Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

  • A proposito degli alieni....

    Il saggio dal titolo "A proposito degli alieni....", di Francesco Toscano e Enrico Messina

    Sinossi: Fin dalla preistoria ci sono tracce evidenti del passaggio e dell’incontro tra esseri extraterrestri ed esseri umani. Da quando l’uomo è sulla Terra, per tutto il suo percorso evolutivo, passando dalle prime grandi civiltà, all’era moderna, sino ai giorni nostri, è stato sempre accompagnato da una presenza aliena. Lo dicono i fatti: nei reperti archeologici, nelle incisioni sulle rocce (sin qui rinvenute), nelle sculture, nei dipinti, in ciò che rimane degli antichi testi, sino ad arrivare alle prime foto e filmati oltre alle innumerevoli prove che oggi con le moderne tecnologie si raccolgono. Gli alieni ci sono sempre stati, forse già prima della comparsa del genere umano, e forse sono loro che ci hanno creato.

  • Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.

    Il saggio dal titolo "Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Milioni di persone in tutto il mondo credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E se fosse vero? Questo libro nasce proprio per questo motivo, cercare di dare una risposta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, al quesito anzidetto. L`archeologia spaziale, o archeologia misteriosa, è definibile come la ricerca delle tracce, sotto forma di particolari reperti archeologici o delle testimonianze tramandate nel corso dei millenni, di presunti sbarchi sulla Terra di visitatori extraterrestri avvenuti all’alba della nostra civiltà.

  • Condannato senza possibilità d'appello

    Il romanzo breve dal titolo "Condannato senza possibilità d'appello.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Le concezioni primitive intorno all`anima sono concordi nel considerare questa come indipendente nella sua esistenza dal corpo. Dopo la morte, sia che l`anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d`animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica, seguirà sempre il volere di Dio; cioè il volere dell’Eterno di consentire alle anime, da lui generate e create, di trascendere la vita materiale e innalzarsi ad un piano più alto dell’esistenza, imparando, pian piano, a comprendere il divino e tutto ciò che è ad esso riconducibile.

  • L'infanzia violata, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano

    Sinossi: Dovrebbero andare a scuola, giocare, fantasticare, cantare, essere allegri e vivere un'infanzia felice. Invece, almeno 300 milioni di bambini nel mondo sono costretti a lavorare e spesso a prostituirsi, a subire violenze a fare la guerra. E tutto ciò in aperta violazione delle leggi, dei regolamenti, delle convenzioni internazionali sui diritti dell'infanzia. La turpe problematica non è lontana dalla vostra quotidianità: è vicina al luogo in cui vivete, lavorate, crescete i vostri bambini. Ad ogni angolo dei quartieri delle città, dei paesi d'Italia, è possibile trovare un'infanzia rubata, un'infanzia violata.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei "ru viddrani", Don Ciccio, "u pastranu", capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un'acredine che amplifica l'entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea Romanescu, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il fantasy dal titolo "E un giorno mi svegliai", di Francesco Toscano

    Sinossi: "E un giorno mi svegliai" è un fantasy. Il personaggio principale del libro, Salvatore Cuzzuperi, è un impiegato residente nella provincia di Palermo che rimane vittima di un'esperienza di abduction. Il Cuzzuperi vivrà l'esperienza paranormale del suo rapimento da parte degli alieni lontano anni luce dal pianeta Terra e si troverà coinvolto nell'aspra e millenaria lotta tra gli Anunnaki, i Malachim loro sudditi, e i Rettiliani, degli alieni aventi la forma fisica di una lucertola evoluta. I Rettiliani, scoprirà il Cuzzuperi, cercano di impossessarsi degli esseri umani perché dotati di Anima, questa forma di energia ancestrale e divina, riconducibile al Dio Creatore dell'Universo, in grado di ridare la vita ad alcune specie aliene dotate di un Dna simile a quello dell'uomo, fra cui gli stessi Rettiliani e gli Anunnaki. Il Cuzzuperi perderà pian piano la sua umanità divenendo un Igigi ammesso a cibarsi delle conoscenze degli "antichi dèi", ed infine, accolto come un nuovo membro della "fratellanza cosmica".

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei “ru viddrani”, Don Ciccio, “ù pastranu”, capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un’acredine che amplifica l’entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea ROMANESCU, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • Naufraghi nello spazio profondo, di Francesco Toscano

    Il romanzo di fantascienza dal titolo "Naufraghi nello spazio profondo ", di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza.

  • Malacarne, di Francesco Toscano

    Libro/E-book: Malacarne, di Francesco Toscano

    Sinossi: Nella primavera dell'anno 2021 a Palermo, quando la pandemia dovuta al diffondersi del virus denominato Covid-19 sembrerebbe essere stata sconfitta dalla scienza, malgrado i milioni di morti causati in tutto il mondo, un giovane, cresciuto ai margini della società, intraneo alla famiglia mafiosa di Palermo - Borgo Vecchio, decide, malgrado il suo solenne giuramento di fedeltà a Cosa Nostra, di vuotare il sacco e di pentirsi dei crimini commessi, così da consentire alla magistratura inquirente di assicurare alla giustizia oltre sessanta tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria Gesù. Mentre Francesco Salvatore Magrì, inteso Turiddu, decide di collaborare con la Giustizia, ormai stanco della sua miserevole vita, qualcun altro dall'altra parte della Sicilia, che da anni ha votato la sua vita alla Legalità e alla Giustizia, a costo di sacrificare sé stesso e gli affetti più cari, si organizza e profonde il massimo dell'impegno affinché lo Stato, a cui ha giurato fedeltà perenne, possa continuare a regnare sovrano e i cittadini possano vivere liberi dalle prevaricazioni mafiose. Così, in un turbinio di emozioni e di passioni si intrecciano le vite di numerosi criminali, dei veri e propri Malacarne, e quella dei Carabinieri del Reparto Operativo dei Comandi Provinciali di Palermo e Reggio di Calabria che, da tanti anni ormai, cercano di disarticolare le compagini mafiose operanti in quei territori. Una storia umana quella di Turiddu Magrì che ha dell'incredibile: prima rapinatore, poi barbone e mendicante, e infine, dopo essere stato "punciutu" e affiliato a Cosa Nostra palermitana, il grimaldello nelle mani della Procura della Repubblica di Palermo grazie al quale potere scardinare gran parte di quell'organizzazione criminale in cui il giovane aveva sin a quel momento vissuto e operato.

  • NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA , di Francesco Toscano

    Libro/E-book: NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA,di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza. Nel giro di pochi anni, pur tuttavia, a differenza di quanto auspicatosi dagli scienziati che avevano ideato e progettato la missione Marte, l’ingegnere MIGLIORINI e la sua progenie sarebbero rimasti coinvolti in un’aspra e decennale guerra combattuta da alcuni coloni di stanza sul pianeta Marte e da altri di stanza sulla superficie polverosa della nostra Luna, per l’approvvigionamento delle ultime materie prime sino ad allora rimaste, oltre che per l’accaparramento del combustibile, costituito da materia esotica e non più fossile, di cui si alimentavano i motori per viaggi a velocità superluminale delle loro superbe astronavi; ciò al fine di ridurre le distanze siderali dello spazio profondo e al fine di generare la contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali, che avrebbero consentito loro di percorrere le enormi distanze interstellari in un batter di ciglia...

martedì 23 novembre 2010

Il Palazzo Reale di Palermo. Storia di un antico monumento. La storia di Guglielmo II di Sicilia. Parte seconda.

Guglielmo II (Fonte: Dalla rete)
23 Nov. 2010. 

" La causa che aveva assunto Ildebrando, quella della indipendenza non solo, ma della universale supremazia della Chiesa, confondevasi all'altra delle libertà cittadine progredite in Italia. Il contrasto da entrambi simultaneamente impegnato, il trovarsi in presenza di uno stesso nemico stabiliva fra il Papato e i Comuni ribelli all'Impero vincoli necessari e ultimissimi;le due quistioni, religiosa e politica, poterono così innanzi agli occhi degli uomini mostrarsi una sola: ed era illusione che il Papato doveva accortamente sfruttare a seconda de' proprii suoi fini e de' proprii disegni. Allora, in ogni modo, la illusione durava. Alessandro III pontefice, uscito di Roma, rimaneva in Benevento, ove le forze del regno seguivano a coprirlo e difenderlo: Federigo Barbarossa, abbandonate nel 1167 le infauste rive del Tevere, si ritraea per la Toscana a traverso gli Appennini, sfuggendo a stento il provocato sollevarsi de' popoli, salvo a stento da chi, tra i suoi fedeli, assicuravagli il passo. Svernava in Pavia e vi chiamava una dieta, ove co' rappresentanti di quattro sole città accorsero pochi e radi i feudatarii italiani: colà, gettato il guanto in mezzo all' adunanza, poneva al bando le città collegate; si limitava del resto, co' suoi scarsi Tedeschi e co' deboli aiuti raccolti in Italia, ad alcuni guasti su' territori di Milano e Piacenza. Nella primavera seguente ritornava quasi solo in Germania per la valle di Susa, travestilo, cercando nascondersi, s'è da prestar fede a una cronaca. E frattanto il 1 dicembre, congregatisi a nuova e più numerosa assemblea, i confederati di Pontida e quelli della prima Lega Veronese ripetevano il voto della mutua tutela e della mutua assistenza : v'erano deputati di Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Trevigi, Ferrara, Brescia, Bergamo, Milano, Lodi, Piacenza, Modena, Parma, Bologna: il re di Sicilia non era rappresentato al convegno, ma sapevasi avere i suoi messi giurato sostenere le città combattenti, e si avea la certezza che i soccorsi dell' isola non sarebbero per mancare all'impresa. Nel convegno tornavasi a dichiarare lo scopo comune di rivendicare e serbare le municipali franchigie godute dal tempo di Enrico V fino all'assunzione di Federigo al trono, non tollerando tutt' altri legami di padronanza imperiale: Venezia concorrerebbe col proprio navilio pel mare e pe' fiumi ; i collegati guarderebbero coll'esercito i suoi dominii di terra ; si partisse di buona fede il danaro apprestato dal re di Sicilia e dal greco imperatore Manuele Comneno, risarcendo prima Venezia di ciò che avea speso per legazioni a que' principi in pro della Lega ; si ristorassero a provvidenze comuni i danni delle città collegate, e i profitti del vincere si dividessero ugualmente fra loro; si obbligasse ciascuno a non fermare particolari trattati senza consiglio e volontà della Lega: supremi rettori avessero l'indirizzo de' federali negozii; ad essi la cura della comune difesa, la condotta della guerra, l'arbitrato de'dissidii reciproci, l'amministrazione del federale peculio, e, dove necessità lo volesse, la riforma degli statuti giurati. Nuove città, Tortona, Vercelli, Como, Asti, Novara, accedevano poco dopo all' accordo; parecchi signori feudali, tra cui Io stesso marchese Obizzo Malaspina : aggiungevansi ancora Ravenna, Rimini, Imola, Forlì: prendevasi il titolo di Società di Venezia, Lombardia, Marca, Romagna ed Alessandria : Alessandria, per opera de' collegati, era sorta testè sul confluente del Tanaro e della Bormida, a intercettare le comunicazioni tra la ghibellina Pavia e il marchese di Monferrato, con nome che onorava il pontefice, protettore alla Lega. Il quale, in Benevento, proseguiva a dar molo a negoziati attivissimi col greco imperatore, con Francia, Inghilterra, colla Cristianità tutta intera ( Romualdo Salernitano, Chron., f. 874.La Lumia.).

