Cari lettori, gentili lettrici, continuano gli articoli dedicati alla Storia del Palazzo Reale di Palermo e dei sovrani che l'abitarono. L'ultimo post da me realizzato, ricorderete, era dedicato a Guglielmo II, detto il Buono. Grazie all'opera di Isidoro La Lumia "Storia della Sicilia sotto Guglielmo il buono", pubblicato a Firenze nel 1867 dai successori di Le Monnier, abbiamo appreso parecchie notizie interessanti sulla vita di Guglielmo, sul suo modo di agire, di essere, e del periodo storico in cui visse. Oggi parleremo di quanto accaduto negli anni 1173 e 1174, anno dell'assedio di Ancona. (1)
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Questa immagine mostra lo stemma della famiglia Hohenstaufen. |
"L'imperator Barbarossa avea mandato di qua dalle Alpi, a preparargli il terreno, il suo Arcicancelliere Cristiano, eletto arcivescovo di Magonza, che raccozzasse le forze della fazione imperiale, procurasse metter fine a'litigi tra Genova e Pisa congiungendole in un pensiero comune di devozione all' Impero, rinfrescasse in Italia la memoria degl'imperiali suoi diritti con adunar parlamenti e amministrare la giustizia in suo nome. In una dieta tenuta a Ratisbona nel maggio di quel medesimo anno 1174 rappresentando la ostinata insolenza e infedeltà de'Lombardi, la congiura tramata con essi dal papa e dal re di Sicilia, il concorso apportatovi dal greco Manuele Comneno, la oltraggiata e pericolante maestà dell'Impero, dirigea nuovo appello a'principi efeudatarii alemanni; poi nel seguente settembre, dopo sei anni di assenza, dopo aver provveduto ad assicurar fortemente i suoi negozii in Germania e fatto eleggere a re de' Romani Enrico suo figlio, si calava, pel solito sbocco della valle di Susa, con un valido esercito composto per lo più di mercenarii raccolti nel settentrione di Francia, nel quale, fra gli altri, si notavano Corrado suo fratello, Ladislao re di Boemia, Enrico il Leone, duca di Baviera e di Sassonia, Ottone di Wittelsbach, gli arcivescovi di Colonia e di Treveri.
Con una parte delle genti imperiali messe insieme tra Toscana e Romagna, Cristiano, lo scismatico pastore di Magonza, tristo arnese di raggiri e di guerre, aveva incominciato le ostilità contro Ancona, al lembo opposto d'Italia. Volevasi strappar da quel nido l'autorità del Conineno, che sotto specie di tutela amichevole, o fors'anche di effettivo dominio, lo teneva occupato; e,nel combattere Ancona, staccare Venezia dalla Lega italiana, Venezia nemica alla detta città per emulazione di traffici, mal disposta e testè mal conciliata col Greco. Quest'ultimo fine, almeno per poco, riusci di asseguirlo: Ancona ebbe incontro il tedesco aggressore e le feroci sue torme ; e, dal mare, il navilio dell' avversa repubblica. Pugnò e resistè arditamente; non ascritta alla Lega, ne sostenne con fermezza i propositi: per più mesi, il coraggio de' suoi eroici abitanti, la virtù delle stesse sue donne, gli strazii sofferti e le incredibili estremità della fame fornirono dovizia di esempi che ricorda ammirata e intenerita la storia.
