Quattro.
Il bullo.
Gli inizi degli anni ’80 furono per F. degli anni davvero terribili; non perché avesse contratto una malattia
rara, né perché qualcuno della sua famiglia si fosse ammalato e stesse per
morire, ma perché durante la sua breve esistenza ebbe la sfortuna di incontrare G., un suo coetaneo, che gli rese la vita davvero difficile, bullo qual era.
I due bambini, 10 anni il primo, 12 il secondo, non entrarono mai in empatia.
Qualcosa li costringeva a non accettarsi l’uno con l’altro. G. cercava ogni
scusa, anche la più banale, per mettere sotto F. e riempirlo di schiaffi e
pugni. G. era il classico bullo di zona che cercava di prevaricare sul suo
prossimo. Se ci ripenso, oggi che sono un po’ più vecchio, ritengo che forse G. avesse di bisogno di ricevere più attenzioni da parte dei suoi familiari: ma di
questo non ne sono sicuro. Eppure G. era il fratello di Marco, che tanti
bambini ammiravano, me compreso. Non capivo allora come potessero essere così
diversi i due fratelli; e ancora oggi, sforzandomi di capire, non me ne
capacito. L’abitazione di F. distava solo settanta passi da quella di G.: di
ciò ne sono sicuro, perché li ho contati personalmente quei passi che tenevano
lontani il bambino bullo da quello vessato, passeggiando il cane di mia figlia,
il piccolo Ciro, in tempi recenti lungo le vie del quartiere. F. spesso rientrava
a casa, piangendo, con dei lividi in corpo, poiché G. lo aveva maltrattato,
in presenza di altri bambini, picchiandolo senza alcun ritegno. F. si
difendeva dal bullo che lo aveva preso di mira, cercando di colpirlo a sua
volta, ma senza riuscirvi: G. era più alto e grosso di lui. Un giorno F.,
però, stanco delle vessazioni e della condotta di G. raccontò tutto quanto gli
accadeva ad uno dei suoi tanti cugini che abitava, come lui, all’intersezione
fra la via Giacomo Alagna e la via Gino Funaioli del quartiere Brancaccio. C. il cugino di F. che raccolse le
pene, le ansie, le frustrazioni del piccolo monello F., prendendo le sue difese decise che quanto prima gliel'avrebbe fatta pagare a G., malgrado egli sapesse benissimo che G. fosse più piccolo di
lui di qualche anno. Un giorno F. e suo cugino, C., incontrarono G. lungo
la via da loro percorsa. Il cugino di F., C., decise allora che fosse
arrivato il momento di fargliela pagare a G. per tutte le sue nefandezze. Con
una scusa C. attirò G. in un tranello, così da poterlo prendere alle spalle
e tenerlo fermo: solo allora invitò il cugino vessato a picchiare il suo nemico
bullo più forte che potesse. F., così, sfogò la sua rabbia sul corpo del
piccolo G. con calci e pugni, tanto che G. se ne ritornò a casa con dei
rivoli di sangue ed ecchimosi vari che gli segnavano il volto e altre parti del
corpo. Qualche ora dopo la mamma di G., recatasi sotto il balcone dell’abitazione
di F., inveì contro la mamma del bambino vessato da suo figlio, che lei
ritenne essere un bullo, apostrofandola con degli epiteti irripetibili e
lamentandosi circa l’incapacità dei genitori di F. di non essere in grado di
frenare l’indole delinquenziale del proprio figliolo che, a suo dire, sarebbe
cresciuto un vero e proprio “Malacarne”. Ma il destino volle che F. divenisse
un’appartenente delle Forze di Polizia, mentre G., dopo aver imparato la
lezione che la vita di strada gli aveva impartito suo malgrado, da grande si sarebbe
preso cura degli altri suoi simili compassionevolmente. La strada, purtroppo, è
palestra di vita. I bambini degli anni ’80, ahimè, che sono cresciuti per
strada e con le regole che la strada impone loro, sono davvero diversi dai
bambini di oggi che trascorrono troppo tempo fra le mura domestiche intenti a
giocare con la Playstation e/o con altre consolle: oggetti che sono delle vere
e proprie nuove maghe Circe che per mezzo di un’alchimia neurale consente loro
di immergersi in un mondo fantastico che li tiene lontani dalla vita vera:
quella fatta di sudore e sangue, che ti fortifica e ti fa diventare un adulto forte e pronto a combattere le insidie che la vita ti pone dinanzi.