24 Novembre 2008.
L'11 dicembre del 1295 il Parlamento Siciliano (il Parlamento Siciliano era composto da feudatari, sindaci delle città, dai conti e dai baroni ed era presieduto e convocato dal re. La funzione principale era la difesa dell'integrità della Sicilia, come valore massimo anche nei confronti dell'assolutismo del re e nell'interesse di tutti i siciliani. Il re, infatti, non poteva stringere accordi di qualunque natura - politica, militare o economica - ne dichiarare guerre senza aver prima consultato ed ottenuto l'approvazione dell'organo parlmentare che, per costituzione, doveva essere convocato almeno una volta l'anno nel giorno di «Tutti i Santi». Il Parlamento costituzionalmente aveva il compito di eleggere il re e di svolgere anche la funzione di organo garante del corretto svolgimento della giustizia ordinaria esercitata da giustizieri, giudici, notai e dagli altri ufficiali del regno),riunito a Palermo, dichiarò Federico re. Federico di Aragona era il terzogenito di re Pietro. Divenne re dopo l'improvvisa morte di Alfonso III (1291) per la decisione del fratello maggiore Giacomo II. La proclamazione avvenne a Catania il 15 gennaio 1296 al Castello Ursino (il Castello Ursino è un castello di Catania, fondato da Federico II di Svevia nel XIII secolo. Il maniero ebbe una certa visibilità nel corso dei Vespri siciliani come sede del parlamento e residenza dei sovrani aragonesi fra cui Federico III. Oggi è sede del museo civico della città etnea. All'interno del castello si vissero alcuni dei momenti più importanti della guerra del Vespro. Nel 1295 vi si riunì il parlamento siciliano che dichiarò decaduto Giacomo II ed elesse Federico III a re di Sicilia. Nel corso del 1296 il castello fu preso da Roberto d'Angiò e successimente espugnato nuovamente dagli aragonesi. Nello stesso anno probabilmente vi nacque Luigi d'Angio figlio di Roberto e futuro re di Napoli. Re Federico abitò a partire dal 1296 il maniero, facendone la corte aragonese e così fecero anche i successori Pietro, di Ludovico, Federico IV e Maria. Inoltre la sala dei Parlamenti fu nel 1337 anche la camera ardente per la salma di re Federico III. Nel 1347 all'interno del castello venne firmata la cd. pace di Catania fra aragonesi ed angioini). Federico III, pur essendo aragonese, sentiva fortemente il fascino della discendenza sveva: la madre Costanza infatti era figlia di Manfredi che, a sua volta, era figlio naturale dell'imperatore Federico II. Egli apparve ai suoi sudditi, parafrasando Antonio De Stefano, " il re ideale, giusto e generoso, prode in armi e cavalleresco, intelligente e colto". Quello di Federico III fu un regno lungo e costruttivo contrassegnato da un riordinamento politico e amministrativo dell'isola. Già nel discorso pronunciato subito dopo l'incoronazione, egli si ricollegò spiritualmente al pensiero politico del grande antenato Federico II. Dopo aver affermato il principio secondo cui i re sono posti sul trono dal volere divino, non mancò di ricordare ai siciliani che Carlo II d'Angiò non aveva mai rinunciato ad impossessarsi dell'isola e che era il nemico da combattere.
