Dieci.
“La mia nuova bici da cross”
È l’alba. A Romagnolo il risveglio degli
abitanti del quartiere è lento, calmo. La Moka è già sul fornello che borbotta
e a breve il suo prezioso carico di caffè salirà a galla. Il profumo di caffè
appena liquefatto satura l’angusta cucina in cui abitiamo e si diffonde in
tutte le altre stanze della nostra modesta abitazione. Per strada non c’è anima
viva. Le autovetture sono parcheggiate lungo la via G. Alagna, a lisca di
pesce. Mio padre possiede una Fiat 127 di colore verde bottiglia, che ha appena
acquistato, a rate, e che dice che rivenderà al più presto; anch’essa è
parcheggiata lungo la via in cui abitiamo, difronte il portone d’ingresso, così
come le altre autovetture degli altri condomini che abitano nella nostra stessa
palazzina a due piani, tre col terrazzo verandato. Il mese scorso i ladri hanno
rubato tutte e quattro le ruote dell’auto di mio padre, facendocela ritrovare
poggiata su due mattoni di tufo giallo, quelli usati nel cantiere edile ubicato
a pochi metri da casa. Oggi è sabato 2 dicembre; mancano 23 giorni al Natale
del 1978. Dalla camera che condivido con mio fratello, ampia e ben squadrata,
che funge anche da soggiorno, vengo svegliato dall’odore pungente del caffè che
mamma e papà si stanno preparando per la colazione mattutina, benché la sveglia
mattutina programmata la sera precedente da mio padre sia già suonata alle 6:00
in punto. Con non poca fatica mi alzo dal letto, ricavato in un vano
dell’armadio a ponte del soggiorno, fatto da un bravo falegname su specifiche
fornitegli da mia madre; mi reco in bagno a fare pipì: sono le 7:15, è
tardissimo! Mio fratello al mio risveglio, mi guarda sottecchi e si gira
dall’altra parte della stanza, con lo sguardo rivolto verso la porta finestra
che chiude il balcone che si affaccia su via Alagna. Fa freddo. Ci sono circa
dieci gradi Celsius. A marzo, 5 giorni dopo l’equinozio di primavera, ho
compiuto 9 anni. Il mio compleanno quest’anno è caduto di martedì. Io, però,
sono nato di venerdì. Quest’anno ho festeggiato in maniera diversa il mio
compleanno, giacché sono rimasto profondamente impressionato e scosso dalla
strage di via Fani, avvenuta a Roma il 16 marzo, in seguito al quale è stato
rapito Aldo Moro e barbaramente trucidati cinque uomini della sua scorta. Oggi
è un giorno speciale sia per me che per mio fratello. Mamma e papà ieri ci
hanno detto che saremmo andati in via Divisi a comperare le nostre nuove
biciclette. Mio fratello insiste per avere una Graziella. Io voglio una
bicicletta da cross. Come sempre finirà che litigheremo, perché mio fratello,
più piccolo di me di due anni, dirà che io ho ricevuto il regalo più bello. Le
nostre vecchie bici sono oramai troppo piccole per noi. Facciamo fatica a
pedalare e rischiamo di cadere rovinosamente sull’asfalto di catrame. Io, volendoci
riflettere, essendo più grande di mio fratello, non mi posso proprio
accontentare della Graziella: con una Graziella come faccio ad emulare i miei
eroi di CHiPs, Ponch e Jon, che sfrecciano con le loro Kawasaki KZ per le
strade di Los Angeles, in California? È troppo lenta e goffa la Graziella per
me; non posso pavoneggiarmi. Farei una figura barbina con i miei amici, con i
quali già litigo per svariati motivi. Mamma e papà ci hanno detto che sarà il
nostro regalo di Natale. Io ho imparato a pedalare qualche anno fa, con una
bici più piccola di quella che riceverò in regalo. Qualche foto, conservata
nell’album di famiglia e che mia madre conserva come se fosse una reliquia,
raffigura sia me che mio fratello Filippo mentre siamo in sella alle nostre due
vecchie bici, sorridenti e felici. Ci abbiamo giocato così tanto che sono mezze
distrutte. Ho imparato a pedalare e stare in sella alla mia bici a Villa
Giulia, una domenica mattina del ’75. In Tv si parla ancora delle Brigate Rosse
e della tragica fine del Deputato della Camera e Presidente della Democrazia
Cristiana, Aldo Moro, ucciso barbaramente a maggio di quest’anno, dopo cinquantacinque
giorni di prigionia. Il TG dice che Moro quest’anno, nel mese di gennaio, ha
ricevuto nel suo studio di via Savoia, a Roma, Piersanti Mattarella, Michele
Reina e Rino Nicolosi, per parlare della costituenda Giunta regionale della