La unione lombarda come avea nel Papato la morale sua forza e nella monarchia de' Normanni un materiale sostegno all' altro estremo d'Italia, avrebbe potuto dilatarsi nel centro e raccogliere seco le città commercianti e marittime, di Pisa e di Genova; sventuratamente contrastavano i mercantili interessi e i dissidi reciproci: Genovesi e Pisani, paghi de' privilegi imperiali che ne assicuravano i traffici, e curando poco i comuni vantaggi delle altre genti italiane, in lite eterna fra loro; Siena, Lucca, Firenze, Prato, Pistoia dividentisi per l'una o per l'altra delle due avverse repubbliche ; altre gare, altre offese scambievoli tra Firenze e Bologna: Venezia medesima, ond'era uscito il primo impulso alla Lega, distratta da'suoi affari in Levante, ricondotta al consueto ondeggiare e destreggiarsi a vicenda fra l'Impero bizantino e il germanico, cercando anche, contro il primo, avvicinarsi a quest' ultimo : e in quelle opposte tendenze soffiare accortamente Federigo, e prepararsi la strada alla meditata rivincita. L' antipapa Pasquale Ili moriva, e la fazione imperiale gli dava successore Callisto. Allora un astuto proposito entrò in mente al Tede' sco : cogliere queil ' appicco a intavolare apparenti trattative col papa, staccarlo da'Lombardi e dal re di Sicilia, gettare fra i collegati la diffidenza e il sospetto ; e mandava ambasciatore un Everardo, vescovo di Bamberga. Costui, significato il comando del proprio signore che gli vietava di entrare nel territorio del regno, pregava il pontefice che, lasciata Benevento, si recasse in qualche luogo ne' dominii della Chiesa. Alessandro si avanzò ad ascoltarlo in Veroli. Non avrebbe ripugnato a comporre da sè, ove fosse stato possibile, le differenze tra la Chiesa e l'Impero, dimenticando i suoi propri alleati; quella volta però traspariva assai palese l'insidia : in Verotì, tra i Cardinali presenti e i deputati lombardi chiamati espressamente al colloquio, l'accorto pontefice potè farsi bello d'una onesta ripulsa, e deludere gli avversi artiflcii (Card. Arag., Vita Akxandri III, presso Muratori, Rer. il. scr., IH, f. 461-62.). Poi sopravvennero annunzii di nuovi bellicosi apparecchi in Germania, di una nuova discesa (sarebbe stata la quinta) che Federigo si disponeva ad eseguire in Italia. Concorsi in Modena a solenne adunanza, i collegati ribadivano il patto, accingendosi ad estremi cimenti (Muratori, Anliq. Hai., diss. XLVIII).  Verso l'epoca stessa erasi in Europa rallentato d'alquanto lo slancio delle prime Crociate. Quel nucleo di cristiane colonie raccolto in Palestina ed in Siria sotto i successori di Goffredo Buglione, alimentato da' pellegrini che non cessavano di arrivare a drappelli da mezzodì e da ponente, avrebbe potuto aspirar tuttavia a più larghi e più stabili acquisti; se non che mancava tra i Franchi fermezza e unità di consigli, necessaria concordia e abilità di giovarsi dell' immenso disordine in cui cadea l'Islamismo. Disperse e quasi al nulla ridotte le dinastie de' Saraceni e de' Turchi ; i Selgiucidi spinti in fondo alla Persia ; l'autorità de' Califfi Abbassidi di Bagdad priva di materiale potenza, e circondata soltanto deivano prestigio che ritenea su'credenti; nel Cairo un califfato rivale, che ne' Fatimiti porgea lo spettacolo di degeneri e imbelli signori dominati da schiavi: tali erano le circostanze che avrebbero secondato i progressi e le fortune de'Franchi, quando si rivelava un grand' uomo in cui l'Oriente potè sperare un liberatore ed un vindice. Noradino (Nur-Eddin) figliuolo di Zenghi, soldano di Damasco, erasi, innanzi alla seconda Crociata, impadronito di Edessa: prode, semplice, ardito, infaticabile, austero, ritraeva il fervore de'primi compagni succeduti al Profeta; e minacciava in Terrasanta i possessi cristiani, allorchè la occasione lo traeva a scontrarsi co' Franchi e trionfarne in Egitto. Due gelosi visiri, che nella corte del Cairo s'erano disputato il favore dell'inetto Califfo, contribuivano a chiamare colà una doppia invasione, avendo l'uno, fuggitivo in Damasco, ottenuto da Noradino un esercito per rimetterto in seggio, essendo l'altro, per la propria difesa, ricorso ad Almerico re di Gerusalemme ed a'Franchi. I due visiri, strumento a più gagliarde ambizioni, disparvero in breve: rimaneva il contrasto fra gli ausiliari di entrambi. La corte del Cairo, minacciata da si diversi nemici, opponeva gli uni agli altri a vicenda: il califfato di Bagdad, ad abbattere l'emula sede del Cairo, animava Noradino alla conquista e alla preda ; Noradino, vincitore de' Franchi, si mutava per l'Egitto alla fine da alleato in signore; deponeva in Adel l'ultimo de'califfi Fatimiti, e così due rivolgimenti gravissimi si compivano a un tempo: la musulmana credenza ridotta oggimai sotto un solo capo nel califfo di Bagdad; l'Egitto e tante ricche Provincie dalle sponde dell' Eufrate e del Tigri alle sorgenti del Nilo formanti un sol corpo nelle valide mani del soldano di Damasco. I timori crescevano a Gerusalemme ed a'Franchi. La guerra sacra si bandla dagl'imam nelle moschèe dell'Oriente; ma quella gloria si serbava a un guerriero più giovane, il cui nome cominciava appena a bisbigliarsi e conoscersi. Selah-Eddin (il Saladino delle cronache franche) di origine curdo, erasi educato nel campo, e avea fra l'armi seguito Chirkù, paterno suo zio, che governava per Noradino in Egitto: si diè poscia alle dissipazioni e a'piaceri, e parve hi essi dimenticare ogn' istinto di grandezza e di fama: nell'ufficio succedette allo zio; ma quell'indole voluttuosa e leggiera sembrò allora convertirsi d'un tratto: si fe' sobrio, oculato, intraprendente, operoso, severo a sè medesimo e agli altri; chiamò dal fondo del Kurdistan il padre e i parenti, e, come l'antico patriarca, li mise in alto stato al suo fianco; represse gli emiri; ricompose e riordinò celermente il paese. Noradino cominciò a sospettare del suo proprio vicario, e disponeasi in persona a passare in Egitto, ma perì poco stante, nè restavane che un fanciullo decenne.