Il 13 aprile del 1296, in una lettera scritta al fratello Giacomo, Federico manifestò i suoi propositi di riconquistare le parti dell'antico regno passate all'odiato angioino e di vendicare la morte di due grandi svevi: Manfredi e Corradino. Appena dieci giorni dopo l'abdicazione di papa Celestino V, i componenti del Sacro Collegio si riunirono in conclave in Castel Nuovo, nella città di Napoli, il 23 dicembre 1294 per dare alla Chiesa il nuovo Pastore. Già il giorno successivo, vigilia di Natale, fu eletto papa il Cardinal Benedetto Caetani, nativo di Anagni e titolare della Chiesa dei SS. Silvestro e Martino. Fu incoronato nella Basilica di San Pietro il 23 gennaio 1295 e assunse il nome di Bonifacio VIII. Aveva 64 anni circa. Come primo atto del suo pontificato, dopo aver riportato la sede papale da Napoli a Roma per sottrarre l'istituzione all'influenza di re Carlo II d'Angiò, dichiarò nulle tutte le decisioni assunte dal suo predecessore Celestino V.Immediatamente dopo, a causa dell'ostilità dei cardinali francesi, ebbe timore che il suo predecessore, Pietro del Morrone, ritornato semplice frate, potesse essere cooptato dai porporati transalpini come antipapa. Per cui si rendeva necessario che la sua persona rientrasse sotto il ferreo controllo del Pontefice. Bonifacio VIII fece pertanto arrestare Celestino V da Carlo II d'Angiò, lo stesso monarca che pochi mesi prima ne aveva sostenuto l'elezione pontificia, e lo rinchiuse nella rocca di Fumone, di proprietà della famiglia Caetani, dove rimase fino alla morte. Nonostante ci siano varie ipotesi (suffragate anche dalla presenza di un ampio foro nel suo cranio) non è certo che la morte di Celestino V sia avvenuta per mano di Bonifacio VIII. Lo stato di detenzione, però, fu voluto dal Caetani.
Eliminato un potenziale antipapa come avrebbe potuto essere l'ex Pontefice, il primo atto politico cui egli dovette adempiere fu la risoluzione della controversia in corso tra gli angioini e gli aragonesi per il possesso della Sicilia; controversia che si protraeva dall'epoca dei "vespri siciliani"; cioè dal 1282. A Napoli governava Carlo II d'Angiò e in Sicilia Federico d'Aragona, fratello di Giacomo II che, a sua volta, era passato sul trono d'Aragona. Il 20 giugno del 1295, spinto dal Papa, che parteggiava per l'angioino avendolo questi aiutato nella cattura del Morrone, Giacomo II sottoscrisse la Pace di Anagni con la quale rinunciava ad ogni diritto sulla Sicilia a favore del Papa. Mentre questi, a sua volta, li trasferiva a Carlo d'Angiò. Ma la Sicilia si ribellò preferendo come re il suo governatore Federico e non l'angioino. Il Papa, seppur malvolentieri, dovette acconsentire e incoronò Federico nella cattedrale di Palermo il 25 marzo 1296. Questa incoronazione fu la prima amara sconfitta per papa Bonifacio. Questa sconfitta sarà sanzionata successivamente e definitivamente mediante la Pace di Caltabellotta, stipulata nel 1303 tra Roberto d'Angiò, figlio di Carlo II e Federico, il quale riceveva il titolo di re di Trinacria e, come feudo, la Sicilia. La Pace di Caltabellotta segnò l'affermazione definitiva degli Aragonesi per l'inizio della loro espansione nel Mediterraneo. La pace di Caltabellotta, divideva il meridione italiano in regno di Trinacria (solo l'isola), affidato a Federico ed Eleonora d'Angiò (figlia di Carlo II), e quello di Sicilia (la penisola), guidato da Carlo. Federico, affidata la corona al figlio Pietro, cercò di aggirare la pace e la guerra riprese. Si riuscì a trovare un accordo finale solo alla morte di Pietro (1342), quando salì al trono il figlio Ludovico sotto tutela di Giovanni d'Aragona. Fu probabilmente grazie alla diplomazia di Giovanni che si raggiunse un primo accordo di pace con gli Angioini detto la pace di Catania l'8 novembre 1347. Ma la guerra fra Sicilia e Napoli si sarebbe chiusa solo il 20 agosto 1372 dopo ben novanta anni, con la pace di Avignone firmata da Giovanna d'Angiò e Federico IV d'Aragona con l'assenso di Papa Gregorio XI.
