Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

sabato 4 gennaio 2025

"Brancaccino! Ù sai a cu ammazzaru steinnata?”; -Che cosa scrivo adesso? -. Capitoli Dieci e Undici.

 

Dieci.

 

“La mia nuova bici da cross”

 

È l’alba. A Romagnolo il risveglio degli abitanti del quartiere è lento, calmo. La Moka è già sul fornello che borbotta e a breve il suo prezioso carico di caffè salirà a galla. Il profumo di caffè appena liquefatto satura l’angusta cucina in cui abitiamo e si diffonde in tutte le altre stanze della nostra modesta abitazione. Per strada non c’è anima viva. Le autovetture sono parcheggiate lungo la via G. Alagna, a lisca di pesce. Mio padre possiede una Fiat 127 di colore verde bottiglia, che ha appena acquistato, a rate, e che dice che rivenderà al più presto; anch’essa è parcheggiata lungo la via in cui abitiamo, difronte il portone d’ingresso, così come le altre autovetture degli altri condomini che abitano nella nostra stessa palazzina a due piani, tre col terrazzo verandato. Il mese scorso i ladri hanno rubato tutte e quattro le ruote dell’auto di mio padre, facendocela ritrovare poggiata su due mattoni di tufo giallo, quelli usati nel cantiere edile ubicato a pochi metri da casa. Oggi è sabato 2 dicembre; mancano 23 giorni al Natale del 1978. Dalla camera che condivido con mio fratello, ampia e ben squadrata, che funge anche da soggiorno, vengo svegliato dall’odore pungente del caffè che mamma e papà si stanno preparando per la colazione mattutina, benché la sveglia mattutina programmata la sera precedente da mio padre sia già suonata alle 6:00 in punto. Con non poca fatica mi alzo dal letto, ricavato in un vano dell’armadio a ponte del soggiorno, fatto da un bravo falegname su specifiche fornitegli da mia madre; mi reco in bagno a fare pipì: sono le 7:15, è tardissimo! Mio fratello al mio risveglio, mi guarda sottecchi e si gira dall’altra parte della stanza, con lo sguardo rivolto verso la porta finestra che chiude il balcone che si affaccia su via Alagna. Fa freddo. Ci sono circa dieci gradi Celsius. A marzo, 5 giorni dopo l’equinozio di primavera, ho compiuto 9 anni. Il mio compleanno quest’anno è caduto di martedì. Io, però, sono nato di venerdì. Quest’anno ho festeggiato in maniera diversa il mio compleanno, giacché sono rimasto profondamente impressionato e scosso dalla strage di via Fani, avvenuta a Roma il 16 marzo, in seguito al quale è stato rapito Aldo Moro e barbaramente trucidati cinque uomini della sua scorta. Oggi è un giorno speciale sia per me che per mio fratello. Mamma e papà ieri ci hanno detto che saremmo andati in via Divisi a comperare le nostre nuove biciclette. Mio fratello insiste per avere una Graziella. Io voglio una bicicletta da cross. Come sempre finirà che litigheremo, perché mio fratello, più piccolo di me di due anni, dirà che io ho ricevuto il regalo più bello. Le nostre vecchie bici sono oramai troppo piccole per noi. Facciamo fatica a pedalare e rischiamo di cadere rovinosamente sull’asfalto di catrame. Io, volendoci riflettere, essendo più grande di mio fratello, non mi posso proprio accontentare della Graziella: con una Graziella come faccio ad emulare i miei eroi di CHiPs, Ponch e Jon, che sfrecciano con le loro Kawasaki KZ per le strade di Los Angeles, in California? È troppo lenta e goffa la Graziella per me; non posso pavoneggiarmi. Farei una figura barbina con i miei amici, con i quali già litigo per svariati motivi. Mamma e papà ci hanno detto che sarà il nostro regalo di Natale. Io ho imparato a pedalare qualche anno fa, con una bici più piccola di quella che riceverò in regalo. Qualche foto, conservata nell’album di famiglia e che mia madre conserva come se fosse una reliquia, raffigura sia me che mio fratello Filippo mentre siamo in sella alle nostre due vecchie bici, sorridenti e felici. Ci abbiamo giocato così tanto che sono mezze distrutte. Ho imparato a pedalare e stare in sella alla mia bici a Villa Giulia, una domenica mattina del ’75. In Tv si parla ancora delle Brigate Rosse e della tragica fine del Deputato della Camera e Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, ucciso barbaramente a maggio di quest’anno, dopo cinquantacinque giorni di prigionia. Il TG dice che Moro quest’anno, nel mese di gennaio, ha ricevuto nel suo studio di via Savoia, a Roma, Piersanti Mattarella, Michele Reina e Rino Nicolosi, per parlare della costituenda Giunta regionale della Sicilia. Boh! Io mi annoio con questi discorsi politici, mentre mio padre non aspetta altro che sentire le notizie del TG, la sera, mentre siamo tutti e quattro seduti a tavola intenti a cenare. Dopo aver fatto colazione questa mattina con una tazza di latte caldo e biscotti Colussi, mi sono messo la tuta da ginnastica, le scarpe da tennis, e sono sceso per strada, in quanto papà mi ha detto che per l’acquisto della bici se ne sarebbe riparlato la prossima settimana, dopo l’Immacolata. Ho preso lo zaino verde militare dove custodisco quaderni e libri e mi sono avviato, a piedi, verso la scuola elementare che frequento. Ormai sono grande e mamma mi ha detto che non c’è più di bisogno che mi accompagni lei a scuola. Mio fratello, invece, che è più piccolo, oggi lo accompagna a scuola mamma, giacché dice che sarà impegnato per una recita scolastica: Peter Pan. Filippo frequenta un’altra classe; ha altri amichetti e altri compagni di gioco. È troppo piccolo per fare le stesse cose che faccio io. Io frequento la quarta elementare, mio fratello la seconda. Gli voglio un bene dell’anima, anche se abbiamo due caratteri totalmente diversi e spesso litighiamo.