La potenza che aveva egli sudato a fondare, accennava sfasciarsi: Saladino vi stendea sopra la mano, sene impadroniva del tutto, invocato da' popoli, sposatala vedova dell'estinto soldano e presa la custodia del figlio: i disegni del suo antecessore rivivevano in lui, formidabili a' Cristiani dell'Asia. Almerico, anche allora cessato di vivere, non lasciava che un erede a tredici anni, privo degli occhi ed infetto di lepra. I baroni del cristiano reame, ga reggiando fra loro intorno  alla tutela dell' orfano, lasciavano che Saladino si assodasse e si estendesse ne' suoi vasti dominii (Michaud, Histotre des Croisades, liv. VII, VIII.). Al confine dell' Europa e dell' Asia, serbando F orgoglio di antiche memorie, ma colpito di decadenza fatale, l'Impero bizantino pareva colla dinastia de' Comneni arrestarsi alcun poco sul sinistro pendio. Manuele, in un governo di trent' anni all' incirca, avea dovuto contrastare co' Turchi, co' Franchi di passaggio in Levante, cogli Ungheri sostenuti dall' impero tedesco, con Venezia, col re di Sicilia; avea dovuto riconoscer quest'ultimo e simulare amistà: pur tra tanti avversarii, e con varia fortuna mostrando a tutti la fronte, non deponeva le altere pretese, non che sulle provincie meridionali d'Italia, sul vecchio mondo romano; erasi rivolto al pontefice, e con ardita proposta aveva offerto concordar le due Chiese (la latina e la greca), soccorrere il papa stesso in Italia, e, per le mani di lui, riunir sul suo capo la corona imperiale d'Occidente (Cinnamo, Hist., lib. V, VI.). Alessandro III, diffidente delle greche promesse, aveva alimentato la pratica sol quanto bastasse a spaventar Barbarossa: Barbarossa cercò di sua parte avvicinarsi al Comneno per distoglierlo dalle cose italiane; poi, dacchè seppe interrotte quelle brighe col papa, ripigliava il contegno nimichevole al Greco. De' due Cesari, Manuele Comneno, colla nota doppiezza della propria sua corte, era, in ogni modo principe valoroso e sagace: Federigo, non volgare intelletto, grand'animo e profondamente convinto di ciò che teneva sua ragione e suo dritto, superbo, inesorato, spietato, con tutto il male che avea fatto e dovea fare in Italia, era sempre una delle più elevate figure che sovrastassero al duodecimo secolo. Regnavano con loro Enrico II in Inghilterra, Luigi VII in Francia. Enrico II, alla eredità di Guglielmo il Bastardo e al contado di Anjou congiungendo per la moglie Eleonora il ducato d'Aquitania, quanto dire il paese fra i Pirenei, la Loira ed il Rodano, possedeva coll' inglese suo scettro tanta parie del continente di qua dalla Manica; soggiogava l'Irlanda e riduceva tributaria la Scozia; in faccia a' suoi baroni normanni, non meno che a'suoi sudditi sassoni, teneva alta la prerogativa reale: nel conflirto con Tommaso Becket, l'arcivescovo di Canterbury,potè eccedere di violenza tirannica; e nondimeno atteggiavasi a difensore imperterrito de' contesi attributi del principato civile contro le usurpazioni e gli abusi del clero. 

Nel 1169, in un abboccamento a Montmirail, Luigi VII si stringeva umiliato al suo potente vicino, vassallo di nome per le provincie francesi, rivale nel fatto. Minore di concetti e di spiriti, vedendo col divorzio della propria consorte la monarchia dismembrarsi de' preziosi appannaggi che passavano a Enrico, raccoglieva tuttavolta que'frutti che avea seminato l'amministrazione del savio Suggero sotto il padre e durante il suo soggiorno in Palestina: i baroni più docili che non fossero addietro, la corona più obbedita e temuta, orescente nelle città e nelle classi borghesi il rigoglio di vita, che dovea quanto prima creare un terzo stato fra i signori e la plebe. In complesso acceleravasi quell'interno lavoro onde il medio evo tendeva a trasformarsi e rifondersi. Vi cospiravano i più diversi elementi  la Chiesa che si faceva puntello alla libertà de' Comuni, e il potere laicale che procurava spezzare i legami di che avvince vaio il clero; il fervore cristiano che smovea l'Occidente e lo spingeva a riversarsi e combattere in lontane intraprese; l'Oriente che scopriva a' Crociati meraviglie sconosciute ed insolite; l'interesse de' re che a deprimere il colosso feudale proteggeva l'affrancarsi del popolo; il popola che, giovandosi del favore de' re, da' baroni toglieva l'esempio di opporsi e resistere. In si gran tramestìo sociale e politico l'Italia si trovava naturalmente precedere tutto il resto d'Europa. La civiltà che in Italia tornava a destarsi repubblicana nel settentrione e nel centro, nel mezzogiorno rifioriva monarchica: colà più impregnata di tradizioni occidentali e latine ; qui di preferenza informata al contatto della orientale cultura. Innanzi al risorto e ringiovanito Occidente dovea l'Oriente oscurarsi e dileguarsi fra poco: allora sugli avanzi del mondo latino e del mondo barbarico rifletteva, quanto forse vi splendesse di meglio in lettere, in sapere ed in arti. La filosofia di Aristotile si accoppiava per le versioni e pe' comenti degli Arabi alla teologia delle scuole. L'algebra e le matematiche, insegnate nelle scuole degli Arabi, si spandevano di là per l'Europa. La medicina s'imparava negli Arabi. Al rimare degli Arabi s'ispirava il nuovo ciclo poetico che schiudeasi in Europa. L'architettura traeva dagli Arabi e da' Bizantini ad un tempo ornamenti e modelli; e nella lingua di que' Greci degradati e corrotti spirava sempre qualche aura e qualche idea più distinta de' classici antichi. Di fronte a ciò, sant'Anselmo, san Bernardo, Abelardo segnavano l'elevarsi più alto dell' ingegno e della dottrina in Occidente. La giurisprudenza con Irnerio e cogli allievi di lui faceva le prime sue prove, ma cercando nel vecchio dritto Romano inchiodare e costringere a forza la società rinnovantesi. E dovea correre un altro secolo ancora a san Tommaso ed a Dante. Verso il 1168, dopo la ritirata da Roma, il dispetto per l'appoggio e l'asilo che Guglielmo II prestava al pontefice dentro i propri suoi Stati, aveva nell'imperator Barbarossa ridestato pensieri di diretta invasione contro la monarchia di Sicilia: e spediva il suo cancelliere Rinaldo, arcivescovo di Colonia, che sollecitasse i Pisani, affinchè, ricordevoli degli obblighi assunti, il soccorressero del proprio navilio (Chronica varia pisana, presso Muratori, Ber. it. str., t. VI, f. 179. I progetti di Federigo in quell'anno contro la Sicilia sono anche accennati da Ottone di San Biagio, Chronicon, presso Muratori, voi. cit., f. 890.)

l Pisani che non vedevano le condizioni imperiali molto liete in quel tempo, preferirono acconciarsi col re: e mandarono ambasciatori nell'isola, i quali non riuscendo ad intendersi circa a' patti proposti, poco dopo si partirono senza effetto (Chron. Pia., loc. cit., f. 180. Il Testa (De vita et rebus gestis Guill. Il, lib. 3, f. 187) porta all'anno 1172 una seconda ambasceria de' Pisani, e, in sèguito a quella, ta pace conchiusa tra Guglielmo II e il Comune di Pisa. Ma nelta citata opera, allontanandosi dalla solita diligenza e dalla solita critica, questo insigne pubblicista siciliano non cita documenti autentici nè autori contemporanei, e sbaglia sovente sulla scorta di memorie inesatte o assai posteriori di data.)

