Due.
“I Bagni TRIESTE-VIRZÌ e DELIZIA-PETRUCCI”
La via Messina Marine è da sempre
stata una arteria stradale di assoluta importanza strategica e di collegamento
fra il centro storico di Palermo e taluni Comuni della omonima provincia. Fra
di loro ve ne sono alcuni che, posti a sud-est del territorio del capoluogo,
spiccano per la loro grandezza e importanza storica: ricordo, in particolare, i
Comuni di Villabate, sede di un rinomato mercato ortofrutticolo, e di
Ficarazzi, il nome è di origine araba (Fakarazz è per l’appunto il nome arabo
di Ficarazzi, dal significato di «eccellente»), posto presso la foce del fiume
Eleuterio, solo per citarne alcuni. Perennemente congestionata dal traffico
veicolare, specialmente nelle ore di punta, la via Messina Marine consente, fra
l’altro, ai mezzi pesanti, del collaudato trasporto su gomma, e agli altri
autoveicoli che sbarcano al Porto di Palermo nelle prime ore del giorno,
provenienti dal continente, di dirigersi sia presso la zona industriale
Brancaccio, che in direzione dell’Autostrada Palermo – Messina – Catania, la
meglio nota A20-E90. Superata la via Ponte di Mare, strada in cui insiste un
ponte cittadino poco conosciuto che scavalca il fiume Oreto, nel punto in cui esso
finisce il suo percorso fluviale sfociando nel mar Tirreno, lasciateci alle
nostre spalle lo Stand Florio, o “Locanda del tiro a piccione”, il solarium
“Vittorio Emanuele III”, la ex Agrumaria, l’odierno Ospedale Buccheri – La
Ferla, inizia quel tratto di arenile in cui i panormiti dell’Ottocento, inizio
Novecento, usufruivano di uno dei tanti varchi al mare e del tanto decantato e
agognato stabilimento balneare pubblico denominato “Bagni della salute”[1];
esso, mi hanno sempre raccontato, era ubicato in seno alla contrada che nel
1928 era denominata dai palermitani lo “Sperone”, denominazione che non è mai
cambiata nel corso di tutti questi anni; poco prima di raggiungere detto
stabilimento balneare, sorgevano, sino alla fine degli anni Settanta - inizio
anni Ottanta del secolo scorso, gli stabilimenti balneari pubblici denominati
Bagni TRIESTE-VIRZÌ e DELIZIA-PETRUCCI. Da bambino ricordo che mio padre mi
portava spesso in spiaggia, presso uno dei due stabilimenti balneari il cui
varco di accesso principale era prospiciente la via G. Alagna, arteria stradale
in cui risiedevo e giocavo da bambino. Il mare blu cobalto che si poteva
ammirare all’epoca e la presenza di tanti molluschi e pesci che abboccavano a
ridosso del bagnasciuga (mio padre, ricordo, era solito utilizzare un rezzaglio
da pesca per l’occasione), era sinonimo della pulizia e della salubrità delle
acque (poi inquinatesi in seguito ai continui sversamenti delle acque reflue,
delle acque nere, provenienti dagli insediamenti abitativi e dai grossi
casamenti in cemento armato edificati nei quartieri Romagnolo e Sperone, oltre
che dalla presenza del collettore/oleodotto per lo sversamento/instradamento
degli idrocarburi, già depositati all’interno delle stive delle petroliere di
media stazza che, dopo aver gettato l’ancora in mare, si agganciano ad esso per
liberarsi del loro prezioso liquido: questo, successivamente, sarà poi stoccato
nel vicino deposito per idrocarburi dell’AGIP, in località Acqua dei Corsari).
Nei pressi dell’attuale albergo Villa D’Amato, ricordo che era ubicata la
scuola dell’infanzia da me frequentata; di quel periodo della mia vita ho
ancora oggi un vivido ricordo: in particolare, mi sovviene in mente l’odore che
esalava da quel paniere in vimini che mamma mi consegnava la mattina presto perché
io potessi consumare, qualche ora dopo, le merende in esso contenute.
