Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

  • A proposito degli alieni....

    Il saggio dal titolo "A proposito degli alieni....", di Francesco Toscano e Enrico Messina

    Sinossi: Fin dalla preistoria ci sono tracce evidenti del passaggio e dell’incontro tra esseri extraterrestri ed esseri umani. Da quando l’uomo è sulla Terra, per tutto il suo percorso evolutivo, passando dalle prime grandi civiltà, all’era moderna, sino ai giorni nostri, è stato sempre accompagnato da una presenza aliena. Lo dicono i fatti: nei reperti archeologici, nelle incisioni sulle rocce (sin qui rinvenute), nelle sculture, nei dipinti, in ciò che rimane degli antichi testi, sino ad arrivare alle prime foto e filmati oltre alle innumerevoli prove che oggi con le moderne tecnologie si raccolgono. Gli alieni ci sono sempre stati, forse già prima della comparsa del genere umano, e forse sono loro che ci hanno creato.

  • Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.

    Il saggio dal titolo "Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Milioni di persone in tutto il mondo credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E se fosse vero? Questo libro nasce proprio per questo motivo, cercare di dare una risposta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, al quesito anzidetto. L`archeologia spaziale, o archeologia misteriosa, è definibile come la ricerca delle tracce, sotto forma di particolari reperti archeologici o delle testimonianze tramandate nel corso dei millenni, di presunti sbarchi sulla Terra di visitatori extraterrestri avvenuti all’alba della nostra civiltà.

  • Condannato senza possibilità d'appello

    Il romanzo breve dal titolo "Condannato senza possibilità d'appello.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Le concezioni primitive intorno all`anima sono concordi nel considerare questa come indipendente nella sua esistenza dal corpo. Dopo la morte, sia che l`anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d`animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica, seguirà sempre il volere di Dio; cioè il volere dell’Eterno di consentire alle anime, da lui generate e create, di trascendere la vita materiale e innalzarsi ad un piano più alto dell’esistenza, imparando, pian piano, a comprendere il divino e tutto ciò che è ad esso riconducibile.

  • L'infanzia violata, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano

    Sinossi: Dovrebbero andare a scuola, giocare, fantasticare, cantare, essere allegri e vivere un'infanzia felice. Invece, almeno 300 milioni di bambini nel mondo sono costretti a lavorare e spesso a prostituirsi, a subire violenze a fare la guerra. E tutto ciò in aperta violazione delle leggi, dei regolamenti, delle convenzioni internazionali sui diritti dell'infanzia. La turpe problematica non è lontana dalla vostra quotidianità: è vicina al luogo in cui vivete, lavorate, crescete i vostri bambini. Ad ogni angolo dei quartieri delle città, dei paesi d'Italia, è possibile trovare un'infanzia rubata, un'infanzia violata.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei "ru viddrani", Don Ciccio, "u pastranu", capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un'acredine che amplifica l'entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea Romanescu, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il fantasy dal titolo "E un giorno mi svegliai", di Francesco Toscano

    Sinossi: "E un giorno mi svegliai" è un fantasy. Il personaggio principale del libro, Salvatore Cuzzuperi, è un impiegato residente nella provincia di Palermo che rimane vittima di un'esperienza di abduction. Il Cuzzuperi vivrà l'esperienza paranormale del suo rapimento da parte degli alieni lontano anni luce dal pianeta Terra e si troverà coinvolto nell'aspra e millenaria lotta tra gli Anunnaki, i Malachim loro sudditi, e i Rettiliani, degli alieni aventi la forma fisica di una lucertola evoluta. I Rettiliani, scoprirà il Cuzzuperi, cercano di impossessarsi degli esseri umani perché dotati di Anima, questa forma di energia ancestrale e divina, riconducibile al Dio Creatore dell'Universo, in grado di ridare la vita ad alcune specie aliene dotate di un Dna simile a quello dell'uomo, fra cui gli stessi Rettiliani e gli Anunnaki. Il Cuzzuperi perderà pian piano la sua umanità divenendo un Igigi ammesso a cibarsi delle conoscenze degli "antichi dèi", ed infine, accolto come un nuovo membro della "fratellanza cosmica".