II Comune di Genova inclinava ugualmente ad amichevoli accordi colla corte in Palermo. In popolare assemblea fu deciso spedire a Guglielmo solenne messaggio. Andarono Bellamuto, uno» de' Consoli, Ruggero Castro ed Amico Grillò, cittadini fra i più riputati, sopra una galera a grandi spese bellamente arredata. Ma falliva la pratica, ed anch'essi inutilmente ripassarono il mare. Aveano queste doppie trattative con Pisa e con Genova precesso la maggiore età di Guglielmo: dacch'egli assumeva decisamente il governo, il primo oggetto che venisse ad occupare la diplomazia della corte in Palermo fu il contrasto fra il proscritto primate ed il re d'Inghilterra, che avea, giusto allora, preso dimensioni siffatte da svegliare universale attenzione. La gran lite tra il sacerdozio e la potestà secolare, tra il pastorale e lo scettro, sembrava riprodursi colà in questo nuovo episodio. Il primate esiliato fulminava l'anàtema, il re tenea saldo: se non che nascevane una violenta turbazione in quel regno. Il re di Francia, onde alimentare molestie al suo temuto vicino, abbracciava la causa dell' esule; Alessandro III pontefice pendeva naturalmente a costui, ma il conflitto in cui trovavasi impegnato in Italia, e il timore di procacciarsi novello e potente avversario nel sovrano che reggea l'Inghilterra, gl'imponeva riguardi. In Sicilia la persecuzione sofferta dal Becket aveva (come innanzi toccammo) eccitato in principio un sentimento pietoso. Stefano, il Cancelliere-Arcivescovo, ebbe già ad attestargli soccorrevole cura: adesso Gualtiero Offamill, successore di Stefano nella palermitana diocesi, ne seguiva le tracce (Dalla epistota 66 di Pietro di Blois a Gualtiero Oftamill, tra le sue opere, f. 554, appare come l'arcivescovo si fosse costantemente mostrato sollecito della sorte del Becket.); ma da questa prima occasione pare essersi rivelato più o meno l'antagonismo che covava latente fra i due maggiori ministri di Guglielmo II. A parte della somiglianza di patria e di razza che legavalo al Becket, Gualtiero, straniero alla Sicilia e di professione ecclesiastico, animato anche da istinti sinceri di cattolico zelo, tendeva ad attirare Guglielmo in una via di concessioni alla Chiesa: il Protonotaro d'Aiello, spingendo e secondando Guglielmo nella sua politica di ostilità coll'Impero germanico, di alleanza con Alessandro III e i Comuni lombardi, mirava insieme a sostenere la piena indipendenza del regno, così come ad altri, rispetto alla curia di Roma. Per 1' autorità e per la parola di lui avveniva dunque che la dispula fra il re Enrico ed il Becket si presentasse nell'isola con più gravi colori : si vedevano in forse, di fronte alle pretese del clero, quelle civili franchigie, a cui tenea, più. che ogni altra, la monarchia di Sicilia; nè gli attuali rapporti di amicizia al Papato bastavano a vincere questo vivo e speciale interesse. Gli articoli che formavano in Inghilterra materia al contendere (diritto del re sulle rendite de' beneficii vacanti, obbligazione de'vescovi di giurare fedeltà alla corona, di sottostare, come gli altri sudditi tutti, alle pubbliche imposte, gli appelli dalle curie episcopali devoluti alla corona) non erano dubbii affatto in Sicilia, ma la prerogativa reale avevalia suo favore risoluti da un pezzo: in punto di giurisdizione e disciplina ecclesiastica 1'arbitrio del principe andava anzi più lungi; è vero bensi che poteva in Sicilia farsi forte della pontificia annuenza che mancava in Inghilterra ad Enrico (L'esempio della Sicilia e dell'Ungheria, ove il re godeva anche gli attribuii di Legato Apostolico, era uno degli argomenti, anzi il principale, ch'Enrico opponesse alle ragioni dell'arcivescovo di Canterbury. Però si legge in una delle di lui Epistole. « Frustraci ue nobis, auctore Domino, Siculorum aut Ungarorum. proponuntur esempla, quae nos in die judicii minime excusarent, si tyrannorum barbanera prseferremus apostolicis institutis, et sajcularium insolentiam Potestatum crederemus potius formam esse vivendi, quam testamentum aeternum confirmatum morte et sanguine fllii Dei. » Presso Baronio, Ann. eccl., an. 1168, n. 43) . Ciò che avea senza meno di animoso e di nobile la fermezza di un inerme prelato contro un re poderoso e superbo, spariva pel Protonotaro d'Aiello, e spariva ugualmente per la corte in Palermo: rimaneva una mera questione di principii e di massime. Enrico, sollecitando Alessandro a consentirgli la rimozione del Becket dal metropolitano suo seggio, commovea mezza Europa. Erasi in Italia rivolto financo a' Milanesi,a' Cremonesi, a' Parmigiani perchè intercedessero in suo favore presso il pontefice( Epistola di Tommaso Becket, presso Baronio, an. 1169, n. 3.);  a' Milanesi prometteva tremila marche per risarcire le mura della loro città (Giulìnt, Memorie storiche di Milano, t. VI, f. 272.): nell' isola otteneva infine che Roberto di Basseville conte di Lorotello e Riccardo Palmer, il vescovo di Siracusa, fossero delegati ambasciatori ad Alessandro in Anagni; e partivano, stringevano il papa, ma non potevano indurlo se non che a delegare suoi messi per comporre il litigio ( Ep. 80, lib, 3 nella raccolta delle lettere del Becket, presso Caruso, Bibl. Hist., t. Il, f. 984.): Riccardo Palmer tradiva i legami che l'univano al Becket per la speranza di conseguire nella propria sua patria il vescovato di Lincoln ( Ep. cit., presso Baronio, an. 1169, n. 3.). Il resto di quella contesa, quanto dire il ritorno del Becket all'antica diocesi per interposizione di Francia, la conciliazione simulata di Enrico, le acclamazioni del popolo intorno al ben amato pastore, l'assassinio di lui sull'altare, le proteste e la penitenza del re, sopra cui ricadeva l'accusa, potè ancora occupare le cronache e le leggende del secolo (Thierry, Hìst. de la Conquéle d'Ànglelerre, liv. IX, X). Innanzi alla crudele catastrofe, e quando i negoziati promossi da Enrico tuttavia dibattevansi, pare corresse di nuovo un progetto di nozze, ventilato altra volta sotto il vecchio Guglielmo, tra una figlia del re d'Inghilterra e Guglielmo II (« Nam et ipsi (gli emissarii del re Enrico II) Regi Siculo... ut eum caperent in perniciem Ecclesise, et nostram, filiam regis Anglia e coputandoli in matrimonio promiserunt. » Ep. cit. di Tommaso Becket, presso Baronio, an.1169, n. 13.)"

Il Palazzo Reale di Palermo. Storia di un antico monumento. Guglielmo II di Sicilia dall'ascesa al trono al 1174. Parte prima.


23 Novembre 2010.

Il Re Guglielmo I riuscì a sedare la rivolta facendo arrestare i baroni. Matteo Bonello finì in carcere, accecato e torturato. Analoga sorte toccò ad alcuni baroni  pugliesi che Guglielmo fece punire crudelmente (Palermo, Marzo del 1161). Altri riuscirono a salvarsi rifugiandosi in Abruzzo. Soggiogate le Puglie, Guglielmo marciò su Benevento, dove era il Papa coi conti di Loretello e di Rupecanina. Ma il Papa trovò più conveniente patteggiare; Guglielmo venne a patti, e si dichiarò vassallo della Santa Chiesa per i domini della terraferma, e, diversamente dagli avi che avevano mantenuto l'indipendenza della Sicilia, se ne fece investire dal Papa (26 giugno 1156). Fu tra i patti promessa vita e libertà ai baroni riparatisi a Benevento, purchè uscissero dal regno; ma Guglielmo fece accecare, scudisciare gettere in orride carceri i conti di Alesa e Tarsio; al conte di Squillace furno cavati gli occhi e mozzata la lingua; più fortunato fu il conte di Policastro, che morì prima di essere arrestato. Gli stessi nipoti naturali del re, Tancredi e Guglielmo, furono presi e confinati dentro la reggia di Palermo. Con queste ed altre crudeltà,istigate da Maione, furono domati i baroni.

Dopo questi sforzi, tornato a Palermo, il Re si immerse negli ozi e nelle lascivie; il regno restò in balia del predetto triumvirato. Morì a quarantasei anni il 07 maggio del 1166. Gli successe il figlio dodicenne,  Guglielmo II, sotto la reggenza della regina Margherita e dei tre ministri. Si fecero per tre giorni le pompe funebri, ma dicono gli storici, che quelle che lo piansero sinceramente furono le donzelle musulmane. Lasciò il regno in disordine e minacciato. Ebbe soprannome di Malo, in confronto al suo successore. Prima della sua morte fece erigere un castello delizioso che chiamò Zisa.

Guglielmo salì al trono tredicenne alla morte del padre Guglielmo I di Sicilia nel 1166 sotto tutela della regina madre Margherita di Navarra. Il regno di Sicilia veniva da un triste periodo di lotte intestine dovute ad una serie di lacerazioni fra la nobiltà, il clero ed il popolo probabilmente anche accentuato dal carattere poco mite di Guglielmo I. Divenuto maggiorenne, Guglielmo II venne incoronato Re di Sicilia nel 1172 con l'appoggio dell'arcivescovo Gualtiero, del clero e dell'aristocrazia. Di Guglielmo II, rispetto al padre, i cronisti dell'epoca sottolinearono spesso, oltre alla bellezza, la correttezza nell'esercizio delle funzioni ed il rispetto per le leggi ed il popolo, l'istruzione e la mitezza d'indole tutte qualità che valsero al normanno l'appellativo di Buono. Il re inoltre, riuscì a godere di un periodo di relativa stabilità e riappacificazione nelle relazioni fra le diverse fazioni.

Nel 1176 mandò il suo consigliere, l'arcivescovo di Capua Alfano di Camerota, a negoziare il matrimonio con la figlia di Enrico II d'Inghilterra, per instaurare un'alleanza fra gli Altavilla e i Plantageneti. La missione fu svolta con successo e la principessa fu condotta nella capitale. A Palermo il 13 febbraio 1177, Guglielmo sposò Giovanna Plantageneto (1165-1199), figlia del re Enrico II e sorella di Riccardo Cuor di Leone.

Il regno di Guglielmo fu particolarmente proficuo per le arti in Sicilia. Fra le opere avviate da Guglielmo merita una citazione il Duomo di Monreale, realizzato con il beneplacito di Papa Lucio III, e l'Abbazia di Santa Maria di Maniace, fortemente voluta dalla regina madre Margherita. Anche la splendida costruzione della Zisa, avviata dal predecessore Guglielmo I, fu completata sotto il suo regno.

L'atmosfera nel suo regno non era turbata da odio interreligioso; afferma Michele Amari: «E pur l'universale della popolazione non aborriva per anco i Musulmani ...; la voce del muezzin non facea ribrezzo nelle grandi città ... onde gli eunuchi, gaiti o paggi che dir si vogliano, esercitavano gli ufficii di corte sotto quel velo sottilissimo d'ipocrisia che li facea apparire cristiani...; Guglielmo accogliea con onore i Musulmani stranieri, medici e astrologhi e largìa denaro a' poeti ...; i Musulmani soggiornavano in alcuni sobborghi senza compagnia di Cristiani; un qâdî amministrava la loro giustizia; frequentavan essi le moschee e ciascuna era anco scuola: fiorivano i loro mercati...». La sua inusitata tolleranza verso i suoi sudditi musulmani (che tanto scandalizzava i cristiani benpensanti ed esasperava il Papa) viene attestata anche dal noto viaggiatore Ibn Jubayr che, nella sua Rihla (Viaggio), ricorda come nel terremoto del febbraio 1169, egli s'aggirasse nella reggia affermando ai suoi diversi servitori: «Che ciascuno preghi il Dio ch'egli adora! Chi avrà fede nel suo Dio, sentirà la pace in cuore» .
Secondo resoconti successivi al 28 agosto 1185, Guglielmo avrebbe chiesto ai suoi vassalli di giurare fedeltà a Costanza, sorella del padre, come sua legittima erede; è bene tuttavia non accordare troppo peso a questa testimonianza priva di concordanza nelle fonti.

Guglielmo venne sepolto ai piedi dell'altare maggiore del Duomo di Monreale, così che chi officiava la Messa doveva inginocchiarsi sulla tomba di Guglielmo. Il Cardinale Torres nel 1500 diseppellì il corpo del re e gli fece costruire un sepolcro rinascimentale, accanto a quello del padre Guglielmo I. 