Federigo segnava il suo ingresso coll' incendio di Susa ; occupava Torino ; Asti gli apria le sue porte dopo un debole principio d'assedio, e d'allora, abbandonata la Lega, si dava a parteggiar per l'Impero. Eccitato anche più da' Pavesi e dal marchese di Monferrato, il Barbarossa mirava soprattutto ad Alessandria, la nuova città dalle mura di terra e da'tetti di paglia, surta appena come sfida e come insulto per lui. Vi fe' intorno trinceramenti e bastie ; cominciò ad oppugnarla. Quel pugno di prodi convenuti da ogni parte d'Italia a popolare la recente colonia si difese con virile costanza. L'esercito alemanno infermava e struggevasi fra gl' inutili assalti, i rigori sopraggiunti del verno, le inondate pianure: i capi scongiuravano invano Federigo a levar le sue tende, cercare a queir impresa più opportuna stagione, e rivolgersi altrove: persistea Federigo, risoluto di avere ad ogni costo la invisa città e disperderne le reliquie ed il nome. Il re di Sicilia non partecipava al conflitto colle terrestri sue forze, di cui non era uopo a' Lombardi : vi partecipava co'danari, col morale prestigio, con impedire al nemico il possesso e le comunicazioni del mare. Fortunatamente Venezia, trascinata in Ancona a combattere contro l'interesse italiano, non avrebbe seguitato più oltre la causa del dominatore straniero. La marittima riputazione dell' isola teneva in rispetto Genova e Pisa; e i dissidii fra le due contendenti repubbliche, ragione di lutti e di sciagure all' Italia, in ciò solo allora giovarono che lo straniero vi trovasse ugualmente la difficoltà di tirarne efficace assistenza. In Pisa la tradizione imperiale durava più costante ed antica. La genovese politica, nell'urto tra l'Impero e i Comuni italiani, poteva così sostanzialmente riassumersi: tenersi in disparte, quanto fosse possibile; protestare, sottomano, a'Lombardi inclinazione amichevole, scusandosi di manifestarla all' aperto ; protestare obbedienza all'Impero, schermendosi, secondo il possibile, di servirlo co'fatti (* Vincens, Histoire de la Républ. de Génes, ch. 3, t. 197, Parigi, 1842.). Intrattenendo da' tempi del re Ruggiero in Palermo e in Messina comunicazioni e cambii attivissimi, i Genovesi, malgrado le promesse e le anticipate concessioni nell'isola, che nel 1162 facea loro il Barbarossa, aveano, a malincuore e costretti, aderito alla chiesta alleanza contro il re siciliano (Caffaro, Annales Genuenses, lib. 2, f. 292, presso Muratori, Rer. it. scr., t. VI.). Giusta i patti allora fermati, accordavasi lo spazio di un anno ad allestire i necessarii apparecchi dopo la intima formale che dall' imperatore sarebbe loro diretta per la spedizione divisata nell' isola; ma, ad esprimere la propria prontezza, pare scegliessero que' dati momenti in cui le circostanze si mostrassero evidentemente men propizie all'impresa. Nel 1164 loro oratori portandosi ad inchinare Federigo in Romagna, erano venuti perciò interrogandolo se fosse o no da por mano a' dovuti armamenti: Federigo ringraziò della offerta, ma soggiunse avrebbe dato risposta dopo intesi i feudalarii tedeschi e lombardi in una dieta che seguirebbe a Parma per la metà di quaresima: a Parma gli oratori tornarongli innanzi, e rimandavali a novello convegno in Savona per la prossima Pasqua; giunse anche la Pasqua, e le cose rimasero ov'erano ("Regni siculi omnia commoda renuimus", > Caflaro, lib.
-, t. 311.)
. Dicemmo dell'ambasceria genovese venuta indarno a Palermo nel 1168. Dopo quel tempo tra Genova e Pisa erasi più che mai ridestata la lite per le reciproche ambizioni in Sardegna: i navigli dell'una parte e dell'altra si cercavano, si appostavano, si azzuffavano insieme pe 'l mare; i navigli del re di Sicilia, correndo ostili del pari alle due opposte repubbliche, faceano prede ad entrambe. (Due galere Genovesi avevano nel 1170 catturato una galera di Pisa e la traevano nel porto della loro città: una squadra siciliana che navigava verso le coste di Spagna diede addosso ai Genovesi e ritolse quell acquisto per sè. Oberli Annales presso Pertz., Mon. Germ Hist .Scrip.,t . XVIII, f. 87 )
Quando il magonzese arcivescovo, innanzi l' ultima calata di Federigo in Italia, ebbe a condursi e fermarsi qualche tempo in Genova, que' cittadini gli resero onore e gli si adoperarono intorno, procurando di farne strumento contro l'emula Pisa; e tra' titoli da loro vantati alle benemerenze imperiali si fu l'avere, per seguir Federigo, incorso la nimistà di Manuele Comneno e rinunciato a' vantaggi che loro fruttava il commerciare in Sicilia ( "Regni siculi omnia commoda renuimus", > Caffaro, lib. 2
, f. 311.)
