Cinque.
“Pacchionello – Diecimila”
All’inizio del mese di ottobre
dell’anno 1981, quando per le vie di Palermo erano già passati a miglior vita
circa settanta mafiosi, o presunti tali, barbaramente uccisi da “Cosa Nostra” panormita e lasciati
agonizzanti sull’asfalto freddo e viscido delle strade del capoluogo, giocava
in via Giacomo ALAGNA del quartiere Brancaccio un bambino che, come me, aveva
da poco compiuto dieci anni. Figlio di un boss mafioso del quartiere, poi
arrestato e processato col Maxi I, egli veniva schernito dagli altri bambini
del quartiere in quanto in sovrappeso, e perché aveva delle movenze goffe e
stanche; il piccolo monello era solito girare per le vie di Brancaccio con una
banconota da Diecimila lire in tasca e svariate caramelle, cioccolatini,
merendine, che difficilmente era disposto a condividere con gli altri bambini.
Marco, F., G., C., ed altri bambini
del quartiere, gli avevano affibbiato il nomignolo di “Pacchionello – Diecimila”, a ragion veduta. Era difficile
coinvolgerlo nei giochi che si facevano in gruppo, che necessitavano, giocoforza,
il dispendio di energie psicofisiche. Perennemente stanco, si pavoneggiava di
possedere oltre a quella banconota da 10.000 lire, altri soldi, tantissimi
altri soldi, che il padre, a suo dire, gli dava sovente per le sue bricconerie,
per i suoi capricci, per tenerlo buono e quieto. Dalla personalità borderline,
o giù di lì, vestiva abiti griffati, indossava scarpe firmate, che
difficilmente gli altri bambini del quartiere si sarebbero mai potuto
permettere di indossare. Non ricordo quale fosse il suo nome di battesimo; pur
tuttavia, ricordo benissimo il suo cognome e quello che disse suo padre,
mafioso di spicco di Brancaccio, all’udienza dibattimentale del Maxi I,
impettito e spavaldo dinanzi alle telecamere Rai che riprendevano le fasi
salienti del Processo. Ma di questo non mi va di parlarne. Ormai è storia
giudiziaria, facilmente reperibile in rete. “Pacchionello – Diecimila” quando stava con gli altri bambini era
solito sedersi su un muretto posto a ridosso di via Antonio PIGAFETTA intento a
osservare ciò che gli altri monelli stessero facendo, quasi volesse studiarne
la psiche, entrare nelle loro menti, vivere il loro mondo: un mondo che,
purtroppo, non gli apparteneva; e come sarebbe stato possibile, per un bambino
così viziato, vivere le stesse emozioni e le stesse esperienze dei suoi
coetanei? Quel bambino non l’ho più rivisto; né, tantomeno, l’ho più incontrato
da adulto. Di lui mi colpì da subito il fatto che in un contesto così povero, ostentasse
con tanta nonchalance così tanta ricchezza. Era ovvio che quei soldi erano il
frutto delle attività criminali condotte da suo padre. Ma di questo io, a quel
tempo, non ero sicuro; né, tantomeno, ne ero a conoscenza. Sembrava proprio una
brava persona suo padre, uno di quelli che, di solito, si vogliono emulare:
aveva fatto i soldi! Ma come, non era dato sapere. Eppure qualcuno
sommessamente, sibilando, proferiva il perché quella famiglia si fosse
arricchita in così poco tempo. Ma questi non aveva il coraggio di parlarne
pubblicamente. A quel tempo si moriva per poco a Brancaccio e chi lavorava,
pagava le tasse, ed era costretto a barcamenarsi e sbarcare il lunario
mensilmente, solitamente non era avvezzo a commentare quello che succedeva per
le vie del quartiere: né in bene, né in male. La gente continuava a ignorare i
problemi del quartiere. Sino a quando i singoli membri di quella comunità non
venivano intaccati dai problemi, non ne parlavano: punto! Di che cosa avrebbero
dovuto parlare? Era facile parlare delle disgraziate partite del Palermo
calcio, ma le parole spaccio, droga, mafia, erano tabù. E tabù rimasero per
tantissimi anni, sino a quando le stragi di mafia, gli omicidi eccellenti, non
convinsero molte coscienze che forse era arrivato il momento di fare mente
locale, di affrontare i problemi in maniera diversa. Ma, essendo che “una
nuci sula intra o saccu un n’ha mai scrusciutu!”, allora era meglio
continuare a farsi i fatti propri e seguitare ad andare avanti con le proprie
vite. Purtroppo, ahimè, ancora oggi la mentalità di molti abitanti del
quartiere e di tantissimi altri abitanti dei quartieri di Palermo non è
cambiata; è rimasta tale e quale a quella degli abitanti della Palermo degli
anni Ottanta - Novanta del Novecento. Mi viene da dire che mai cambierà, ma
voglio essere ottimista e pensare che prima o poi le cose cambieranno in
meglio. Me lo auguro di cuore.
Il quinto capitolo di "Brancaccino! Ù sai a cu ammazzaru steinnata?"; "Che cosa scrivo adesso?" è intitolato "Pacchionello - Diecimila" e si concentra su un bambino di 10 anni, figlio di un boss mafioso del quartiere Brancaccio. Il capitolo è ambientato nell'ottobre 1981, un periodo in cui Palermo era teatro di una sanguinosa guerra di mafia.
RispondiEliminaIl bambino, il cui nome di battesimo non viene rivelato, viene soprannominato "Pacchionello - Diecimila" dagli altri bambini del quartiere, a causa del suo peso e delle sue movenze goffe, e perché era solito girare con una banconota da diecimila lire in tasca e molte caramelle e dolci che raramente condivideva.
Toscano descrive il bambino come un personaggio solitario, con una personalità borderline, che si pavoneggiava della sua ricchezza, frutto delle attività criminali del padre. Vestiva abiti firmati e scarpe costose, oggetti inaccessibili per gli altri bambini del quartiere, che vivevano in un contesto di povertà.
"Pacchionello - Diecimila" non partecipava ai giochi di gruppo e preferiva osservare gli altri bambini da lontano. Toscano sottolinea come la ricchezza ostentata dal bambino lo isolasse dagli altri e lo rendesse incapace di vivere le stesse esperienze dei suoi coetanei.
L'autore ricorda poi l'atteggiamento del padre del bambino durante il Maxiprocesso, il primo grande processo contro la mafia che si tenne a Palermo a partire dal 1986. Il padre, un mafioso di spicco di Brancaccio, si presentò in aula impettito e spavaldo, incurante delle telecamere che lo riprendevano.
Toscano conclude il capitolo riflettendo sul clima di omertà che regnava a Brancaccio in quegli anni. La gente preferiva ignorare i problemi del quartiere, come lo spaccio di droga e la violenza mafiosa, finché non veniva direttamente coinvolta. L'autore si rammarica del fatto che, a distanza di anni, la mentalità di molti abitanti del quartiere non sia cambiata.
In sintesi, il quinto capitolo di "Che cosa scrivo adesso?" offre un ritratto toccante e inquietante di un bambino cresciuto all'ombra della mafia. La figura di "Pacchionello - Diecimila" rappresenta l'innocenza corrotta dal potere criminale e l'incapacità di integrarsi in un contesto sociale sano a causa della ricchezza illecita. Toscano, inoltre, denuncia il clima di omertà e indifferenza che permeava il quartiere Brancaccio negli anni Ottanta, un atteggiamento che purtroppo, secondo l'autore, è ancora presente in molti.