"Plesso del corpo, di naso aquilino, di fulvi capelli come tutti della casa di Hauteville(« Erat autem ejus puer pulchritudinis, quae facilius quidem parem excludere videretur, quam superiorem admittere.» Falcando, f. 449. ). Nutrito fra le discordie e i disordini che segnarono il regno del padre, un giorno trovavasi a scuola col principe Enrico suo fratello, quando, invasa da' ribelli la reggia, il suo precettore Gualtiero Offamill dalle stanze inferiori trafugavali entrambi nella torre Pisana. Vide allora congiure, sedizioni, supplizi incessanti; vide e sentì più tardi gl'intrighi e i tumulti che non mancarono alla materna reggenza : potè quindi sospirare alla dolcezza di giorni più tranquilli e più lieti ; ma l'ereditario coraggio non gli dormìa nelle vene, e allorchè, sollevata Messina, il Cancelliere Stefano gli propose di marciare egli stesso e condurre l'esercito, un lampo di gioia brillò in volto al successore trilustre d' una stirpe di prodi. Ne' primi tempi erasi dedicato volentieri agli studi : il partecipar negli affari ne lo distoglieva in appresso(« Nam cum rex vester bene litteras noverit, rex noster [parla di Enrico II a" Inghilterra) longe litteratior est. Ego autem in laterali scienlia facultates utriusque cognovi. Scitis quod dominus rex Siciliae per armimi discipulus meus fuit, et qui a vobis versificatori atque litteratorise artis primitias habuerat, per industriam et sollicitudinem meam beneficium scientia e plenioris obtinuit. Quam cito autem egressus sum regnum, ipse libris abjectis, ad otium se contulit palatium. »);  pur serbavane in cuore vivo e caldo l'affetto. Leggeva e scriveva l'arabo ; e l'alaniah, ossia la divisa che prendeva a foggia musulmana, era « Lode a Dio, giusta è la sua causa. » L'alamah di suo padre era « Lode a Dio in riconoscenza de' suoi beneficii. » Le inclinazioni paterne, in quanto avevano di assolutamente orientale, non rivivevano in lui. Nell'animo aperto, generoso, solerte, temprato a tutt'altro che a un dispotismo voluttuoso, indolente, e, volta a volta, feroce, accoglieva una dose sincera di affetti e sentimenti cristiani istillatigli dalla madre spagnuola, e però ardente di fede tra le stesse debolezze del sesso, dalla voce de' dotti teologi cui fu dato a educare : tuttavia gli scrittori che ne' tempi più tardi vollero su quest' ultimo punto esagerar le sue lodi, caricarono e sfigurarono abbastanza il ritratto. Convertirono le virtù del monarca in una specie di ascetismo devoto : staccarono pienamente Guglielmo dalla musulmana atmosfera, in cui, ad ogni modo, era nato e cresciuto; ed avrebbero con molto scandalo loro, in certe memorie portate di recente alla conoscenza del mondo, veduto la reggia del re buono, del re casto in Palermo conservare i misteri ei diletti dell'antico serraglio (In quanto alle ancelle e alle concubine che tiene nel suo palazzo esse sono tutte musulmane. Il servo di corte che ha nome Iahia impiegato nella manifattura de drappi ove ricama in oro gli abiti del re ci ha raccontato su tal riguardo un altro fatto straordinario cioè che le Franche cristiane dimoranti nella reggia erano state convertite alla fede musulmana dalle sopradette ancelle che questo succede alla insaputa del re e che per altro tali donne sono assai zelanti nelle opere buone.); nè sarebbe per loro mancato anche prima qualche cenno delle allegre regate nel lago di Albeira colle sue concubine (Cum uxoribus suis Beniamino di Tudela Itinerario nella versione dall ebraico di Aria Montano presso Caruso Bibl. Hist .,t. II ,f .1000). La imitazione delle consuetudini arabiche dovea durare, nel tutto, quanto all'apparato e allo splendor della corte come alle maniere ed agli ordini della pubblica azienda. Se non che il potere di fatto che nel regno anteriore giungeva ad assumere il musulmano elemento, era venuto a declinare più sempre ne' quattro anni della successiva reggenza, in ispecie per le tendenze più decisamente occidentali e ortodosse del Cancelliere-Arcivescovo.


Epistola 66 di Pietro di Blois a Gualtiero Offamill arcivescovo di Palermo, tra le sue opere, f. 144. Nelle ultime parole è uno dei soliti maligni frizzi di Pietro. Ma la storia riconosce Guglielmo II  come principe non certamente disposto a poltrir nella reggia.

La popolazione infedele della città di Palermo avea con ardore concorso alla rovina di Stefano ; ma nel ministero novello si lasciava poca parte a chi dovea rappresentarla al governo: appena il solo gaito Riccardo fra dieci membri non musulmani di origine; nè vi si annoverava AbuT-Kasim, vero capo di tutto il partito. Degli altri nove, cinque apparteneano alla Chiesa; uno (il Protonotaro d'Aiello) a quella borghesia cortigiana già incarnata in Maione; tre (i conti di Geraci, di Molise e di Montescaglioso) all'alta aristocrazia signorile, riuscita infine a insinuarsi nuovamente con loro ne'regi consigli. Da principio sembrarono tutt'insieme accordarsi. Ma segnatamente tenevali uniti il comune interesse d'impedire una ricomparsa possibile del Cancelliere proscritto.


Col favore della innamorata regina a costui non difettavano aiuti ed avvocati al di fuori. Il re di Francia, Luigi VII, accreditava alla regina e a Guglielmo un certo Teobaldo, priore di Crèpy nel Valois, che passava in Levante per affari del certosino suo ordine ; e nelle lettere erano attestati della riconoscenza del re per la ospitalità ricevuta vent'anni prima in Sicilia al suo ritorno di Siria, proteste del desiderio sincero di contribuire con uffici ed esortazioni amorevoli alla gloria e prosperità di Guglielmo, raccomandazioni efficaci per la persona di Stefano, offeso ed espulso a torto per avversi maneggi, e il cui richiamo sarebbe di onore a Guglielmo, di consolazione non piccola al regno intero di Francia (Ad gloriam nominis cestri et regni Francorum consola tionem Presso Bréquigny Mim de l Académie des Inscrip et Bel. Lettr., vol.  LI, f. 625 e seg).


Tommaso Becket, l'arcivescovo di Canterbury, allora ricoveratosi in Francia, aggiungeva la propria sua opera ; e Io stesso priore Teobaldo ne recava una lettera alla regina Margherita, cui non erano su questo proposito necessari gl' incentivi del santo (Epistola 57 presso Caruso Bibl. Hist., t. II f. 983), di Siracusa, non ancora scopertosi malfido amico a Tommaso, al quale, però, quelle esortazioni in vantaggio di Stefano giungevano vane affatto ed inutili (Ep. 58 loc. cit. « Unum tamen est quod in aure vestra secretius consuluisse, rogasse et obiinuisse consideramus, ut nobilis viri Stephani, Panormitani Electi, revocationem diligenter procuretis apud Regem et Reginam, tum ob causas, quas in presenti de industria reticemus,tum ut prelati Regis et totius Regni Francorùm gratiam vobis eternaliter comparetis. » Ivi.).
 
II greco imperatore Manuele Commeno ed un' altra a Riccardo Palmer, l'Eletto neno, istigato, come pare, dal re Cristianissimo (Dopo la missione presso la corte di Sicilia il priore Teobaldo era incaricato di un altra presso l Imperatore di Costantinopoli Bréquigny f. 627), intercedeva ugualmente : certo corse voce nell' isola ch' ei pensasse restaurare, sino colla forza, il profugo illustre (Falcando f. 485); e ciò, probabilmente, col titolo che gli dava la qualità di futuro suocero del giovane re per le nozze proposte colla propria figliuola. Tra i nobili stessi che non erano pervenuti a introdursi nel nuovo governo, sembra ancora che molti, per uggia e dispetto, si fossero dati a sposare la causa del caduto ministro, e, fra essi, il conte di Lorotello, testè rivocato dall' esilio(Falcando f. 485-486).


Troncò quelle pratiche e le ultime speranze della regina Margherita l'annunzio della morte intempestiva di Stefano. Infermò in Gerusalemme di subito male, contratto per le angosce dell' animo : e spirato fra le braccia del re Almerico e degli altri principi franchi, che stavano intorno al suo letto, ebbe esequie e riposo nella chiesa del Santo Sepolcro (Guglielmo da Tiro , Historia, lib. XX parag. III, f. 977. Epistola 92 di Pietro di Blois, tra le sue opere, f. 167. Falcando, 486). Contemporaneamente arrivava a Gualtiero Offamill la pontificia conferma nello stallo ottenuto di palermitano arcivescovo.


Per non allontanarsi dalla reggia, e non lasciare a qualche accorto rivale opportunità di scalzarlo, aveva egli supplicato Alessandro III gli piacesse permettere che fosse consecrato da' suoi suffraganei. Il papa temporeggiò qualche tempo, a non darsi l'aria di precipitare il consenso (Falcando, f. 485), poi trasmettevagli il pallio per mezzo di quello stesso cardinal Giovanni di Napoli, del quale è menzione più sopra; e cosi, con insolito esempio, la consecrazione adempivasi il 28 settembre per le mani de'vescovi di Girgenti, di Mazzara e di Malta ( Romualdo Salernitano, f. 874. Diploma del 28 settembre 1169, presso Mongitore, Bulla, Privilegia et lustramento Panormitatus Ecclesia Metropolitanoe, Pan., 1734, f. 44.).