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei “ru viddrani”, Don Ciccio, “ù pastranu”, capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un’acredine che amplifica l’entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea ROMANESCU, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • Naufraghi nello spazio profondo, di Francesco Toscano

    Il romanzo di fantascienza dal titolo "Naufraghi nello spazio profondo ", di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza.

  • Malacarne, di Francesco Toscano

    Libro/E-book: Malacarne, di Francesco Toscano

    Sinossi: Nella primavera dell'anno 2021 a Palermo, quando la pandemia dovuta al diffondersi del virus denominato Covid-19 sembrerebbe essere stata sconfitta dalla scienza, malgrado i milioni di morti causati in tutto il mondo, un giovane, cresciuto ai margini della società, intraneo alla famiglia mafiosa di Palermo - Borgo Vecchio, decide, malgrado il suo solenne giuramento di fedeltà a Cosa Nostra, di vuotare il sacco e di pentirsi dei crimini commessi, così da consentire alla magistratura inquirente di assicurare alla giustizia oltre sessanta tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria Gesù. Mentre Francesco Salvatore Magrì, inteso Turiddu, decide di collaborare con la Giustizia, ormai stanco della sua miserevole vita, qualcun altro dall'altra parte della Sicilia, che da anni ha votato la sua vita alla Legalità e alla Giustizia, a costo di sacrificare sé stesso e gli affetti più cari, si organizza e profonde il massimo dell'impegno affinché lo Stato, a cui ha giurato fedeltà perenne, possa continuare a regnare sovrano e i cittadini possano vivere liberi dalle prevaricazioni mafiose. Così, in un turbinio di emozioni e di passioni si intrecciano le vite di numerosi criminali, dei veri e propri Malacarne, e quella dei Carabinieri del Reparto Operativo dei Comandi Provinciali di Palermo e Reggio di Calabria che, da tanti anni ormai, cercano di disarticolare le compagini mafiose operanti in quei territori. Una storia umana quella di Turiddu Magrì che ha dell'incredibile: prima rapinatore, poi barbone e mendicante, e infine, dopo essere stato "punciutu" e affiliato a Cosa Nostra palermitana, il grimaldello nelle mani della Procura della Repubblica di Palermo grazie al quale potere scardinare gran parte di quell'organizzazione criminale in cui il giovane aveva sin a quel momento vissuto e operato.

  • NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA , di Francesco Toscano

    Libro/E-book: NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA,di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza. Nel giro di pochi anni, pur tuttavia, a differenza di quanto auspicatosi dagli scienziati che avevano ideato e progettato la missione Marte, l’ingegnere MIGLIORINI e la sua progenie sarebbero rimasti coinvolti in un’aspra e decennale guerra combattuta da alcuni coloni di stanza sul pianeta Marte e da altri di stanza sulla superficie polverosa della nostra Luna, per l’approvvigionamento delle ultime materie prime sino ad allora rimaste, oltre che per l’accaparramento del combustibile, costituito da materia esotica e non più fossile, di cui si alimentavano i motori per viaggi a velocità superluminale delle loro superbe astronavi; ciò al fine di ridurre le distanze siderali dello spazio profondo e al fine di generare la contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali, che avrebbero consentito loro di percorrere le enormi distanze interstellari in un batter di ciglia...






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lunedì 12 settembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo dodici.

 

Dodici.