***

Sono passati 46 anni da allora. Le bici, così come ci avevano promesso i nostri genitori, li ricevemmo in dono il giorno di Santa Lucia del 1978. Mamma e papà quell’anno ci dissero che quello sarebbe stato l’unico regalo che avremmo ricevuto sia per il Natale del 1978, che per l’Epifania del 1979. I soldi erano davvero pochi e i sacrifici dei nostri genitori tanti; i soldi che papà guadagnava in Fiat bastavano solo per pagare l’affitto di casa, le bollette, per la spesa, per lo studio: i regali, potevano attendere. Quell’anno, però, i nostri desideri furono esauditi. Io e Filippo quell’anno toccammo il cielo con un dito in sella alle nostre bici luccicanti. La mia me la ricordo ancora: rosso fuoco, con le stampigliature nere accese lungo la carena. Due specchietti retrovisori. Una sella lunga e nera, che terminava con un piccolo poggia schiena. Una figata!


 

Undici.

 

“Io, playmaker”

 

Mi accingo a varcare l’ingresso di scuola, l’istituto “Don Luigi Milani”, di viale dei Picciotti. Oggi è un giorno speciale per me, e sono entusiasta. Il mio insegnante di Educazione Fisica, l’altro ieri, dopo un provino di circa due settimane, ha deciso che io sarei divenuto il nuovo playmaker della squadra di basket della scuola, che sta disputando il torneo under 14 regionale, con altalenanti risultati. Sostituirò un altro ragazzo che si è trasferito con i genitori in un altro quartiere della città, giacché suo padre, insegnante di Italiano, ha ottenuto la cattedra in un altro istituto cittadino; egli per raggiungere agevolmente la nuova sede lavorativa e non impelagarsi nel traffico mattutino di via Messina Marine ha deciso che fosse stato meglio per tutta la sua famiglia trasferirsi in un altro contesto abitativo: suo figlio, però, il mio amico Lorenzo, non è affatto contento di questa sua decisione, che ritiene un’idea poco felice. Ha pianto tanto, tantissimo, perché di botto deve mollare tutto e cambiare quartiere, compagni di scuola e salutare, forse per sempre, i suoi vecchi amici d’infanzia con cui ha trascorso dei momenti felici negli ultimi anni. Lorenzo ha cominciato a isolarsi dal mondo che lo circonda. L’ho rivisto in parrocchia qualche giorno fa, mentre se ne stava in disparte, seduto su di una panca, tutto solo soletto. L’ho salutato affettuosamente ed egli mi ha detto, ancora in lacrime, che la sua vita fosse finita: io l’ho pregato di farsi coraggio, di reagire, precisandogli che non sono queste le cose brutte della vita. Gli ho detto che avrebbe trovato nuovi compagni di gioco, nuovi amici, e che i suoi vecchi amici, quando egli avesse voluto, li poteva venire a trovare anche utilizzando i mezzi pubblici. Che ci sarebbe voluto davvero poco per metabolizzare questo nuovo cambiamento di vita. È ancora inverno. L’inverno del 1981 è davvero freddo. Le vette che circondano Palermo sono innevate. Ha nevicato anche a Villagrazia e in altri quartieri cittadini. Noi non ci siamo abituati a queste temperature e speriamo che il freddo lasci ben presto quest’aria geografica della Sicilia e ci consenta di essere nuovamente baciati dal Sole. La città negli ultimi giorni è ancora di più attanagliata nel traffico veicolare: i palermitani, già indisciplinati nella normalità mentre si trovano alla guida dei loro autoveicoli, con il nevischio che copre il manto stradale non ci hanno capito più nulla e sembra di stare sulla pista di un autoscontro