Da quell'ora una modificazione novella avvenia nel governo: la preminenza- restava all' Offamill  (Falcando, f. 486.); con lui entrava a dividere i principali maneggi il Protonotaro d'Aiello, che, dopo la cacciata di Stefano, aveva ripigliato le veci di Gran Cancelliere: durarono sotto a loro, con minori ingerenze, Riccardo Palmer (confermato già vescovo) il vescovo Gentile, il gaito Riccardo; l'arcivescovo Romualdo di Guarna fu accomiatato bellamente dalla corte e rimandato in Salerno alla propria diocesi; accomiatato con lui il conte d'Avellino, ch' era anche della parentela del re : i conti di Geraci e di Molise tornavano a'loro castelli, e di Rodrigo, il brutto conte di Montescaglioso, non si trova più affatto parola, talchè par verisimile che fosse rinviato - oltremare. La regina Margherita sempre più s'ecclissava e si tirava in disparte: il re, che avea preso ad amministrare di fatto, nel 1172 compiva infine i diciottenni ; e le lettere e i diplomi officiali, intitolati sino allora co' nomi di Margherita e Guglielmo, si veggono da quel tempo portare in fronte il solo nome di lai ( Diploma del 15 aprile 1172, presso Mongitore, op. cit., f. 46, e tutt' altri diplomi posteriori a quella data. L'ultimo atto che m'è avvenuto incontrare con il nome della regina Margherita, è una pergamena greca del novembre 1171, ove si parla dell' arconte Pro-Cancelliere e degli altri arconti della potente corte. Si vegga nella raccolta del signor Giuseppe Spata, Le Pergamene greche esistenti nel Grande Archivio di Palermo, f. 274.).
 
II senno precoce, la bontà, la mitezza del principe bastavano adesso a temperare i rapporti scambievoli tra i suoi consiglieri. Cessavano le vecchie gare di corte. In Gualtiero Offamill, il modesto grammatico alzato a primeggiare d'un tratto, potè far meraviglia il salire sì rapido e il trionfo di un' ambizione latente, non creduta nè sospetta finoggi; ma sotto a quella era pure uno zelo assai vivo verso il regio suo alunno. Il Protonotaro d'Aiello, non più costretto a implicarsi in tortuosi raggiri, doveasi mostrare nel migliore suo Iato: la capacità, la destrezza, la matura esperienza delle cose e degli uomini, la cura sollecita del patrio interesse e del patrio decoro. I grandi baroni non prepotenti, non rolti a licenza, ma neppure soffocati e schiacciati dalla mano di ferro che avea pesalo sovr'essi coll' antico Guglielmo : tornati a rimuovere (colla consueta politica della casa di Hauteville) dalle consulte più intime della reggia in Palermo, riserbati a'Parlamenti solenni, alle giurisdizioni ne' feudi, alle pompe ed agli onori del grado, ma tuttavia consapevoli che quel potere di corte non dovessse, oggi almeno,esercitarsi con mire sistematicamente per loro dannose e sinistre: le differenze di origine, di stirpe italiana o normanna, tendenti a indebolirsi più sempre nel comune sentimento di casta, ed in quello che gli legava del pari al suolo e alle fortune del regno. Fra le popolazioni diverse che vi abitavano insieme, un equo riguardo ch'estendevasi a tutte. I Musulmani, sopra i quali il prevalere della parte cristiana veniva con lento, ma continuo e irresistibil cammino crescendo ogni giorno, potevano con più mesto rammarico riportarsi col pensiero a que'tempi in cui le insegne normanne non erano comparse a soppiantare nell'isola gli stendardi del celeste Profeta; e nondimeno, contro le poco amiche intenzioni dell'aristocrazia signorile e della Chiesa oggidì dominante, trovavano sempre un appoggio nella persona del re, nella prerogativa sovrana. Al loro voto segreto : "Che Dio renda la Sicilia a' credenti !" si aggiungeva più apertamente quest'altro, alludendo a Guglielmo: « che Dio conceda loro il prolungamento di questa vita in perfetta sanità! » (Ibn-Giobair, Viaggio in Sicilia.) 

Succedeva dunque un periodo di riposo e d'ordine, di prosperità e sicurezza al di dentro. E ne' grandi fatti che agitavano il mondo potè la monarchia di Sicilia aver luogo condegno ad apparire e risplendere.In Occidente, la lotta tra il Sacerdozio e l'Impero, tra l'Impero e i Comuni italiani; in Oriente, la lotta tra la Cristianità e l'Islamismo, tra la mezzaluna e la croce, e l'urto reciproco dell' Europa e dell' Asia. La causa che aveva assunto Ildebrando, quella della indipendenza non solo, ma della universale supremazia della Chiesa, confondevasi all'altra delle libertà cittadine progredite in Italia. Il contrasto da entrambi simultaneamente impegnato, il trovarsi in presenza di uno stesso nemico stabiliva fra il Papato e i Comuni ribelli all' Impero vincoli necessari e ultimissimi ; le due quistioni, religiosa e politica, poterono così innanzi agli occhi degli uomini mostrarsi una sola: ed era illusione che il Papato doveva accortamente sfruttare a seconda de' proprii suoi fini e de' proprii disegni. Allora, in ogni modo, la illusione durava. Alessandro III pontefice, uscito di Roma, rimaneva in Benevento, ove le forze del regno seguivano a coprirlo e difenderlo : Federigo Barbarossa, abbandonate nel 1167 le infauste rive del Tevere, si ritraea per la Toscana a traverso gli Appennini, sfuggendo a stento il provocato sollevarsi de' popoli, salvo a stento da chi, tra i suoi fedeli, assicuravagli il passo. Svernava in Pavia e vi chiamava una dieta, ove co' rappresentanti di quattro sole città accorsero pochi e radi i feudatarii italiani: colà, gettato il guanto in mezzo all' adunanza, poneva al bando le città collegate; si limitava del resto, co' suoi scarsi Tedeschi e co' deboli aiuti raccolti in Italia, ad alcuni guasti su' territori di Milano e Piacenza. Nella primavera seguente ritornava quasi solo in Germania per la valle di Susa, travestilo, cercando nascondersi, s'è da prestar fede a una cronaca. E frattanto il 1 dicembre, congregatisi a nuova e più numerosa assemblea, i confederati di Pontida e quelli della prima Lega Veronese ripetevano il voto della mutua tutela e della mutua assistenza : v'erano deputati di Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Trevigi, Ferrara, Brescia, Bergamo, Milano, Lodi, Piacenza, Modena, Parma, Bologna: il re di Sicilia non era rappresentato al convegno, ma sapevasi avere i suoi messi giurato sostenere le città combattenti, e si avea la certezza che i soccorsi dell'isola non sarebbero per mancare all'impresa. Nel convegno tornavasi a dichiarare lo scopo comune di rivendicare e serbare le municipali franchigie godute dal tempo di Enrico V fino all'assunzione di Federigo al trono, non tollerando tutt' altri legami di padronanza imperiale: Venezia concorrerebbe col proprio navilio pel mare e pe' fiumi ; i collegati guarderebbero coll' esercito i suoi dominii di terra ; si partisse di buona fede il danaro apprestato dal re di Sicilia e dal greco imperatore Manuele Comneno, risarcendo prima Venezia di ciò che avea speso per legazioni a que' principi in pro della Lega ; si ristorassero a provvidenze comuni i danni delle città collegate, e i profitti del vincere si dividessero ugualmente fra loro; si obbligasse ciascuno a non fermare particolari trattati senza consiglio e volontà della Lega: supremi rettori avessero l'indirizzo de' federali negozii; ad essi la cura della comune difesa, la condotta della guerra, l'arbitrato de'dissidii reciproci, l'amministrazione del federale peculio, e, dove necessità lo volesse, la riforma degli statuti giurati ( II relativo documento può leggersi presso Muratori, Antiq.it., diss. XLVIII. Veggasi inoltre Tosti, Storia della Lega Lombarda, lib. IV, f. 342., Milano, 1860.)"
Fonte:-


Bibliografia:- 
  • Storia della Sicilia sotto Guglielmo il Buono  di Isidoro La Lumia, da pag. 119 a pag. 128;
  •  Ibn-Giobair, Viaggio in Sicilia sotto il regno di Guglielmo il Buono;
  • Tosti, Storia della Lega Lombarda, lib. IV, f. 342., Milano, 1860.
Linkografia:-

La frase di oggi.

23 Nov. 2010.

"Solo l'uomo colto e' libero."

Ricorrenze storiche di oggi, martedì 23 Novembre 2010.

 

 

 

 

 

Eventi 

domenica 21 novembre 2010

Calcio, serie A Tim: Catania 1 vs Bari 0. Cronaca della partita.

Il Catania batte oggi al Massimino per una rete a zero il Bari e mette tre punti importanti in cascina. Queste le fasi salienti della partita estrapolate dal sito ufficiale della società rossazzurra raggiungibile all'indirizzo internet http://www.calciocatania.it/ .

Queste le formazioni ufficiali:

CATANIA(4-1-4-1): Andujar, Alvarez, Silvestre, Terlizzi, Potenza, Izco, Biagianti, Mascara, Ricchiuti, Gomez, Lopez.

A disposizione di mister Giampaolo: Campagnolo,Ledesma, Morimoto, Marchese, Martinho, Sciacca, Llama.

BARI(4-4-2: Gillet, Belmonte, Raggi, Parisi, Rossi, Gazzi, Pulzetti, Alvarez, Galasso, Crimi, Caputo.

A disposizione di mister Ventura: Padelli, Rinaldi, Strambelli, Rana, Cilfone, Giandolfo, D'Alessandro.

Arbitra l'incontro il Sig. Russo di Nola.

1' Calcio d'inizio agli ospiti. L'arbitro ferma il gioco per verificare il pallone. Si riparte con una nuova sfera.

3' Cross su punizione di Mascara e colpo di testa di Terlizzi che si perde un metro a lato.

7' Primo tiro per gli ospiti, Alvarez di sinistro spedisce la sefra alta sulla traversa.