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Lo scaltro arcivescovo profuse blandizie, ma pregò non toccassero quel tasto di Pisa, essa pure congiunta e devota all'Impero: ciò scemava il fervore delle genovesi ovazioni ; i Pisani, d'altra parte, sospettando del vicario imperiale, che sembrava preferire il soggiorno in mezzo a' loro nemici, entrarono in punto di fargli viso un po' arcigno. Il prelato tedesco dovè infine convincersi come non gli verrebbe mai fatto aver tutti con sè volenterosi e disposti: mandato a metter la pace, sposò contro Pisa la causa di Genova, contro Firenze la causa di Lucca; ne ricavò per sè stesso pecunia e vergogna: poi Federigo lo indirizzava in Ancona, e rimanea quel garbuglio di municipali interessi e di municipali discordie. Le carezze usate all'arcicancelliere Cristiano aveano in ogni modo contro Genova istigato i Lombardi, che, a punirla, le interdicevano il grano ed ogni altra vettovaglia del loro paese; la penuria cominciò a risentirvisi, e vi durava per più mesi strettissima: importava allora disarmare lo sdegno e guadagnarsi il favore del re di Sicilia. Venne Ottobuono degli Alberici, anch' egli (come già il Bellamuto) uno de' Consoli che amministravano in quel torno il Comune, ed erano seco due altri inviati, Ingo Tortelli ed Oberto Recalcato. Ebbero in Palermo decorose accoglienze. Un trattato fu sollecitamente proposto e conchiuso ripristinando gli accordi fermati diciott anni innanzi tra i Genovesi ed il vecchio Guglielmo. (II Caffaro (lib. cit. t. 352) riferisce il trattato, e parla della missione del console Ottobuono. II relativo diploma che porta la data di Novembre 1174, è stato pubblicato per la prima volta a Torino nel 1854, nella collezione "Historim Patriae Monumenta , t. 1, f. 300. ).
E quel trattato con pregiudizio della parte imperiale riusciva a neutralizzare del tutto nella guerra presente la marinaresca repubblica."
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(1) [Con l'istituzione del Sacro Romano Impero la città fu posta a capo della Marca di Ancona, che dopo aver assorbito le marche di Camerino e di Fermo comprese quasi tutta l'odierna regione Marche. Il potere imperiale ben presto si affievolì, fino a diventare solo formale. Infatti, a partire dall'anno 1000 la città inizia un cammino verso l'indipendenza, favorito dall'aumento del commercio. Alla fine dell'XI secolo Ancona è ormai un libero comune e una delle repubbliche marinare che non compaiono nello stemma della Marina Militare, come Gaeta, Trani e Ragusa (Croazia, odierna Dubrovnik). Si scontra così sia con il Sacro Romano Impero, che tentò ripetutamente di ristabilire il suo effettivo potere, sia con Venezia, che non accettava nell'Adriatico una città marinara che, sia pur in forma ridotta, le faceva concorrenza per i traffici con l'Oriente. Ancona poteva contare sull'appoggio dell'Impero Romano d'Oriente. Per resistere allo strapotere veneziano era poi preziosa l'alleanza con la Repubblica di Ragusa, in Dalmazia. Il territorio della Repubblica anconitana non fu mai molto esteso, dedicandosi la città soprattutto ai traffici marittimi; nell'entroterra Ancona si limitò sempre solo a garantirsi lo spazio vitale per la difesa e per l'approvvigionamento alimentare. A difesa del territorio (i cui confini erano a nord-ovest il fiume Esino, a sud-ovest il Fiume Aspio e, dopo la sua confluenza, al Musone, ad est l'Adriatico) gli anconitani costruirono