Negli anni Ottanta del secolo
scorso, purtroppo, questo tratto viario di assoluta importanza per Palermo
passò alla ribalta della cronaca nera dell’epoca per l’omicidio, di stampo
mafioso, dei signori PERLONGO e FIORELLINO, detto “ù ciuriddu”, e di altri
personaggi di cui, al momento, non ho memoria.
Il primo venne assassinato
all’interno dell’area di servizio di un distributore di carburanti, uno dei
tanti presenti a ridosso di detta via; l’altro, più anziano di PERLONGO, mentre
era seduto su una sedia a sdraio, la cosiddetta “durmusa”, che questi aveva aperto, per la sua siesta pomeridiana,
nei pressi della scalinata della Chiesa San Giovanni Bosco, a poca distanza dal
varco d’ingresso dei Bagni DELIZIA - PETRUCCI. Del primo e del secondo
assassinio di mafia ne venni a conoscenza per averlo appreso de relato; del secondo omicidio di
stampo mafioso in danno della persona agnominata “ù ciuriddu”, che avvenne
quando io ero poco più che un ragazzo, ricordo che ne rimasi più impressionato,
sia per le modalità di azione del gruppo criminale che fece fuoco sul quel
povero corpo martoriato, sia per la particolare scelta del commando di fuoco di
porre fine alla vita di quell’uomo nel luogo in cui questi spesso si recava per
giocare a carte con altri suoi coetanei. Poi, mi rimase impresso nella mia
memoria perché quel luogo in cui si consumò quell’efferato delitto era ubicato
nei pressi del litorale da me frequentato sin da bambino, unitamente ai miei
genitori e fratelli, ove giocavo, ridevo, scherzavo, ero felice. Quel medesimo
luogo, purtroppo, oggi l’inquinamento cittadino lo ha reso impraticabile alla
balneazione. All’epoca dei fatti, come tutti i bambini del quartiere, del
resto, io apprendevo degli omicidi di stampo mafioso che man mano si
consumavano a Palermo solo quando facevo rientro a casa, per pranzare o per
cenare con gli altri componenti il mio nucleo familiare. A tavola, spesso, si
esordiva dicendo:
«...ù sai a cu ammazzaru steinnata?»
«A cu?» Di seguito venivano raccontati, dai familiari che ne avevano
avuto contezza, gli orrori che Cosa Nostra aveva commesso quel giorno a
Palermo, con dovizia di particolari e non sdegnando di raccontare ai commensali
circa le modalità dell’azione criminosa compiuta dal commando di fuoco, oltre
che dei particolari legami parentali di questo o di quell’uomo ucciso con dei
soggetti che alcuni di noi, per svariati motivi, avevano conosciuto o
frequentato.
La paura di essere ucciso
accidentalmente dal commando di fuoco che aveva ricevuto l’ordine di accoppare
“ddù fitusu” di turno, era talmente
alta in quegli anni “di piombo” che difficilmente i negozi rimanevano aperti
all’imbrunire. Il terrore, la trepidazione, l’angoscia si impossessava delle
menti degli abitanti del quartiere all’ora dei Vespri così rapidamente che si faceva
piombare il quartiere, (ma ricordo che in quel periodo fossero tutti i
quartieri cittadini a vivere la stessa sorte), all’ora del coprifuoco. Si
viveva male all’epoca. Nessun quartiere, a differenza di oggi, la sera era più
frequentato di altri non essendoci, di fatto, alcuna movida cittadina.
Palermo era in preda al crimine.