9' Ancora un'iniziativa dell' Honduregno del Bari. Questa volta il suo sinistro e' debole e impreciso.

13' Catania contratto. Caputo per il Bari prova il tiro dalla distanza ma non inquadra lo specchio della porta

16' Gillet para facilmente una punizione di Mascara.

17' Il Catania pian piano sta entrando in partita, destro in diagonale di Lopez; para Gillet in tuffo.

20' Adesso il Catania preme.

25' Ammonito Pulzetti per gioco falloso.

29' Tiro cross di Ricchiuti che finisce sulla parte alta della rete.

31' Il colpo di testa di Terlizzi sfiora il palo alla sinistra di Gillet.

34' Bari vicino al vantaggio, Potenza salva in scivolata su Caputo prima che l'attaccante appoggi in rete da pochi passi.

35' La risposta del Catania con una conclusione di Mascara che Gillet devia in corner.

38' Ammonito Rossi reo di aver atterrato Lopez al limite.

42' Gomez ci prova dai 20 metri ma il suo tiro sorvola la traversa.

45' Un minuto di recupero.

45'+1' Proprio allo scadere il Catania reclama un calcio di rigore per una trattenuta in area di Belmonte su Maxi Lopez.

Finisce il primo tempo con il risultato di Catania 0-0 Bari.

1' Il Catania sembra entrato con un altro piglio. Gomez impegna Gillet che mette in corner il tiro del laterale argentino.

4' Colpo di testa di Lopez alto.

7' Si scontrano inarea Parisi e Gillet ma Gomez non riesce a trovare lo spazio per calciare in porta.

8' Il gioco è fermoper soccorrere il portiere Belga.

12' Buona combinazione Gomez-Lopez-Gomez con tiro del folletto argentino che si perde sul fondo.

15' Nel Catania sostituisce Izco e Mascara con Ledesma e Llama. Più gemotria a centrocampo e un po' di spinta in piu' sulla fascia sinistra.

18' Buono l'impatto alla gara per i due nuovi entrati.

19' Gomez segna ma il Sig. Russo annulla per un presunta spinta del folletto argentino sul diretto avversario.

21' Il Catania spinge sospinto dal pubblico di fede etnea. Colpo di testa di Lopez un soffio a lato.

23' Tiro da dimenticare di Alvarez(CT)

26' Catania sicuramente più vivace in questa ripresa. Gillet blocca a terra un sinistro dal limite di Ricchiuti.

28' Nel Bari alvarez lascia il posto a D'Alessandro.

30' Ormai è solo Catania.

30' Ammonito Belmonte per fallo da dietro su Biagianti.

31' Ancora una parata di Gillet su tiro di Ricchiuti.

34' Espulso Maxi Lopez reo di aver protestato. Non si è capito l'ordine dei cartellini prima giallo, dopo subiti il rosso.

35' Ricchiuti lascia il posto a Morimoto.

37' GOOOOOOOOOOOOAAAALLL                    TERLIZZI   Catania 1-0 Bari

37' In 10 uomini il Catania riesce a passare con un colpo di testa di Terlizzi su un cross magistrale di Llama.

38' Nel Bari Rana prende il posto di Crimi.

44' Gillet blocca facilmente un colpo di testa di Morimoto.

45' Nel Bari Strambelli per Galasso.

45'+4' Dopo 4 minuti di recupero il Sig. Russo manda tutti negli spogliatoi. Il Catania vince di misura con una rete di Terlizzi al 37' del secondo tempo.

Calcio, serie A Tim: Cesena 1 vs Palermo 2. Cronaca della partita.

21 Novembre 2010.

Preziosa vittoria esterna per il Palermo allenato da Delio Rossi, che oggi pomeriggio allo stadio “Dino Manuzzi” ha superato 2-1 il Cesena, nel match valevole per la tredicesima giornata del Campionato di Serie A Tim. Dopo l’iniziale vantaggio rosanero siglato da Ilicic l’attaccante cesenate Bogdani aveva ristabilito la parità, ma nella ripresa ci ha pensato capitan Miccoli a mettere in fondo alla rete la palla dei tre punti. Ottima la partenza della formazione rosanero, subito in avanti dopo pochi secondi di gioco con il suo tridente Ilicic-Miccoli-Pastore ed è proprio quest’ultimo a conquistare un calcio d’angolo. Sugli sviluppi del corner, Bacinovic tenta la battuta da fuori ma è provvidenziale la respinta di Pellegrino. Al 5’ insidioso calcio di punizione di Ilicic, respinto con qualche affanno dalla difesa romagnola. Sul capovolgimento di fronte, il mancino di Giaccherini termina sull’esterno della rete. Al 9’ suggerimento di Bacinovic per Miccoli che ci prova dalla distanza, palla alta sopra la traversa. Due minuti più tardi il Palermo passa in vantaggio con Ilicic, che batte Antonioli  con un delizioso tacco esterno al volo sul cross dalla sinistra di Balzaretti. Al 13’ è sempre lo sloveno a rendersi pericoloso dalle parti della porta cesenate, ma il passaggio in verticale di Nocerino è troppo lungo e si spegne sul fondo. Al 15’ pericoloso traversone dalla destra di Giaccherini, Munoz fa buona guarda e allontana di testa. Un minuto dopo, la conclusione aerea di Appiah non centra il bersaglio. Al 19’ ennesimo mancino di Miccoli dal limite, palla in corner. Sugli sviluppi Munoz di testa manca di poco la porta. Al 23’ eccezionale triangolazione tra Pastore e Ilicic, ma la botta ravvicinata del Flaco viene neutralizzata da Antonioli. Un minuto dopo i padroni di casa pareggiano con Bogdani, che da pochi passi supera Sirigu su assist di Nagatomo. Immediata la risposta della squadra allenata da Rossi, che sfiora il gol con un colpo di test di Miccoli su cross dalla destra di Ilicic. Al 33’ pregevole parata di Sirigu sul potente destro di Appiah. Due minuti dopo, il calcio di punizione battuto da Miccoli viene respinto dalla barriera. Al 36’ Parolo su punizione non inquadra di poco lo specchio della porta difesa da Sirigu. Nel recupero Miccoli, ancora una volta su calcio di punizione, sfiora la traversa.
Dopo l’intervallo entrambe le formazioni ritornano in campo con gli stessi undicesimi del primo tempo. Al primo minuto della ripresa tiro-cross di Ilicic dall’out di destra, palla sul fondo. Al 6’ ci pensa capitan Miccoli a riportare il Palermo in vantaggio, con un gran destro che non dà scampo ad Antonioli, su assist di Cassani. Al 9’ destro di Colucci da fuori abbondantemente alto sopra la traversa. Un minuto dopo, è provvidenziale il salvataggio di Migliaccio sul temibile suggerimento di Bogdani alla ricerca di Giaccherini. Al 15’ miracolo di Sirigu sul tiro a botta sicura di Parolo. Un minuto dopo capitan Miccoli viene sostituito da Maccarone, mentre nel Cesena Schelotto prende il posto di Appiah. Al 18’ mancino di Giaccherini respinto in angolo da Sirigu. Al 22’ pregevole sinistro a giro di Ilicic, Antonioli si salva in angolo. Al termine dell’azione Rigoni prende il posto di Bacinovic. Al 32’ buona occasione per Jimenez, ma l’attaccante di casa manca il bersaglio. Un minuto dopo, Pastore lascia il posto a Goian. Al 34’ nel Cesena Malonga sostituisce Giaccherini. Al 37’ destro dal vertice di Schelotto, Sirigu para a terra senza problemi. Al 41’ ancora pericoloso il numero 7 bianconero, che però non riesce ad agganciare la sfera a pochi passi dalla linea di porta. Due minuti dopo il numero 46 del Palermo si fa trovare ancora una volta pronto sul destro dal limite di Malonga. Al 44’ violento sinistro di Ilicic respinto da Antonioli. Dopo quattro minuti di recupero De Marco fischia la fine: il Palermo torna alla vittoria lontano dal “Renzo Barbera” e sale al sesto posto della classifica a quota 20 punti. 

Il Palazzo Reale di Palermo. Storia di un antico monumento. Da Tancredi, conte di Lecce, a Corradino di Svevia.

Tancredi di Sicilia nel Liber ad honorem Augusti, 1196
 21 Novembre 2010.
 