Sicilia. Boh! Io mi annoio con questi discorsi politici, mentre mio padre non
aspetta altro che sentire le notizie del TG, la sera, mentre siamo tutti e
quattro seduti a tavola intenti a cenare. Dopo aver fatto colazione questa
mattina con una tazza di latte caldo e biscotti Colussi, mi sono messo la tuta
da ginnastica, le scarpe da tennis, e sono sceso per strada, in quanto papà mi
ha detto che per l’acquisto della bici se ne sarebbe riparlato la prossima
settimana, dopo l’Immacolata. Ho preso lo zaino verde militare dove custodisco
quaderni e libri e mi sono avviato, a piedi, verso la scuola elementare che
frequento. Ormai sono grande e mamma mi ha detto che non c’è più di bisogno che
mi accompagni lei a scuola. Mio fratello, invece, che è più piccolo, oggi lo
accompagna a scuola mamma, giacché dice che sarà impegnato per una recita
scolastica: Peter Pan. Filippo frequenta un’altra classe; ha altri amichetti e
altri compagni di gioco. È troppo piccolo per fare le stesse cose che faccio
io. Io frequento la quarta elementare, mio fratello la seconda. Gli voglio un
bene dell’anima, anche se abbiamo due caratteri totalmente diversi e spesso
litighiamo.
***
Sono passati 46 anni da allora.
Le bici, così come ci avevano promesso i nostri genitori, li ricevemmo in dono
il giorno di Santa Lucia del 1978. Mamma e papà quell’anno ci dissero che
quello sarebbe stato l’unico regalo che avremmo ricevuto sia per il Natale del
1978, che per l’Epifania del 1979. I soldi erano davvero pochi e i sacrifici
dei nostri genitori tanti; i soldi che papà guadagnava in Fiat bastavano solo per
pagare l’affitto di casa, le bollette, per la spesa, per lo studio: i regali,
potevano attendere. Quell’anno, però, i nostri desideri furono esauditi. Io e
Filippo quell’anno toccammo il cielo con un dito in sella alle nostre bici
luccicanti. La mia me la ricordo ancora: rosso fuoco, con le stampigliature
nere accese lungo la carena. Due specchietti retrovisori. Una sella lunga e
nera, che terminava con un piccolo poggia schiena. Una figata!
Undici.
“Io, playmaker”
Mi accingo a varcare l’ingresso di scuola,
l’istituto “Don Luigi Milani”, di viale dei Picciotti. Oggi è un giorno
speciale per me, e sono entusiasta. Il mio insegnante di Educazione Fisica,
l’altro ieri, dopo un provino di circa due settimane, ha deciso che io sarei
divenuto il nuovo playmaker della squadra di basket della scuola, che sta
disputando il torneo under 14 regionale, con altalenanti risultati. Sostituirò
un altro ragazzo che si è trasferito con i genitori in un altro quartiere della
città, giacché suo padre, insegnante di Italiano, ha ottenuto la cattedra in un
altro istituto cittadino; egli per raggiungere agevolmente la nuova sede
lavorativa e non impelagarsi nel traffico mattutino di via Messina Marine ha
deciso che fosse stato meglio per tutta la sua famiglia trasferirsi in un altro
contesto abitativo: suo figlio, però, il mio amico Lorenzo, non è affatto
contento di questa sua decisione, che ritiene un’idea poco felice. Ha pianto
tanto, tantissimo, perché di botto deve mollare tutto e cambiare quartiere,
compagni di scuola e salutare, forse per sempre, i suoi vecchi amici d’infanzia
con cui ha trascorso dei momenti felici negli ultimi anni. Lorenzo ha
cominciato a isolarsi dal mondo che lo circonda. L’ho rivisto in parrocchia
qualche giorno fa, mentre se ne stava in disparte, seduto su di una panca,
tutto solo soletto. L’ho salutato affettuosamente ed egli mi ha detto, ancora in
lacrime, che la sua vita fosse finita: io l’ho pregato di farsi coraggio, di
reagire, precisandogli che non sono queste le cose brutte della vita. Gli ho
detto che avrebbe trovato nuovi compagni di gioco, nuovi amici, e che i suoi
vecchi amici, quando egli avesse voluto, li poteva venire a trovare anche
utilizzando i mezzi pubblici. Che ci sarebbe voluto davvero poco per
metabolizzare questo nuovo cambiamento di vita. È ancora inverno. L’inverno del
1981 è davvero freddo. Le vette che circondano Palermo sono innevate. Ha
nevicato anche a Villagrazia e in altri quartieri cittadini. Noi non ci siamo
abituati a queste temperature e speriamo che il freddo lasci ben presto quest’aria
geografica della Sicilia e ci consenta di essere nuovamente baciati dal Sole.