Palermo aveva paura del crimine. Troppi morti ammazzati. Una vera e propria
mattanza di esseri umani. I Corleonesi sparavano all’impazzata per conquistare
la città e il predominio di essa, senza alcun ritegno e senza remore, divenendo
in poco tempo la fazione egemone: imperversava per le vie della città la
seconda guerra di mafia. Gli interessi della mafia del tempo per il traffico
internazionale di eroina, avevano fatto piombare Palermo in un vero e proprio
inferno: un girone Dantesco, direbbe qualcuno.
I quotidiani locali, L’Ora e il Giornale di Sicilia, puntualmente e con dovizia di particolari
rendevano edotti i palermitani degli efferati delitti posti in essere dai
Corleonesi di Salvatore Riina. L’Ora,
in particolare, arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le vittime
dei conflitti tra fazioni mafiose rivali. Tra le vittime di Cosa Nostra vi
furono anche personaggi come Pio La Torre, principale artefice della Legge Rognoni-La
Torre, e il generale dell’Arma dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa. Le
vicende della seconda guerra di mafia furono trattate all’interno del Maxi I,
istruito dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il giorno dell’Epifania del
1980, si registrò il primo degli omicidi eccellenti: l’omicidio del Presidente
della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella; egli fu ucciso perché voleva
portare avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale,
recidendo ogni contatto mafioso. Giuseppe MARCHESE riferirà sull’omicidio[2],
asserendo che gliene parlarono Leoluca Bagarella e Salvatore Madonia. Marchese
racconterà alla Corte, presidente AGNELLO, giudice a latere SAGUTO: - […] eravamo in carcere a Trani. Era il 1985.
Leoluca e Salvino parlavano di imbrogli politici, di appalti, di affari
comunali. Ad un certo punto salta fuori il nome di Vito Ciancimino. Leoluca
spiega che Mattarella è stato ucciso per divergenza con Ciancimino. Anzi,
ricordo che aggiunse: Mattarella è stato ammazzato perché stava cercando di far
fuori la corrente di Ciancimino. Allora mi intromisi e chiesi a Leoluca: - ma
perché Vito Ciancimino è vicino a noi? - Leoluca mi guardò e rispose: - Altro
che vicino a noi, Ciancimino è uomo d' onore della mia famiglia, della famiglia
di Corleone. -
Il secondo capitolo di "Brancaccino! Ù sai a cu ammazzaru steinnata?"; "Che cosa scrivo adesso?" è intitolato "I Bagni TRIESTE-VIRZÌ e DELIZIA-PETRUCCI" e si concentra sulla descrizione di due stabilimenti balneari pubblici situati lungo la Via Messina Marine a Palermo. L'autore, Francesco Toscano, ricorda con nostalgia la sua infanzia trascorsa in questi luoghi, quando suo padre lo portava in spiaggia.
RispondiEliminaIl capitolo si apre con una descrizione della Via Messina Marine, un'arteria stradale importante che collega il centro di Palermo con i comuni limitrofi. Toscano evidenzia l'importanza strategica di questa strada, trafficata sia da mezzi pesanti che da autoveicoli. Lungo la Via Messina Marine, superato lo Stand Florio, sorgeva un tratto di arenile dove i palermitani dell'Ottocento e del Novecento si recavano per godere del mare.
Toscano ricorda con particolare affetto i Bagni TRIESTE-VIRZÌ e DELIZIA-PETRUCCI, due stabilimenti balneari pubblici molto popolari fino alla fine degli anni Settanta. Descrive il mare pulito e la presenza di pesci e molluschi. L'autore contrappone questa immagine idilliaca alla successiva degradazione ambientale causata dagli scarichi fognari e industriali.
In sintesi, il secondo capitolo di "Che cosa scrivo adesso?" è un viaggio nostalgico nei ricordi d'infanzia dell'autore, che rievoca i luoghi e le atmosfere della Palermo degli anni Settanta. La descrizione dei Bagni TRIESTE-VIRZÌ e DELIZIA-PETRUCCI, ormai scomparsi, assume un valore simbolico, rappresentando un passato idealizzato che si scontra con la realtà presente del degrado ambientale.