Tancredi, conte di Lecce, figlio illegittimo di un Ruggero duca di Puglia (figlio di Guglielmo I), divenne re di Sicilia alla morte di Guglielmo II dopo una lotta dura e feroce tra i suoi fautori e i partigiani di un altro pretendente al trono, Ruggero conte d'Andria, la cui candidatura era sostenuta dai nobili. Correva l'anno del Signore 1189. Tancredi fu incoronato dall'arcivescovo di Palermo Gualtiero nel 1190. Il cronista Pietro da Eboli lasciò scritto che era incredibilmente brutto, definendolo "embrion infelix et detestabile monstrum", in un latino che non ha bisogno di traduzione. Il regno mostrava segni di sfaldamento; era lontana l'ombra dei due Ruggero che erano riusciti, con la loro filosofia a la loro tolleranza politica, a dare l'uguaglianza a tutti i cittadini. Dopo che Tancredi divenne re divampò una sorda lotta religiosa: pare che siano stati gruppi di cristiani ad attaccare il quartiere arabo di Palermo. La zuffa fu aspra e sanguinosa, frutto di una tensione a lungo repressa a giudicare dal fatto che già durante il regno di Guglielmo II, il viaggiatore arabo Ibn Jubair aveva scritto che " i musulmani di Palermo cercavano di salvare le rimanenti testimonianze della loro fede". Nel 1191, un anno dopo la sua incoronazione a Palermo, Enrico VI - marito della normanna Costanza d'Altavilla fin dal 1186 - veniva incoronato a Roma in seguito alla morte del padre Federico I il Barbarossa. Ed Enrico, ormai monarca, non perse tempo per scendere in Italia e occupare il regno di Sicilia rivendicato in nome della moglie. Fu una corsa precipitosa nelle contrade del sole: da Napoli passò a Capua e quindi a Salerno. Qui Enrico fu fermato dalle truppe inviate da Tancredi. La stessa Costanza cadde prigioniera, ma l'ultimo re di Sicilia, con impulso generoso, la lasciò libera dopo averle reso omaggio in considerazione della consanguineità. Mentre Tancredi si trovava ancora a Salerno, ebbe la notizia della morte dell'amatissimo figlio Ruggero, la qual cosa lo indusse a ritornare frettolosamente a Palermo. Si rinchiuse nella reggia prigioniero del suo dolore. Di là a poco, il 20 febbraio 1194, morì. Ci fu una nuova reggenza esercitata dalla vedova Sibilla in nome del figlio di Tancredi, Guglielmo III, che era ancora in giovane età, ma le difficoltà interne ed esterne resero ancora più drammatiche le ultime giornate della monarchia normanna. Enrico VI, ritornato all'assalto del sud, fece il suo trionfale ingresso a Palermo il 20 novembre 1194. E a Palermo dimostrò tutta la sua ferocia. Fece deportare in Germania Sibilla e i figli riserbando all'ancora giovanetto Guglielmo III la più miserevole fine: incarcerato venne accecato ed evirato. Le cronache riferiscono che il figlio di Federico I Barbarossa una volta a Palermo non esitò a far aprire la tomba che conteneva il corpo di Tancredi per impossessarsi di corona,scettro e degli altri regali ornamenti che erano stati sepolti con lui. Tra gli altri tesori asportati, anche il famoso manto, detto di Ruggero, che ora si trova in un museo di Vienna. Lo storico Kantorowicz nella sua opera su Federico II ha scritto: " nel 1195 arrivò al castello imperiale di Trifels, in Germania,una carovana di centocinquanta muli carichi d'oro, seta, gemme e oggetti preziosi; e si seppe che questa era solo una parte del bottino fatto dall'imperatore nella reggia normanna di Palermo". Con questa spoliazione si chiuse nel dramma la monarchia normanna: una pagina nera dopo una breve ma splendido racconto solare. Le vendette compiute a Palermo e altrove dal figlio dello svevo Federico Barbarossa, resero più cupo lo spegnersi della monarchia normanna in terra di Sicilia. Enrico VI, infatti, non sopravvisse a lungo alle sue malefatte e non poté quindi veder crescere il figlio, il futuro imperatore Federico II. Enrico VI, per l'appunto, che nel 1194 aveva profanato la tomba dell'ultimo re di Sicilia, Tancredi, sopravvisse solo tre anni alle sue scellerate imprese. Morì il 28 settembre 1197, quando aveva appena trentadue anni, pare in seguito a una febbre malarica che lo assalì dopo una battuta di caccia. Fu seppellito a Palermo nella cattedrale innalzata dall'arcivescovo Ofamilio. La vedova, Costanza di Altavilla, rimase con il figlioletto Federico che non aveva compiuto tre anni. Il futuro Federico II era nato il 26 dicembre 1194 a Jesi, la piccola città delle Marche nella quale quale la madre, colta dalle doglie, era stata costretta a fermarsi: e per fugare ogni dubbio su una maternità che si compiva dopo nove anni di matrimonio sterile,la quarantenne figlia di Ruggero II aveva chiesto di partorire sotto gli occhi di tutti. Per questo suo figlio nacque sotto un tendone eretto nella piazza del mercato. Dopo otto mesi dalla morte del padre, il 17 maggio 1198, l'erede di un trono illustre, venne incoronato re per volere della madre. Federico non aveva ancora compiuto quattro anni.

STUPOR MUNDI - FEDERICO II di Svevia

Ritratto di Federico II con il falco
(dal De arte venandi cum avibus)
Figlio (1194 -1250) di Enrico VI e di Costanza di Altavilla (1154 -1198)- figlia di Ruggero II re di Sicilia e sua erede al trono alla morte di suo nipote Guglielmo II detto il buono -, nipote di Federico I di Hohenstaufen,detto il Barbarossa (1121-1190), imperatore del Sacro Romano Impero. Orfano del padre a tre anni e della madre a quattro, fu affidato alla tutela del papa Innocenzo III, e poté solo nel 1208 assumere il governo effettivo del Regno di Sicilia e di Puglia, da molti anni preda delle fazioni. Recatosi poi in Germania, ne fu eletto re nel 1215, in contrasto con il guelfo Ottone IV, e nel 1220 ebbe pure, dal nuovo papa Onorio III, la consacrazione Kamil e ad incoronarsene re (1229) per eredità del suocero Giovanni di Brienne. Al ritorno riconquistò il regno meridionale, toltogli nel frattempo dal papa, e stipulò con lui la pace di S. Germano (1230). In seguito domò la ribellione del figlio Enrico (da lui fatto re di Germania) e la riscossa dei Comuni, riuniti in una seconda Lega Lombarda, che egli vinse a Cortenuova (1237).

Gregorio IX lo scomunicò una seconda volta (1239), e nel 1245 il Concilio di Lione lo dichiarò decaduto dal potere. Dopo di che gli furono successivamente contrapposti, in Germania, Enrico Raspe e Guglielmo d'Olanda; i Comuni lo sconfissero nel 1248 sotto Parma e nel 1249 fecero prigioniero a Fossalta suo figlio Enzo. L'anno appresso Federico veniva a morte nel Castel Fiorentino, in Puglia. Nella sua lotta contro i Comuni e il Papato, Federico II appare il continuatore dell'avo; ma fu in più uomo di cultura, legislatore, tempra di principe illuminato in pieno medioevo. Dedicò le maggiori cure al regno di Sicilia, ove tenne una splendida corte in Palermo. Fondò l'Università di Napoli (1224), e nuove città, tra cui Aquila; incoraggiò le attività economiche;promulgò le celebri Costituzioni di Melfi (1231), dando vita a un solido potere centrale. Famosi i suoi ministri: Pier della Vigna (che negli ultimi anni egli fece accecare per sospetto di tradimento), Taddeo di Suessa e Goffredo di Viterbo.

Coltissimo (conosceva cinque lingue), amò circondarsi di dotti, ricorrendo largamente anche ad arabi ed ebrei, con una spregiudicatezza che contribuì a dargli fama di eretico e perfino di Anticristo. Fu egli stesso scrittore:celebre il suo trattato latino Dell'arte di cacciare con gli uccelli. A lui si deve il sorgere di quella Scuola Siciliana, d'imitazione provenzale, che fu culla della poesia italiana: poesie in volgare italiano scrissero Federico, i suoi figli e i suoi ministri.Tra i molti figli, legittimi e illegittimi, furono particolarmente noti Enrico re dei Romani, Corrado (IV) che gli succedette, Federico principe d'Antiochia, Manfredi, Enzo, re di Sardegna.

Re Manfredi

Manfredi incoronato, da una Nova Cronica del Villani
Figlio naturale di Federico II e di Bianca Lancia, poi legittimato alla morte del padre, fu reggente del regno di Sicilia in nome del fratellastro Corrado IV. Quando questi morì, lasciando come erede il figlio di tre anni,  Corrado V (Corradino di Svevia), fece credere che Corradino fosse morto e si fece incoronare re di Sicilia (1258-1266). L'ostilità dei papi francesi, che concessero l'investitura del regno di Sicilia a Carlo I d'Angiò, gli impedì di portare a termine il suo programma politico. Fu sconfitto da Carlo I d'Angiò nella battaglia di Benevento(1266), dove morì combattendo valorosamente. Principe colto, perfetto cavaliere,soldato valoroso,fu personaggio di grande rilievo nella storia e nell'immaginazione dei contemporanei. Dante ne tratteggiò una stupenda figura nel canto III del Purgatorio.


CORRADINO di Svevia

Miniatura del Codex Manesse che illustra il quattordicenne Corradino di Svevia durante una falconeria.
Figlio di Corrado IV e di Elisabetta di Baviera (1252-1268), dopo la morte di Manfredi nel 1266, fu chiamato in Italia, e un anno dopo giunse a Roma trionfalmente accolto, dopo aver attraversato, non senza audacia, Verona, Pavia e la Toscana. Sconfitto da Carlo d'Angiò il 23 Agosto del 1268 nella battaglia aspramente combattuta nella Conca del Fucino, Corradino riuscì in un primo momento a fuggire,ma catturato presso Torre Astura, tradito dallo stesso Giovanni Frangipane che lo aveva ospitato, fu consegnato al re di Sicilia.Questi lo fece giudicare da un apposito tribunale e giustiziare a Napoli, nella piazza del Mercato, il 29 Settembre. La leggenda racconta che il sedicenne Corradino di Svevia abbia lanciato, prima di aver mozzato il capo, un guanto, raccolto tra la folla da Giovanni da Procida.


Bibliografia:

* M. Montanari. Storia Medievale. Roma -Bari, Laterza, 2005, ISBN 88-420-6540-4;
* S. Claramunt, E. Portela, M. Gonzales, E. Mitre. Storia del medioevo. Milano, B. Mondadori, 1997, ISBN 88-424-9333-3 ;
* Mille anni in Sicilia (Terza edizione maggio 2002), di Giuseppe Quatriglio, ISBN 88-317-6405-5, Marsilio Editori;
* La Sicilia di Federico II - Città, Castelli e Casali, di Ferndinando Maurici, edito dall'Accademia Nazionale di Scienze, lettere e arti di Palermo nel 1995.

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