministero titolare delle indagini, prendere la valigetta per criminalistica, ove
vi erano contenuti svariati kit, fra cui il kit per il prelievo del materiale
sub-ungueale, da utilizzare nel corso dell’autopsia, nonché la borsa con la
macchina fotografica, dotata di macro, grandangolare, e qualche altro
obiettivo, ed infine dirigersi presso l’obitorio.
La Fiat Punto in dotazione al
Commissariato di P.S. di Palermo Centro, da cui Patrizio e Salvatore
dipendevano, aveva percorso circa 100.000 km.
«E’
giunto il momento di cambiarla!», pensò Patrizio; ma l’amministrazione da
cui dipendeva, in quel periodo di spending review, non aveva neanche i soldi
per acquistare il carburante per garantire alle pattuglie di eseguire i servizi
esterni di perlustrazione.
Patrizio e Salvatore salutarono gli
avventori presenti in prossimità del bancone del bar, ordinando a Giovanni di
preparare loro il solito: due cornetti e due caffè.
Dopo aver pagato alla cassa, Giovanni,
il barista che da circa dieci anni preparava a Patrizio e ai suoi colleghi la
colazione la mattina, disse loro che il lavoro di poliziotto era il più bello
del mondo, a differenza di quel lavoro di merda che suo padre gli aveva imposto
di fare, al fine di garantire la sopravvivenza del bar di famiglia.
Patrizio e Salvatore arrivarono
all’obitorio in tempo utile per assistere all’esame autoptico.
Il medico legale osservò inizialmente
gli indumenti, nonché la presenza di lacerazioni dei tessuti o di
imbrattamenti, rilevando ogni altro dato relativo ad essi. Una volta spogliato
il cadavere gli indumenti furono osservati e studiati singolarmente.
Il medico legale, era un quarantenne
originario della provincia di Caltanissetta, che Patrizio aveva conosciuto
qualche anno addietro, e che ricordava chiamarsi dottor Picarella o Piccarella,
non ne era certo, chiese all’agente scelto Cinquanta di documentare
fotograficamente tutti i vari momenti dell’esame autoptico.
Picarella o Piccarella, maledetta
memoria, pensò Patrizio, procedette, dopodiché, ad ispezionare il cadavere, al
fine di verificare quale lesioni esterne mostrasse, oltre a quelle cinque
coltellate inferte dall’assassino, presenti fra lo sterno e lo stomaco della
giovane donna, che ne avevano causato il decesso.
La salma giaceva nuda sul tavolo
settorio.
Patrizio ebbe pietà di quella poveretta.
Era stata proprio una bella donna, pensò. Chissà quanti uomini, si chiese,
avevano perso la testa per lei?
Dopo aver raccolto i dati inerenti le
caratteristiche somatiche generali, agli imbrattamenti sul corpo del cadavere,
a tutti gli elementi utili all'identificazione, in seguito il patologo rilevò i
fenomeni cadaverici, registrando i risultati dell'esame esterno, ed elencando
tutte le caratteristiche fisiche.
Procedette, poi, ad eseguire il primo
taglio, a forma di Y.
La coda della Y si estendeva dallo
sterno fino l'osso pubico, deviando tipicamente per evitare l'ombelico.
Tutti gli organi rimossi furono pesati
individualmente e studiati.
Furono prelevati campioni microscopici
della maggior parte degli organi per un'ulteriore analisi. Infine, per
concludere, tutti i vasi sanguigni importanti vennero aperti ed esaminati
longitudinalmente.
Gli organi vennero ridisposti nel corpo,
che venne poi riempito da un materiale riempitore. L'incisione di Y venne
ricucita, e l'autopsia venne completata.
«Ispettore
Finazzo, farò avere la mia relazione medico-legale al P.M. nei tempi previsti.
Intanto, se vuole, il suo ufficio può predisporre il fascicolo dei rilievi
fotografici eseguiti durante l’esame e trasmetterlo al P.M. titolare delle
indagini, affinché possa avere un quadro generale delle lesioni patite dalla
Romanescu.» Concluse il medico legale.
Finazzo e Cinquanta salutarono il dottor
Picarella, e si allontanarono da quel
luogo tetro.
Nelle loro menti si erano scolpiti
“alcuni frame” dell’autopsia a cui avevano da poco assistito.
Quell’autopsia, pensarono i due sbirri,
non l’avrebbero dimenticata nel breve periodo.
Non era stato un bel vedere, dissero i
due poliziotti all’unisono.
Eppure, inspiegabilmente, il loro
lavoro, e l’esperienza maturata in tutti quegli anni, li avrebbe dovuti
preparare ad assistere ad un tale orribile spettacolo.
Finazzo e Cinquanta pensarono, ancora
sotto shock per la macabra visione di quel corpo martoriato, prima di varcare l’uscio della porta che
consentiva l’accesso e l’uscita dall’obitorio, che la malvagità umana non ha limiti
e confini. Quale mente umana, infatti, era in grado di pensare ed eseguire un
omicidio del genere, se non una mente perversa e criminale?
Quale uomo era in grado di arrecare la
morte ad una giovane donna, colpendola più e più volte con un coltello dalla
lama superiore a venticinque centimetri?
Patrizio e Salvatore si auspicavano che
le tracce biologiche prelevate dalle unghie del cadavere della povera badante
rumena potessero essere utili alle indagini, al fine di addivenire
all’identificazione certa dell’autore del delitto, così portando in
dibattimento una prova inconfutabile.
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