Tredici.
“La caccia”
Nel mese di ottobre del 1977,
quando avevo otto anni, mio padre mi portava sulla spiaggia dei bagni Virzì –
Petrucci ove uno dei suoi sei fratelli, cacciatore in erba, unitamente ad altre
numerose persone avrebbe cacciato con la sua nuova doppietta le allodole che
migravano in direzione di lidi molto più caldi. La Sicilia nord-occidentale era
a quel tempo un’area di passo migratorio ove grandi stormi di allodole facevano
bella mostra di sé, inconsapevoli che molti di loro avrebbero terminato quel
lungo viaggio, dopo essere stati impallinati, in bocca ad un cane da riporto
che attendeva impaziente di catturare la preda lungo il bagnasciuga di quel
litorale palermitano, trasformatosi nottetempo in un improvvisato poligono di
tiro. Posizionatici a ridosso del muro perimetrale delle cabine in muratura del
lido, all’in piedi e lungo un camminamento in cemento armato ivi presente e
prospiciente il mare, osservavamo così, a distanza di sicurezza, tutti quei
cacciatori che dislocati in un appostamento temporaneo, armati sino ai denti e
dotati di richiami per accoppare quelle povere creature, si posizionavano all’in
piedi e col calcio del loro fucile sull’omero della spalla destra, pronti a far
fuoco. Qualcuno di loro era in compagnia di alcuni cani da caccia e da riporto
che non aspettavano altro che andare a recuperare le prede che, dopo un boato
assordante, cadevano dal cielo plumbeo di un autunno che annunciava l’arrivo di
uno degli inverni più freddi di sempre. Di quei giorni ricordo, in particolare,
l’odore dei gas dello sparo liberatisi nell’area del malagevole poligono di
tiro, dovuto allo scoppio delle numerose cartucce dei fucili, spesso delle
lupare, di quei numerosi cacciatori che sovente le abbandonavano in prossimità
del bagnasciuga; mi è rimasta impressa nella mia memoria, inoltre, la corsa dei
cani da riporto che, tra un guaito e un latrato, erano di stanza sulla spiaggia
per recuperare quel prezioso bottino: dei minuscoli uccellini che, dicevano in
molti, erano deliziosi da mangiare. L’allodola è un uccello gregario che vive
in piccoli stormi e che si sposta in grandi stormi durante i periodi di
migrazione. Ha un volo potente e ondulato piuttosto caratteristico, in cui
alterna battiti d’ala a chiusure d’ala. La caccia alle allodole viene
attivamente esercitata soprattutto durante il passo, a volo, alla borrita, con
zimbelli vivi o artificiali, e anche mediante lo specchietto e il richiamo.
Terminata la caccia io e gli altri numerosi bambini che avevamo appena
osservato le fasi di quella cruente lotta tra l’uomo e uno stormo di uccellini
impauriti, ci premuravamo a raccogliere le cartucce sparse sulla spiaggia e che
poi avremmo utilizzato per i nostri giochi. Le cartucce calibro 12, ancora
dotate del fondello in ottone su cui il percussore della lupara aveva terminato
la sua violente corsa, risultavano essere dei veri e propri gioielli: di colore
rosso, blu, giallo ocra, erano per noi bambini degli oggetti da conquistare e da
collezionare e, a volte, da scambiarci o da barattare.
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