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sabato 20 novembre 2010

Il Palazzo Reale di Palermo. Storia di un antico monumento. Guglielmo I detto il Malo, il sovrano dedito all'ozio e gli altri sovrani Normanni. Parte terza.

Ruggero II in un mosaico presso la Chiesa della Martorana di Palermo
20 Novembre 2010.

Morto Ruggero II nel 1154, restò legittimo erede del regno Guglielmo, suo terzo genito, essendo già morti gli altri eredi al trono, Anfuso nel 1141,e Ruggero duca di Puglia nel 1145. Aveva regnato ventiquattro anni e aveva sottomesso tutte le terre che si bagnano nel Mediterraneo fino ad Algeri.

Guglielmo è passato alla storia per essersi abbandonato all'ozio, a tal grado di cattività, e di tristezza pervenne, che si acquistò il sopranome di malo, trascurando così le cose del Regno, affidandone la gestione a persone di fiducia: tra queste Maione di Bari che egli nominò amiratus amiratorum (emiro degli emiri), una specie di primo ministro plenipotenziale. Dovette però presto affrontare una difficile situazione politica a causa della minaccia dell'impero germanico, portata dal Barbarossa, di quella dell'impero di Bisanzio portata da Manuele I Comneno e da quella del papato retto da Adriano IV. All'interno dovette anche affrontare le insidie dei baroni avversi all'assolutismo stabilito da Ruggero II.

Probabilmente debilitato da una malattia (o forse, come sostengono i suoi detrattori, distratto dalle mollezze di corte), trascurò inizialmente i pericoli e le minacce portate al suo regno.

Un suo contemporaneo, Romualdo da Salerno, lo descrive: " era un bell'uomo, di portamento maestoso, di corporatura robusta, di alta statura, altero e avido di onori; conquistatore per terra e per mare; nel suo regno, più temuto che amato. Pur preoccupandosi di accumulare ricchezze ne era restio nel dispensarle. Quelli che gli si mostravano fedeli innalzava all'opulenza ed agli onori; quelli che lo tradivano condannava al supplizio o bandiva dal regno. Assai scrupoloso nell'adempiere i suoi doveri religiosi, mostrava sempre un grande rispetto verso gli uomini di chiesa."

Questo suo scansare la politica e preferire la vita da soldato nonchè quella di ozio nei suoi casini di caccia del parco reale lo aveva portato a dare il più ampio spazio d'azione agli alti funzionari governativi fra i quali prediligeva un pugliese: Maione da Bari.

Il Fazello riferisce che in tutti i castelli,città e ville dell'isola mandò un bando, con il quale ordinava che ciascuno portasse all'erario del re tutto l'argento, e l'oro battuto e non battuto, ed in cambio di quello fece fare certe monete di corame, dove erano le sue armi , ed ordinò che quelle sole si usassero, e la pena di morte a chi le contrafacesse. Il panico si sparse per l'isola, ed i sudditi  correvano per consegnare i nobili metalli. Ciò malgrado  Guglielmo volle sperimentare se in effetti l'oro esistesse in Sicilia, e un uomo mandò in Palermo con un  generoso cavallo per venderlo uno scudo di oro in oro. Nessuno dei suoi sudditi, però, era in grado di comprarlo a quella condizione. Un nobile giovinetto però vago di aver quel destriere , andò alla sepoltura del padre , e disotterratolo gli cavò di bocca uno scudo di oro, che la madre gli aveva posto e cosi comprò il cavallo. Il re da ciò ben comprese , che non vi era oro in Sicilia, e credeva di aver così soddisfatto la sua avarizia. Ma questa a buon diritto é creduta dai critici una favola.

Guglielmo I non aveva ereditato alcuna delle qualità intellettuali e fisiche di suo padre, anzi sembrava rappresentare quella dei suoi avi dei tempi della conquista normanna. Aveva una struttura fisica da gigante dalla forza notevole, un gran coraggio in battaglia. Ma in politica era pressocchè una nullità. Nato nello splendore di tanta reggia, circondato di giovani donzelle latine, greche e musulmane, inclinò alle voluttà, in tempi che richiedevano saldo braccio e destrezza per superare le difficoltà risorgenti. Lento nell'azione, sembrava che provasse sempre difficoltà a prendere una decisione. Ma quando la prendeva la perseguiva con coerenza sino alle ultime conseguenze.