 Osservo le piante che crescono in serra quasi estasiato. Non mi balenò mai in mente, quando mi trovavo sulla Terra, che un giorno sarei potuto diventare un agricoltore; di agricoltori nel mio Stato, il Maine, ve n’erano pochi. I miei avi, originari di Portland, erano stati dei pescatori. A pochi metri di distanza da me Johannés cercava di raccogliere i frutti del nostro raccolto: dei pomodori. Li raccoglieva con molta cura, uno per uno, con tanta grazia, quasi a volerne catturare l’energia contenuta all’interno degli atomi di cui essi erano composti. Ella si accorse che io la guardavo con molta attenzione ed insistenza e, rivolto il suo sguardo verso di me, mi sorrise teneramente. Era proprio una bella donna Johannés. A volte io pensavo a lei in un modo che a lei non sarebbe piaciuto. Era alta e alquanto formosa la mia giovane amica Johannés. Era in gamba, il nostro ingegnere civile, per davvero! Red in quel momento era affaccendato ad esaminare il nostro stato psicofisico, leggendo il risultato degli esami clinici a cui egli ci aveva costretto  a sottoporci qualche giorno addietro: voleva conoscere il nostro stato di salute con impazienza, ci aveva detto. I mesi trascorrevano inesorabilmente. Marte era sempre pronto ad ucciderci alla prima favorevole occasione, ma noi tre sopravvissuti avevamo fatto un patto di alleanza: riuscire a vivere il più a lungo possibile, in modo tale da raggiungere la stazione marziana “New Millenium”, quanto prima. Il nostro primo Capodanno su Marte me lo ricordo ancora adesso. Brindammo con succo di pomodoro; il succo non aveva le bollicine dello spumante, ma nel complesso era molto buono. Johannés era stata davvero brava a realizzarlo per noi.  Eravamo sereni e felici di essere riusciti nel nostro intento: sopravvivere!

-       -  Joseph, vieni qui un momento! – Esclamò Red.

-       - Che cosa c’è? – Gli chiesi io un po’ timoroso, consapevole del fatto che il mio stato di salute non eccellesse.

-        -  I tuoi valori non mi piacciono per niente!-

-       -  Perché qual è il problema?-


Red cominciò ad elencarmi una decina di valori risultati dal mio prelievo ematico che erano fuori scala. Il ferro era basso e altri miei parametri vitali gli avevano fatto sorgere il dubbio che io non mangiassi a sufficienza.

-         - Ma se non mangi quasi nulla! – Disse Johannés.

-         - Ma che dici, amica mia, non è vero!-

-       - Senti Joseph, il problema non è perché non ti nutri a sufficienza, ma perché sei l’unico di noi sopravvissuti in grado di condurci, forte delle tue conoscenze ingegneristiche, a “New Millenium”; devi mangiare non solo per te stesso ma anche per la nostra sopravvivenza.

-      - Non temete, che appena mi rimetterò in forma la prima cosa che farò è di costruire un robot in grado di assemblare un mezzo meccanico che ci consenta di viaggiare agevolmente sulla superficie polverosa di Marte alla volta della stazione marziana.- 

Dissi ai miei giovani amici, mentendo; ero consapevole che avrei impiegato tantissimo tempo a costruire qualcosa che potesse funzionare e che potesse consentirci il trasferimento dal nostro campo base a “New Millenium”. Alla fine ci impiegai quasi un anno a costruire il robot che fosse stato in grado, a sua volta, di costruire una macchina in grado di trasportarci e farci arrivare a “New Millenium”. Costruire una struttura solida con gli elementi di cui disponevamo non era stato facile. Il robot, pur tuttavia, fu in grado di assemblare un rover, dall’aspetto bizzarro, sfruttando le parti meccaniche ancora integre della nostra navetta spaziale. Il robot costruttore, il prototipo di quelli che oggi scorrazzano sulla superficie di Marte assemblando tutte le strutture che costituiscono oggi la nostra base, sventrò, letteralmente, la navetta spaziale estraendo da essa l’alluminio necessario per la costruzione dello chassis del nuovo rover, oltre che tutta la componentistica elettronica necessaria per la “navigazione” sul Pianeta rosso. La costruzione delle quattro ruote motrici fu davvero un’impresa titanica. Non so come abbia fatto, ma alla fine il robot vi riuscì. Partendo dalla chimica di base presente su Marte, il robot costruttore riuscì a realizzare, in una specie di fonderia distante dal campo base oltre 100 metri, una struttura molecolare che aveva paritetiche caratteristiche della gomma utilizzata dai terrestri per la realizzazione delle ruote dei rover che avrebbero dovuto solcare il terreno polveroso di Marte. Il software di controllo e gestione era quello che era già stato installato nel drive del “Minotauro”, il quale divenne parte integrante della nuova creatura, una sorta di nuovo "perseverance". Ancora oggi se penso a quel risultato ottenuto in modo provvidenziale, mi viene ancora da piangere. Non piango per rispetto dei miei nipoti e degli altri componenti il mio nucleo familiare, i quali si potrebbero preoccupare per me vedendomi piangere. Ora spengo il computer. Vado a riposare un po’. Scusatemi, ma sono stanco. Un abbraccio, Joseph.

