Diciannove.
L’aver perso il
40% delle derrate alimentari stoccate nell’apposita area creata dai robot
costruttori nel nostro campo base su Titano significò per la mia famiglia una
grave perdita, giacché c’erano costati tanto tempo e tanto lavoro la
coltivazione di quelle piante di cereali andate perdute, che erano necessarie
per il nostro fabbisogno giornaliero. Ho sempre pensato che nessuno mi ha mai
regalato niente e che tutto quello che io ho, oggi, è direttamente
proporzionale all’impegno da me profuso quotidianamente nel creare e produrre ciò di cui ho avuto di bisogno nella mia lunga vita, per la mia e per l’altrui sopravvivenza.
Ho lavorato incessantemente anche per diciotto ore al giorno per realizzare tutto
quello che oggi noi abbiamo. Ho sudato, e poi ho pianto ogni qualvolta la mia
nuova creazione prendeva vita e ci consentiva di vivere e prosperare, in modo
diverso rispetto al nostro recente passato, fatto, il più delle volte, di
stenti e sofferenze. Fra i dodici coloni, ovvero fra i dodici membri il mio
nucleo familiare, oltre a me e mio figlio, quello che maggiormente contribuiva
alla realizzazione delle nostre opere, che fossero di biologia molecolare, di
bio-genetica, di chimica, ingegneria, era da almeno una decina anni mio nipote
Lorenz, ritornato tra noi dopo una breve permanenza su Encelado. Lorenz era
tutto quello che io avrei voluto essere da giovane. A differenza mia, che ero
basso e tarchiato, Lorenz era alto circa un metro e novanta, corporatura
robusta, fisico perennemente allenato, di muscolatura forte e vigorosa, dotato di
un’intelligenza fuori dal comune. Mentre il mio cervello era più simile a un
personal computer degli anni Ottanta, quello di Lorenz era più assimilabile a
un potente computer quantistico di fine anni Venti del nuovo Millennio, ovvero
quello dotato di processore che ricordo chiamarsi Osprey, dell’IBM, da 433
qubit. E poi, era umile, era riflessivo, era un gioiello che brillava di luce
propria. Purtroppo per noi, questo gioiello che irradiava con la sua luce
abbacinante i nostri occhi, si spense troppo presto. Tutte le nostre conoscenze
in campo medico, tutte le nostre invenzioni, non ci consentirono di sconfiggere
il cancro che gli divorò il colon e gran parte dell’intestino tenue. Il suo
cadavere, riposto con tanto amore all’interno di un’urna funeraria, fu lanciato
in orbita attorno al gigante gassoso Saturno all’alba del 31 gennaio dell’anno
2080. Ho pianto tanto alla sua morte, così tanto che da allora non ho più alcuna
lacrima nei miei condotti lacrimali. Una profonda tristezza mi sovviene quando
la mia mente rievoca quei giorni di lutto e di dolore. Mio figlio, alla perdita
del suo amato Lorenz, si ammalò anch’egli di una forma acuta di depressione
post-traumatica che lo portarono, in meno di due anni, alla morte per
annegamento in uno dei tanti laghi d’idrocarburi presenti su Titano; si era
lasciato morire il mio Michael. Oggi, scusate, sono davvero stanco e non riesco
più a scrivere perché la mia mente, il mio spirito, sono profondamente lacerati
dal dolore per la grave perdita dei miei amati Michael e Lorenz: i miei due
diamanti da cento carati cadauno.
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