Niccolò Palmeri, (Termini Imerese, 10 agosto 1778 – Termini Imerese, 1837) che è stato un economista, storico e politico italiano, nella sua opera "Somma della storia di Sicilia, in 5 voll. Palermo : Dalla Stamperia di Giuseppe Meli, 1850", così scrisse di Guglielmo I:
"Ciò che veramente lo fece odiare dal suo popolo, fu l'avere innalzato alle prime dignità un tal di Majone da Bari, uomo scelleratissimo, affidandogli le redini del governo. Era questi figlio di un oliandolo.Maione fu  in pricinpio notaio di corte, poscia fu da Guglielmo fatto cancelliere , e finalmente grande ammiraglio. Colmo di grandissime ricchezze , venne, più che ogni altro principe della Sicilia, amato dal re. Era egli d' ingegno acutissimo , pronto alle imprese, facondo nel dire, simulatore, e dissimulatore di ogni cosa. Proclive alla libidine, gloriavasi di qualsiesi indecenza. Fornito di tali pessime doti dalla natura, ebbe agio nella corte di Guglielmo , come sviluppare quel germe pestifero. Infatti cattivatasi la benevoglienza del principe , diedesi ben presto ad ogni violenza , e crudeltà: e, geloso della gloria di chiunque , fece in maniera, che il re escludesse ogni altro principe, e in lui tutto confidasse. Per lo che concepì egli il disegno di arrivare a prendere il diadema reale. Era allora arcivescovo di Palermo un certo Ugone , uomo fazioso , inquieto , e bramoso di cose nuove. In lui Majone trovò un compagno , e confidandogli i suoi pensieri contro la persona del re, nessun motto fecegli della sua cupidigia. Majone dunque, e Ugone feronsi fratelli giurati, e determinarono di doversi far morire il re, onde essi nella minore età dei di lui figli., liberamente governassero. Laonde Ugone , per opera di Majone, facilmente divenne familiarissimo del re."

A quel tempo il regno era insidiato dai baroni pugliesi, che alla morte di Ruggero credevano di poterne scuotere il giogo, dai musulmani d'Africa, dal Papa, dal nuovo imperatore Federico Barbarossa, che riteneva le Puglie suo feudo, e dall'Imperatore greco.  In questo frangente Guglielmo cercò chi fosse capace di tanta soma, e lo trovò in Maione, barese, grande ingegno, eloquente, sagace, astuto, ambizioso, senza scrupoli. Anche la di lui moglie Margherita, figlia di Garcia IV Ramirez di Navarra, che si interessava alla politica molto più di lui, aveva spiccata ammirazione per questo Maione riconoscendogli tutte le qualità di un amministratore eccezionalmente abile e soprattutto fedele alla corona.

Maione aveva prestato servizio nello stato per 10 anni durante il regno di Ruggero II raggiungendo il grado di gran cancelliere, dopo essere stato assunto all'ufficio di notaro. Aveva accompagnato Giorgio d'Antiochia nelle imprese marittime.

Fu facile, perciò, per Guglielmo elevarlo ad "amiratus" (emiro) dopo che Filippo " di Mahdiyya" era stato giustiziato. Per la prima volta la carica di emiro (governatore, uomo più importante dello stato dopo il re) viene conferita ad un funzionario amministrativo separandola così da quella di comandante della flotta navale e scaricandola quindi di quell'eccesso di potere che aveva costituito un rischio più o meno latente in quanto era la massima carica governativa dello stato siciliano. Divenne, quindi, Grande Ammiraglio. Guadagnatosi l'animo di Guglielmo, e prese le redini del governo, intese abbattere prima e sopra ogni altra cosa la potenza dei baroni, ostacolo principale al potere di uno solo. Favorì per tanto e riempì la corte di paggi ed eunuchi musulmani, già numerosi, e cominciò ad allontanarne baroni e cavalieri, insinuando sospetti nell'animo del Re.