venerdì 9 settembre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo undici.


 

 Undici.

 

Gli esseri umani non sono nati per trascorrere tanto tempo nello spazio profondo; essi, infatti, quali entità biologica a base di carbonio, non tollerano di buon grado le radiazioni che scaturiscono dalle esplosioni stellari, oppure di tipo galattico o intergalattico, fra cui i raggi gamma e raggi-X: i cosiddetti raggi cosmici che, in maniera silente, possono bombardare sino a distruggerle le cellule di cui si compone il loro organismo. Gli scienziati terrestri, in virtù di ciò, inventarono nei primi anni Venti del nuovo Millennio una tuta spaziale in grado di consentire al nostro organismo di viaggiare fra le stelle senza colpo ferire. Questa piccola invenzione, ma grande dal punto di vista tecnologico, ci consentì di raggiungere il pianeta Marte senza che i nostri organi interni venissero danneggiati. Questa invenzione ci permise durante il nostro lungo viaggio fra le stelle alla volta di Marte di non sviluppare il cancro. Nell'arco degli otto mesi del lungo viaggio che avremmo dovuto affrontare oltre le fasce di Van Allen, quindi, malgrado non avessimo il campo magnetico terrestre a proteggerci, non avremmo dovuto temere di sviluppare alcun tumore nelle nostre cellule. I raggi cosmici sono fatti per lo più di protoni liberi, ma si possono trovare nuclei atomici di elementi di varia natura, con tracce di antimateria. Le loro energie spaziano dalle centinaia di MeV alle centinaia di miliardi di GeV: essi sono, perciò, estremamente variegate. Gli scienziati, oltre alla realizzazione delle  tute di cui fummo equipaggiati, ci protessero schermando il nostro "catafalco cosmico" usando materiale idrogenato, ovvero degli schermi attivi per attutire le radiazioni ionizzanti. Io, pur tuttavia e malgrado tutte le precauzioni adottate dagli scienziati terrestri, mi ammalai di tumore al colon-retto quando mi accingevo a festeggiare i miei primi sessant'anni di vita. Grazie alla IA e ai robot chirurghi, alle terapie mediche a cui venni sottoposto all'interno della stazione marziana "New Millenium", sconfissi il cancro prima che le mie cellule si ammalassero definitivamente. Il tumore del colon-retto rappresentava il 10 per cento di tutti i tumori diagnosticati nel mondo, ed era terzo per incidenza dopo il cancro del seno femminile e del polmone. Io fui il primo umano sopravvissuto su Marte che ebbe la sfortuna di contrarre tale tipologia di tumore. Fortunatamente per me all'epoca dei fatti su Marte la IA e i robot erano in grado di sconfiggere questo male in tempi celeri: ma questa è una storia che non mi va di raccontare; preferisco raccontare ai posteri quello che fummo in grado di realizzare noi piccoli esseri umani su Marte, la nostra nuova "casa". Erano da poco trascorsi sessanta giorni dal nostro ammartaggio, quando riuscimmo a realizzare la nostra prima serra idroponica all'interno del cunicolo lavico in cui avevamo allestito il nostro angusto campo base. La serra da noi realizzata era il frutto di anni di studi condotti dai ricercatori dell'Università dell'Arizona, anni prima di imbarcarci all'interno della nostra navetta spaziale. La serra ci consentì oltre che di sfamarci, anche di produrre, in quantità sufficiente, ossigeno per respirare. La serra produceva l'ossigeno per il nostro fabbisogno giornaliero e noi astronauti, in cambio, gli consegnavamo l'anidride carbonica prodotta dalla nostra respirazione. Si trattava di un piccolo sistema biologico di supporto vitale auto-rigenerante ed era il risultato dell'impegno profuso da quegli scienziati che anni prima vennero incaricati dalla Nasa di sviluppare tale tecnologia per le future esplorazioni umane di Marte. La serra era stata da noi realizzata con tubi leggeri e pieghevoli che misuravano 5,5 metri di lunghezza per 2 metri di diametro. La serra era lunga 30 metri e sarebbe stata in grado di garantirci la nostra sopravvivenza sul Pianeta rosso per anni. Il sistema era stato progettato in origine per auto-assemblarsi in modo autonomo in modo da precedere di qualche mese l'arrivo degli astronauti su Marte, così da accoglierli con piante già cresciute e sfruttabili. La serra ricreava una sorta di versione idroponica in miniatura dei sistemi terrestri che consentivano la vita. Era per noi un vero portento! Sono stanco, scusate, ma vado a letto. Non riesco più a scrivere per oggi. Abbiate pazienza, vi racconterò il resto della storia fra qualche giorno. Un abbraccio, Joseph.