o presero venti castelli, detti i Castelli di Ancona. La Repubblica marinara di Ancona batteva moneta propria: l'agontano; aveva propri codici di navigazione noti sotto il nome di "Statuti del mare e del Terzenale (arsenale)" e "della Dogana"; inviava consoli ed aveva fondaci e colonie in tutti i porti d'Oriente, da Costantinopoli alla Siria, dalla Romania all'Egitto. Riuscì a resistere ai duri assedi dell'imperatore Lotario II, nel 1137, e di Federico Barbarossa nel 1167 e nel 1173; in quest'ultimo si distinguono le gesta di Stamira, l'eroina anconitana, e del sacerdote Giovanni di Chio. Si riportano alcuni particolari dell'assedio del 1173 perché nei secoli successivi, e specie nel 1800, fu considerato quasi un paradigma del carattere della città. Ancona aveva giurato fedeltà all'Imperatore bizantino Manuele Comneno; l'imperatore del Sacro Romano Impero, Federico Barbarossa era in in Italia per ristabilire il proprio potere sui liberi comuni. L'Impero aveva in odio la città non solo per le sue pretese di indipendenza, ma anche perché era legata all'Impero d'Oriente. Il Barbarossa quindi per ristabilire la propria autorità su Ancona, vi inviò il proprio luogotenente, l'arcivescovo Cristiano di Magonza, noto come uomo crudele e dedito alla rapina. Le truppe imperiali avevano preventivamente chiesto ed ottenuto l'alleanza della flotta veneziana: Venezia, infatti, aveva colto l'occasione per liberarsi di una rivale nei traffici marittimi. L'assedio durò sei lunghi mesi e la città dovette fare i conti con la carenza di cibo e con forze nemiche preponderanti. Di questo assedio si ricorda l'eroico gesto di una donna, la vedova Stamira, che, uscendo arditamente dalle mura e dando fuoco ad una botte carica di materiale infiammabile, riuscì a danneggiare un accampamento nemico. Ciò rese possibile, nella confusione in cui si trovarono le truppe imperiali, anche il rifornimento di una certa quantità di cibo. Stamira è pertanto considerata una delle maggiori figure storiche della città. Grazie ad una pericolosa spedizione oltre le file nemiche, gli Anconitani riuscirono a chiedere soccorso agli alleati emiliani e romagnoli. Con l'arrivo infatti delle truppe della contessa di Bertinoro Aldruda dei Frangipani e del duca di Ferrara Guglielmo dei Marcheselli, si riuscì a rompere l'assedio e a cacciare la flotta veneziana e le truppe imperiali. L'Imperatore di Bisanzio, per ricompensare Ancona della fedeltà a lui dimostrata, inviò ingenti somme di denaro e, secondo la tradizione, le donò in segno di riconoscenza la bandiera rossa con una croce d'oro che è ancora oggi il vessillo della città, a ricordo degli ideali che ispirarono tali avvenimenti. Il risultato più importante della vittoria fu il permesso, concesso dall'Imperatore d'Oriente, di praticare il commercio marittimo in tutti i suoi porti, con la possibilità anche di contruire fondaci e abitazioni. Come già in epoca traianea, Ancona si avviava nuovamente ad essere per l'Italia una delle porte d'Oriente. È nota la partecipazione a diverse crociate, tra cui la prima. Nella lotte fra Papa ed Imperatore del XIII secolo, Ancona è di parte guelfa. Lo stemma del libero comune, un cavaliere armato, rappresentante la virtù guerriera e l'attaccamento alla libertà, è quello che anche oggi identifica la città. Tra i suoi navigatori si deve ricordare Ciriaco d'Ancona (Ciriaco Pizzecolli).]
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