del Foro Italico, piuttosto che per le vie di una città che si definisce civilizzata. Gli incidenti non si contano più. Regna il caos a Palermo. Oggi è il 9 di gennaio. Ieri, verso le 22:00, ha cominciato a piovere violentemente. Il bidello, Maurizio, parlando con una sua collega, la signora Maria, questa mattina le diceva, durante la pausa caffè, che sembra di rivivere le stesse vicende che hanno vissuto i palermitani nel 1744: questo, a suo dire, è quello che gli ha raccontato Don Giuliani, che insegna Religione qui a scuola, quando crollò, per la più grande ondata di gelo e neve che colpì Palermo, la Sacrestia del convento di San Domenico. Alla radio questa mattina lo speaker ha detto che Castelbuono sembra un paese delle Alpi Graie, a ridosso del Monte Bianco, e che per la tormenta di neve che si è abbattuta in paese nei giorni scorsi si è interrotta l’erogazione di energia elettrica e che le strade sono impraticabili: una situazione drammatica stanno vivendo quei poveretti. Il Giornale di Sicilia di oggi, nelle prime pagine, descrive la situazione in cui versa Monreale, che si è risvegliata sotto mezzo metro di neve ieri mattina. Molte scuole della provincia sono chiuse. Io, però, sono contento di essere venuto a scuola questa mattina. Questa mattina mi ha lasciato mio padre a scuola, dopo che abbiamo accompagnato mio fratello alla Franchetti. In lontananza scorgo il professore Milazzo, il mio insegnante di Educazione Fisica. Mi saluta e mi fa l’occhiolino. Sono felice! Benché io sia il più basso della squadra in cui giocherò, riesco, palleggiando con maestria, a farmi spazio fra gli avversari e far correre sino a canestro i miei compagni. Milazzo, l’altro giorno, mi ha detto che ho una visione di gioco da NBA. Ho toccato il cielo con un dito dopo questo complimento. Spero di non deluderlo.

***

All’epoca dei fatti avevo solo dodici anni. Correvo a perdifiato e non mi doleva niente. Oggi, che mi accingo a compiere cinquantasei anni, i dolori mi tormentano giornalmente. Ho da poco finito un ciclo di infiltrazioni alla schiena, per via di alcune protrusioni che mi provocano delle parestesie alla gamba sinistra. Ho sempre pensato sin da piccolo che sarei divenuto un calciatore, giacché era quello il gioco che praticavo frequentemente e che amavo. Pur tuttavia, il professore Milazzo, che considero un vero e proprio talent scout, ha visto in me delle buone potenzialità per assicurare qualche punto in classifica alla sua squadra di basket della Don Milani. Dopo i giochi della gioventù dell’Ottanta, l’unico gioco da me praticato giornalmente, e direi con dei buoni risultati complessivi, è stato solo la pallacanestro. Io, playmaker di una squadra di basket: e chi lo doveva dire che fra tutti i più bassi ragazzi delle Medie qualcuno avrebbe scelto proprio me per far quadrare il gioco di una squadra che se ne ritornava dalle trasferte dei campi di provincia solitamente con le ossa rotte? Rimpiango quei giorni di fatica e sudore, quando respiravo a pieni polmoni e riuscivo, ancor prima che gli altri potessero pensare un’azione di gioco, a mandare a canestro il pivot della mia squadra di basket, dalla casacca giallo e rossa, che sul retro aveva stampigliato un numero stilizzato color oro, con pantaloncini bianchi e calze rosso e giallo. Bisogna davvero vivere il momento: “Carpe Diem”.


 

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