La città negli ultimi giorni è ancora di più attanagliata nel traffico
veicolare: i palermitani, già indisciplinati nella normalità mentre si trovano
alla guida dei loro autoveicoli, con il nevischio che copre il manto stradale
non ci hanno capito più nulla e sembra di stare sulla pista di un autoscontro
del Foro Italico, piuttosto che per le vie di una città che si definisce
civilizzata. Gli incidenti non si contano più. Regna il caos a Palermo. Oggi è il
9 di gennaio. Ieri, verso le 22:00, ha cominciato a piovere violentemente. Il
bidello, Maurizio, parlando con una sua collega, la signora Maria, questa
mattina le diceva, durante la pausa caffè, che sembra di rivivere le stesse
vicende che hanno vissuto i palermitani nel 1744: questo, a suo dire, è quello
che gli ha raccontato Don Giuliani, che insegna Religione qui a scuola, quando crollò,
per la più grande ondata di gelo e neve che colpì Palermo, la Sacrestia del
convento di San Domenico. Alla radio questa mattina lo speaker ha detto che
Castelbuono sembra un paese delle Alpi Graie, a ridosso del Monte Bianco, e che
per la tormenta di neve che si è abbattuta in paese nei giorni scorsi si è
interrotta l’erogazione di energia elettrica e che le strade sono impraticabili:
una situazione drammatica stanno vivendo quei poveretti. Il Giornale di Sicilia
di oggi, nelle prime pagine, descrive la situazione in cui versa Monreale, che
si è risvegliata sotto mezzo metro di neve ieri mattina. Molte scuole della
provincia sono chiuse. Io, però, sono contento di essere venuto a scuola questa
mattina. Questa mattina mi ha lasciato mio padre a scuola, dopo che abbiamo
accompagnato mio fratello alla Franchetti. In lontananza scorgo il professore
Milazzo, il mio insegnante di Educazione Fisica. Mi saluta e mi fa l’occhiolino.
Sono felice! Benché io sia il più basso della squadra in cui giocherò, riesco,
palleggiando con maestria, a farmi spazio fra gli avversari e far correre sino
a canestro i miei compagni. Milazzo, l’altro giorno, mi ha detto che ho una
visione di gioco da NBA. Ho toccato il cielo con un dito dopo questo
complimento. Spero di non deluderlo.
***
All’epoca dei fatti avevo solo dodici
anni. Correvo a perdifiato e non mi doleva niente. Oggi, che mi accingo a
compiere cinquantasei anni, i dolori mi tormentano giornalmente. Ho da poco
finito un ciclo di infiltrazioni alla schiena, per via di alcune protrusioni
che mi provocano delle parestesie alla gamba sinistra. Ho sempre pensato sin da
piccolo che sarei divenuto un calciatore, giacché era quello il gioco che
praticavo frequentemente e che amavo. Pur tuttavia, il professore Milazzo, che
considero un vero e proprio talent scout, ha visto in me delle buone
potenzialità per assicurare qualche punto in classifica alla sua squadra di
basket della Don Milani. Dopo i giochi della gioventù dell’Ottanta, l’unico
gioco da me praticato giornalmente, e direi con dei buoni risultati
complessivi, è stato solo la pallacanestro. Io, playmaker di una squadra di
basket: e chi lo doveva dire che fra tutti i più bassi ragazzi delle Medie
qualcuno avrebbe scelto proprio me per far quadrare il gioco di una squadra che
se ne ritornava dalle trasferte dei campi di provincia solitamente con le ossa
rotte? Rimpiango quei giorni di fatica e sudore, quando respiravo a pieni
polmoni e riuscivo, ancor prima che gli altri potessero pensare un’azione di
gioco, a mandare a canestro il pivot della mia squadra di basket, dalla casacca
giallo e rossa, che sul retro aveva stampigliato un numero stilizzato color
oro, con pantaloncini bianchi e calze rosso e giallo. Bisogna davvero vivere il
momento: “Carpe Diem”.
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