Undici.
Gli esseri
umani non sono nati per trascorrere tanto tempo nello spazio profondo; essi,
infatti, quali entità biologica a base di carbonio, non tollerano di buon grado
le radiazioni che scaturiscono dalle esplosioni stellari, oppure di tipo
galattico o intergalattico, fra cui i raggi gamma e raggi-X: i cosiddetti raggi
cosmici che, in maniera silente, possono bombardare sino a distruggerle le
cellule di cui si compone il loro organismo. Gli scienziati terrestri, in virtù
di ciò, inventarono nei primi anni Venti del nuovo Millennio una tuta spaziale
in grado di consentire al nostro organismo di viaggiare fra le stelle senza
colpo ferire. Questa piccola invenzione, ma grande dal punto di vista
tecnologico, ci consentì di raggiungere il pianeta Marte senza che i nostri
organi interni venissero danneggiati. Questa invenzione ci permise durante il
nostro lungo viaggio fra le stelle alla volta di Marte di non sviluppare il
cancro. Nell'arco degli otto mesi del lungo viaggio che avremmo dovuto
affrontare oltre le fasce di Van Allen, quindi, malgrado non avessimo il campo
magnetico terrestre a proteggerci, non avremmo dovuto temere di sviluppare
alcun tumore nelle nostre cellule. I raggi cosmici sono fatti per lo più di
protoni liberi, ma si possono trovare nuclei atomici di elementi di varia
natura, con tracce di antimateria. Le loro energie spaziano dalle centinaia di
MeV alle centinaia di miliardi di GeV: essi sono, perciò, estremamente
variegate. Gli scienziati, oltre alla realizzazione delle tute di cui fummo equipaggiati, ci protessero schermando
il nostro "catafalco cosmico" usando materiale idrogenato, ovvero
degli schermi attivi per attutire le radiazioni ionizzanti. Io, pur tuttavia e
malgrado tutte le precauzioni adottate dagli scienziati terrestri, mi ammalai
di tumore al colon-retto quando mi accingevo a festeggiare i miei primi
sessant'anni di vita. Grazie alla IA e ai robot chirurghi, alle terapie mediche
a cui venni sottoposto all'interno della stazione marziana "New Millenium", sconfissi il cancro
prima che le mie cellule si ammalassero definitivamente. Il tumore del
colon-retto rappresentava il 10 per cento di tutti i tumori diagnosticati nel
mondo, ed era terzo per incidenza dopo il cancro del seno femminile e del
polmone. Io fui il primo umano sopravvissuto su Marte che ebbe la sfortuna di contrarre
tale tipologia di tumore. Fortunatamente per me all'epoca dei fatti su Marte la
IA e i robot erano in grado di sconfiggere questo male in tempi celeri: ma
questa è una storia che non mi va di raccontare; preferisco raccontare ai
posteri quello che fummo in grado di realizzare noi piccoli esseri umani su
Marte, la nostra nuova "casa". Erano da poco trascorsi sessanta
giorni dal nostro ammartaggio, quando riuscimmo a realizzare la nostra prima serra
idroponica all'interno del cunicolo lavico in cui avevamo allestito il nostro angusto campo base. La serra da noi realizzata era il frutto di anni di studi
condotti dai ricercatori dell'Università dell'Arizona, anni prima di imbarcarci
all'interno della nostra navetta spaziale. La serra ci consentì oltre che di
sfamarci, anche di produrre, in quantità sufficiente, ossigeno per respirare.
La serra produceva l'ossigeno per il nostro fabbisogno giornaliero e noi
astronauti, in cambio, gli consegnavamo l'anidride carbonica prodotta dalla
nostra respirazione. Si trattava di un piccolo sistema biologico di supporto
vitale auto-rigenerante ed era il risultato dell'impegno profuso da quegli
scienziati che anni prima vennero incaricati dalla Nasa di sviluppare tale
tecnologia per le future esplorazioni umane di Marte. La serra era stata da noi
realizzata con tubi leggeri e pieghevoli che misuravano 5,5 metri di lunghezza
per 2 metri di diametro. La serra era lunga 30 metri e sarebbe stata in grado
di garantirci la nostra sopravvivenza sul Pianeta rosso per anni. Il sistema
era stato progettato in origine per auto-assemblarsi in modo autonomo in modo
da precedere di qualche mese l'arrivo degli astronauti su Marte, così da
accoglierli con piante già cresciute e sfruttabili. La serra ricreava una sorta
di versione idroponica in miniatura dei sistemi terrestri che consentivano la
vita. Era per noi un vero portento! Sono stanco, scusate, ma vado a letto. Non
riesco più a scrivere per oggi. Abbiate pazienza, vi racconterò il resto della
storia fra qualche giorno. Un abbraccio, Joseph.
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