Federico III (pare giusto chiamarlo Federico IV perchè fu il quarto Federico a regnare in Sicilia) lasciò, morendo (morì nel convento dei Cavalieri di San Giovanni tra Paternò e Catania, il 25 giugno 1337. Fu sepolto provvisoriamente nel duomo di Catania. Ma la sua tomba rimase lì, e ancora in quel tempio si trova ), la Sicilia ancora in guerra; è questo il dato più appariscente del suo lungo regno. Dopo la sua scomparsa , per circa ottant'anni, si succedettero avvenimenti convulsi contrassegnati ancora dalle mai spente aspirazioni al dominio dell'isola da parte degli angioini, appoggiati sempre dal papato, dagli interventi sempre più massicci dai regnanti iberici, dall'emergere e dall'affermarsi di una potente e agguerrita nobiltà feudale. All'inizio del secolo successivo, la Sicilia avrebbe perduto la sua identità diventanto un viceregno. Federico III fu l'ultimo grande re di una Sicilia che ancora aspirava con fierezza alla propria autonomia. L'ultimo grande re di Sicilia, nonostante fosse stato impegnato in modo massiccio nelle campagne militari, riuscì a portare avanti i suoi disegni miranti a dare nuovi ordinamenti all'isola. Egli diede alla regione da lui amministrata leggi più giuste, incrementò le attività letterarie e scientifiche, migliorò le condizioni di servi e schiavi, disciplinò la presenza di saraceni ed ebrei in seno alla comunità siciliana, combattè il gioco e l'esercizio delle arti magiche, emanò norme per reprimere il lusso. Il suo capolavoro è tuttavia costituito dalle cosiddette "costituzioni federiciane" del 1296 emanate sulla scia dell'ordinamento dell'età normanno-sveva. Egli come prima cosa stabilì che il monarca non poteva assolutamente abbandonare l'isola nemmeno nel caso fosse entrato in possesso di un altro regno. Ristrutturò inoltre il parlamento fissando precise norme. Il parlamento siciliano infatti doveva riunirsi almeno ogni anno, il giorno dei Santi, con tutti i suoi componenti: prelati, baroni, amministratori delle città per decidere della guerra e della pace, provvedere alla gestione della cosa pubblica,emanare leggi, stipulare trattati con potenze straniere, decidere la misura dei donativi. Con una visione assai aperta, se rapportata ai tempi, Federico III avrebbe potuto porre le basi di una monarchia costituzionale se alcuni vizi di fondo non avessero minato la sua costituzione politica. Questi vizi erano costituiti dalla formazione stessa del parlamento federiciano: i nobili che ne facevano parte erano in misura preponderante ed erano quindi in grado di portare le loro rivalità e le loro risse in seno al congresso e di imporre le loro decisioni. I nobili, appunto, ebbero un enorme influenza nelle città demaniali soprattutto dopo la morte di Federico III. Basterebbe dire che mentre in età normanna il feudo er considerato una concessione temporanea fatta al barone, nell'età di Federico III i nobili ebbero il possesso delle loro terre con obblighi soltanto formali nei confronti del sovrano. I Chiaramonte, I Ventimiglia, i Palizzi, i Moncada, i Peralta con le loro rivalità, con le loro alleanze, con i loro contratti di matrimonio, furono autentici protagonisti della vita pubblica nel XIV secolo in Sicilia. Testimonianza del loro splendore sono oggi gli imponenti palazzo baronali: lo Steri e lo Sclafani a Palermo e i castelli con torri di difesa sparsi in tutta l'isola, ad Agrigento, Naro, Bivona,Favara. L'architettura promossa dalla famiglia Chiaramonte venne definita "chiaramontana" per le sue precise caratteristiche. I Chiaramonte fecero dipingere da Cecco da Naro, Simone da Corleone e Darenu da Palermo il soffitto ligneo della loro superba dimora palermitana. Dentro i loro plazzi i baroni esercitavano anche il diritto di "mero e misto imperio", avevano cioè potere di vita e di morte nei confronti dei loro sudditi.