E poichè potente fra i baroni era Robeto di Basseville, cugino del Re, e da questo fatto conte di Lorotello, Maione fece credre che ambisse al trono; per cui Guglielmo, andato a Salerno, gli tolse lo stato, e si rifiutò di riceverlo. Il conte indispettito, intavolò secrete pratiche coi baroni pugliesi, col Papa Adriano IV, col Barbarossa e con l'Imperatore greco. La guerra cominciò nell'anno 1154. Guglielmo ordinò s'invadessero gli stati del Papa, e assedò Benevento. Il conte di Lorotello, seppe sottrasi all'arresto; non così Simone, conte di Policastro e Gran Contestabile, che chiamato dal Re per giustificarsi, fu per consiglio di Maione arrestato e imprigionato. Venuto intanto il Barbarossa a incoronarsi (1155), i baroni di Puglia insorsero; e salvo Salerno, Napoli e qualche altra città, ben presto tutte le Puglie si sottrassero al Re. La ribellione si propagò in Sicilia.

Nell'Ottocento la figura del Maione è stata purtroppo deformata in quella particolare ottica che la revisione romantica assurse per cercare dei precedenti storici alla lotta antiborbonica. Maione venne raffigurato come un arrivista privo di scrupoli, figlio di un mercante d'olio di Bari, assetato di potere, soprattutto dei deboli, ecc. ecc. Nella realtà Maione era figlio di uno dei più noti magistrati Baresi e la sua carriera nell'amministrazione dello stato altro non era che il naturale sbocco della sua attività nella quale era particolarmente preparato.  Maione fu assassinato per mano di Matteo Bonello, discendente di una delle più antiche casate normanne giunte in Italia al seguito di Roberto "il Guiscardo", privo di titolo nobiliare,  sarebbe dovuto divenire suo genero. L'assassinio, frutto di una congiura ardita da alcuni baroni locali che vedevano in lui un tiranno, si consumò il 10 novembre 1160 nei pressi di porta Sant'Agata "la guilla". In seguito la maggior parte della nobiltà feudale scoppiò in rivolta.

Guglielmo I, non potendo sedare la rivolta in quanto i 300 uomi della guarnigione non sarebbero bastati a contrastare  i ribelli, e non potendo attendere rinforzi, decise di appoggiare i rivoltosi, perlomeno formalmente, dando pubblico riconoscimento delle malefatte di Maione. Al suo posto nominò un triumvirato composto da Silvestro conte di Marsico, in rappresentanza della nobiltà feudale, Enrico Aristippo, suo precettore, ed uno degli alti prelati latini: Riccardo Palmer. 

Il Re riuscì a sedare la rivolta facendo arrestare i baroni. Matteo Bonello finì in carcere, accecato e torturato. Analoga sorte toccò ad alcuni baroni  pugliesi che Guglielmo fece punire crudelmente. Altri riuscirono a salvarsi rifugiandosi in Abruzzo. Soggiogate le Puglie, Guglielmo marciò su Benevento, dove era il Papa coi conti di Loretello e di Rupecanina. Ma il Papa trovò più conveniente patteggiare; Guglielmo venne a patti, e si dichiarò vassallo della Santa Chiesa per i domini della terraferma, e, diversamente dagli avi che avevano mantenuto l'indipendenza della Sicilia, se ne fece investire dal Papa (26 giugno 1156). Fu tra i patti promessa vita e libertà ai baroni riparatisi a Benevento, purchè uscissero dal regno; ma Guglielmo fece accecare, scudisciare gettere in orride carceri i conti di Alesa e Tarsio; al conte di Squillace furno cavati gli occhi e mozzata la lingua; più fortunato fu il conte di Policastro, che morì prima di essere arrestato. Gli stessi nipoti naturali del re, Tancredi e Guglielmo, furono presi e confinati dentro la reggia di Palermo. Con queste ed altre crudeltà,istigate da Maione, furono domati i baroni.

