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venerdì 31 maggio 2024

“Ù sai a cu ammazzaru steinnata?” - "Che cosa scrivo adesso?" - Di Francesco Toscano. Due.

 

La spiaggia di Romagnolo, Palermo


Due.

 

La via Messina Marine è da sempre stata una arteria stradale di assoluta importanza strategica e di collegamento fra il centro storico di Palermo e taluni Comuni della omonima provincia. Fra di loro ve ne sono alcuni che, posti a sud-est del territorio del capoluogo, spiccano per la loro grandezza e importanza storica: ricordo, in particolare, i Comuni di Villabate, sede di un rinomato mercato ortofrutticolo, e di Ficarazzi, nome di origine araba (Fakarazz è per l’appunto il nome arabo di Ficarazzi, dal significato di «eccellente»), posto presso la foce del fiume Eleuterio, solo per citarne alcuni. Perennemente congestionata dal traffico veicolare, specialmente nelle ore di punta, la Via Messina Marine consente, fra l’altro, ai mezzi pesanti, del collaudato trasporto su gomma, che sbarcano al Porto di Palermo nelle prime ore del giorno, provenienti dal Continente, di dirigersi sia presso la zona industriale Brancaccio, che in direzione dell’Autostrada Palermo – Messina – Catania, meglio nota come A20/E90. Varcata la via Ponte di Mare, strada in cui insiste un ponte cittadino poco conosciuto che scavalca il fiume Oreto, nel punto in cui finisce il percorso fluviale sfociando nel mar Tirreno, superati lo Stand Florio o “Locanda del tiro a piccione”, il solarium “Vittorio Emanuele III”, oltre che l’odierno Ospedale Buccheri – La Ferla, inizia quel tratto di arenile in cui i panormiti dell’Ottocento, inizio Novecento, usufruivano di uno dei tanti varchi al mare e del tanto decantato e agognato stabilimento balneare pubblico denominato “Bagni della salute”[1]; esso, mi hanno sempre raccontato, era ubicato in seno alla contrada che nel 1928 era denominata dai palermitani lo “Sperone”, denominazione che non è mai cambiata nel corso di tutti questi anni; poco prima di raggiungere detto stabilimento balneare, sorgevano, sino alla fine degli anni Settanta - inizio anni Ottanta del secolo scorso, gli stabilimenti balneari pubblici denominati Bagni TRIESTE-VIRZI e DELIZIA-PETRUCCI. Da bambino ricordo che mio padre mi portava spesso in spiaggia, presso uno dei due stabilimenti balneari il cui varco di accesso principale era prospiciente la via G. ALAGNA, arteria stradale in cui risiedevo e giocavo da bambino. Il mare blu cobalto che si poteva ammirare all’epoca e la presenza di tanti molluschi e pesci che abboccavano a ridosso del bagnasciuga (mio padre, ricordo, era solito utilizzare un rezzaglio da pesca per l’occasione), era sinonimo della pulizia e della salubrità delle acque (poi inquinatesi in seguito ai continui sversamenti delle acque reflue, delle acque nere, provenienti dagli insediamenti abitativi e dai grossi casamenti in cemento armato edificati nei quartieri Romagnolo e Sperone, oltre che dalla presenza del collettore/oleodotto per lo sversamento/instradamento degli idrocarburi, già depositati all’interno delle stive delle petroliere di media stazza che, dopo aver gettato l’ancora in mare, si agganciano ad esso per liberarsi del loro prezioso liquido: questo, successivamente, sarà poi stoccato nel vicino deposito per idrocarburi dell’AGIP). Nei pressi dell’attuale albergo Villa D’Amato, ricordo, era ubicata la scuola dell’infanzia da me frequentata; di quel periodo della mia vita ho ancora oggi un vivido ricordo: in particolare, mi sovviene in mente l’odore che esalava da quel paniere in vimini che mamma mi consegnava la mattina perché io potessi consumare le merende in esso contenute.

Negli anni Ottanta del secolo scorso, purtroppo, questo tratto viario di assoluta importanza per Palermo passò alla ribalta della cronaca nera dell’epoca per l’omicidio, di stampo mafioso, dei signori PERLONGO e FIORELLINO, detto “ù ciuriddu” e di altri personaggi di cui, al momento, non ho memoria.

Il primo venne assassinato all’interno dell’area di servizio di un distributore di carburanti, uno dei tanti presenti a ridosso di detta via; l’altro, più anziano di PERLONGO, mentre era seduto su una sedia a sdraio, la cosiddetta “durmusa”, che questi aveva aperto, per la sua siesta pomeridiana, nei pressi della scalinata della Chiesa San Giovanni Bosco e poco distante dai Bagni DELIZIA - PETRUCCI. 

Del primo e del secondo assassinio di mafia ne venni a conoscenza per averlo appreso de relato; del secondo omicidio di stampo mafioso in danno della persona agnominata “ù ciuriddu”, che avvenne quando io ero poco più che un ragazzo, ricordo che ne rimasi più impressionato, sia per le modalità di azione del gruppo criminale che fece fuoco sul quel povero corpo martoriato, sia per la particolare scelta del commando di fuoco di porre fine alla vita di quell’uomo nel luogo in cui questi spesso si recava per giocare a carte con altri suoi coetanei. Poi, ne rimasi impresso perché quel luogo in cui si consumò quell’efferato delitto era ubicato nei pressi del litorale da me frequentato sin da bambino, unitamente ai miei genitori e fratelli, ove giocavo, ridevo, scherzavo, ero felice. Quel medesimo luogo, purtroppo, oggi l’inquinamento cittadino lo ha reso impraticabile alla balneazione. All’epoca dei fatti, come tutti i bambini del quartiere, del resto, io apprendevo degli omicidi di stampo mafioso che man mano si consumavano a Palermo solo quando facevo rientro a casa, per pranzare o per cenare con gli altri componenti il mio nucleo familiare. A tavola, spesso, si esordiva dicendo:

 - “...ù sai a cu ammazzaru steinnata?

- “A cu?”; di seguito venivano raccontati, dai familiari che ne avevano avuto contezza, gli orrori che Cosa Nostra aveva commesso quel giorno a Palermo, con dovizia di particolari, non sdegnando di raccontare ai commensali circa le modalità dell’azione criminosa compiuta dal commando di fuoco, oltre che dei particolari legami parentali di questo o di quell’uomo ucciso con dei soggetti che alcuni di noi, per svariati motivi, avevano conosciuto o frequentato.

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