Alla morte del re Federico III sembrò pacifica l'ascesa al trono del figlio Pietro che tanti anni prima il padre stesso aveva voluto al suo fianco con la dignità di monarca. Il cronista MIchele da Piazza narrò nella sua Cronaca che i nobili catanesi, dopo le esequie al genitore, gli andarono incontro "tutti vestiti in abiti di seta e nella più pomposa foggia e con le palme alle mani". L'ascesa di Pietro II d'Aragona al trono di Sicilia era una aperta violazione del trattato di Caltabellotta. Roberto d'Angiò reclamò quello che riteneva un suo diritto, la reintegrazione del trono di Sicilia, e chiese ancora una volta l'intervento papale. Pietro tentò di ingraziarsi il papa Benedetto XII; inviò una ambasceria ad Avignone per dirsi disposto a pagare un censo pur di essere considerato re legittimo di Sicilia. Ma il papa, così come avevano fatto tutti i suoi predecessori negli anni burrascosi del conflitto con la Sicilia, si schierò apertamente dalla parte degli angioini. E fu di nuovo guerra. Nello scacchiere politico - diplomatico intanto facevano la loro apparizione le potenti famiglie feudali e tra queste i Ventimiglia , i Palizzi, i Chiaramonte. Quest'ultima famiglia aveva reso grandi servizi alla corona aragonese. Manfredi I Chiaramonte aveva preso parte alla guerra antifrancese e alle vicende belliche sotto i re Pietro e Giacomo. Morto nel 1321 Manfredi I, divenne erede il fratello Giovanni I il quale fece parte dell'ambascieria inviata dal senato palermitano a Bonifacio VIII (1295) per ottenere il consenso papale della nomina di Federico III come re di Sicilia. Giovanni I Chiaramonte sposò qualche tempo dopo una Palizzi di nome Lucca accrescendo così, con l'apporto di altra potente famiglia feudale, il suo prestigio e la sua forza d'urto nei confronti di altra famiglia rivale, quella dei Ventimiglia. Uno dei Ventimiglia, nel corso della lotta, morì cadendo da cavallo, e allora i suoi seguaci si rivolsero direttamente a Roberto d'Angiò per piegare la potenza dei Chiaramonte e dei Palizzi coalizzati.
Roberto d'Angiò accolse ben volentieri l'invito e in breve tempo organizzò una spedizione contro la Sicilia alla cui testa mise un suo figlio naturale Carlo d'Artois. La spedizione nel 1338 conseguì qualche successo occupando Termini. L'anno seguente dopo la scomunica di re Pietro che aveva rifiutato (temendo il peggio) di presentarsi al cospetto di Benedetto XII, un'altra spedizione angioina salpò verso la Sicilia. Prima a cadere fu la fortezza di Lipari; successivamente gli angioni occuparono anche Milazzo. Mentre ancora c'era questa situazione caotica, il 15 agosto 1342 si spense Pietro II. La morte lo colse così improvvisamente che il suo cadavere venne frettolosamente deposto nel grande sarcofago di porfido che già custodiva le spoglie del grande svevo Federico II. Erede rimase il figlio Ludovico che allora aveva soltanto cinque anni. Approfittando delle incertezze derivate da questa situazione, i Palizzi, che nel 1340 - caduti in disgrazia - erano stati costretti ad andare in esilio, si ribellarono apertamente all'autorità regia e chiesero l'aiuto degli angioini. Ma in questo frangente anche Roberto d'Angiò lasciò questo mondo (1343). La sua fine vanificò sia i propositi di vendetta da parte dei Palizzi che i vecchi e mai soddisfatti desideri della dinastia di Napoli di riconquistare la Sicilia. Questi eventi produssero una salutare tregua: in nome del piccolo Ludovico, regnò Giovanni, quartogenito di Federico, il quale era già marchese di Randazzo nonchè duca di Atente e di Neopatria. Combattivo, ma sfortunato, Giovanni non riuscì a sollevare le sorti del regno.
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