Dopo questi sforzi, tornato a Palermo, il Re si immerse negli ozi e nelle lascivie; il regno restò in balia del predetto triumvirato. Morì a quarantasei anni il 07 maggio del 1166. Gli successe il figlio dodicenne,  Guglielmo II, sotto la reggenza della regina Margherita e dei tre ministri. Si fecero per tre giorni le pompe funebri, ma dicono gli storici, che quelle che lo piansero sinceramente furono le donzelle musulmane. Lasciò il regno in disordine e minacciato. Ebbe soprannome di Malo, in confronto al suo successore. Prima della sua morte fece erigere un castello delizioso che chiamò Zisa.

Il Palmeri, nella suddetta opera, nel raccontare gli eventi verificatisi in quel tempo, riferiva in particolare:
"A portar quindi a compimento il concepito disegno, pensarono di doversi togliere d'innanzi tutti quei signori, che avessero potuto impedir loro ogni cosa. Per il che fra breve tempo Roberto conte di Loritello consobrino di Guglielmo , Simone conte di Policastro , ed Eberardo conte di Squillaci, i quali erano i più stimati e i più potenti signori, vennero in disgrazia del re. Guglielmo diventò così selvatico ed efferato, che fuor dell'ammiraglio e dell'arcivescovo, nessuno avea l'udienza, nè l'entratura a lui. Majone usava qualunque arte, onde il popolo e i nobdi odiassero il re, e dall'altra parte il re venisse in sospetto della coadotta di quelli. Per cui raccontava al re, e con parole esagerava le pretensioni di molti che avrebbero voluto mettersi al governo del suo regno: parlava poi col popolo delle crudeltà e della pessima condotta del Re, e mille altre cose così macchinava, e scelleratamente eseguiva, che prestamente la discordia era per eccitare a sedizione la Sicilia. Intanto si muovevano nella Puglia gravi turbolenze. Il conte di Loritello nè occupò alcuni luoghi, Roberto Suirentino s'impadronì di Capuani paese di Napoli andava sottosopra, ed Emmanuele imperator di Costantinopoli fece lega col conte di Loritello colla speranza di riacquistar la Puglia, e a tal fine mandogli a Brindisi danari , capitani e soldati. Ciò ebbe origine dalla lama sparsasi , esser già morto il re : ma inverità Guglielmo erasi chiuso nel palazzo, e per alquanti giorni da nessuna persona lecesi vedere eccetto che dall'ammiraglio, e dall' arcivescovo. Majone volle riparar quei danni, che accadevano nel regno di Napoli, e con lettere sue, e del re cercava di lare star fermi nella fede quei principi, che ancor non si erano ribellati. Al medesimo fine mandò in Calabria Matteo Bonello nobile Siciliano su cui il tutto confidava, come quello , ch' eletto egli aveva per suo genero. Costui però si unì ben presto con i nemici dell'ammiraglio, e una congiura ordì come uccidere un uom così scellerato. Ma il comandante di Calabria Niccolò Logoteta avvertì delle insidie Majone. Il Bonello, che ritornato dalla commessione fermato si era in Termini, avuto seniore , che l'ammiraglio ben sapea la congiura, con lettere efficacemente simulò di aver ben composto le cose al di là del Faro, e che tutti i baroni divenuti amicissimi pronti erano ad eseguire , quanto loro si fosse comandato. Laonde, tolti via i sinistri sospetti dall'animo di Majone, portassi in Palermo. E ben presto corse all' arcivescovo Ugone , il quale disgustato si era con l'ammiraglio, e mille occasioni ricercata , come vendicarsene. Si era nell'altra parte Majone deliberato di avvelenare l'arcivescovo. Frattanto infermossi Ugone, e l'ammiraglio ito a fargli visita vicino alla sera , gii offri un potente antidoto slla febre ma in realtà un farmaco velenoso. L'arcivescovo differì con buone parole a tracannarlo , e ritenne intanto Majone sino a notte avanzata in sua casa, fintantochè avvisato avesse Bonello ,, per porsi nelle insidie. Infatti appena uscito dalla casa dell'arcivescovo, Majone fu sorpreso dal Bonello, il quale gl'immerse nel fianco la spada sino all'elsa, e lo distese a terra (1160)."


Fonte:-

Bibliografia

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