venerdì 2 settembre 2022

Libri: Il Signore di Notte, presentazione a Lovere.

La Sala degli Affreschi dell’Accademia di Belle Arti Tadini sul lungolago di Lovere (Bergamo) ospiterà la presentazione del libro «Il Signore di Notte», un giallo ambientato nella Venezia del 1605. L’evento è fissato per giovedì 8 settembre 2022 alle 21. Ingresso da piazza Garibaldi 5. A dialogare con l’autore Gustavo Vitali sarà il giornalista Sergio Cotti.

L’opera è un giallo storico con personaggi realmente vissuti che l’autore ripropone in una trama di fantasia. In più l’aggiunta di curiosità, aneddoti, fatti e fatterelli di vita reale dell’antica Serenissima costituisce un bagaglio di informazioni che calano il lettore nel clima di una Venezia appena uscita da un secolo di grande splendore per avviarsi verso un incerto futuro.

Tutto ha inizio il 16 aprile 1605. Nella sua misera casupola viene rinvenuto il cadavere di un nobile caduto in miseria, prima vittima di un racconto ricco di suspense. A farsi carico delle indagini è un magistrato goffo e pasticcione che irrompe sulla scena del delitto con una buona dose di spocchia; personaggio contorto, incerto, che cambia umore da un momento all’altro, tormentato da dolori di un passato che non riesce a buttarsi alle spalle. Per lo più si tuffa in una stramba relazione con una dama tanto bella quanto indecifrabile che gli procurerà nuovi tormenti.

Nel frattempo affronta le indagini con una presunzione pari solo alla propria inadeguatezza, incappando in clamorose sconfitte. Per fortuna giunge in suo soccorso un capitano delle guardie che ha l’esperienza che a lui manca, un personaggio che via via assurgerà al ruolo di co-protagonista. Costui instraderà lo sprovveduto verso la soluzione dell’enigma in un finale niente affatto scontato e del tutto sorprendente, ma solo dopo incessanti colpi di scena, agguati, nuovi delitti e quelli che riemergono dal passato.

Milanese di nascita, Gustavo Vitali, vive a Bergamo da più di 40 anni. È un appassionato di storia in generale e di Venezia in particolare, oltre che di volo in parapendio. Questa sua prima opera denota un lungo lavoro di ricerca e documentazione.

 

Per informazioni sul libro e sulla presentazione, contattare l’autore:

Gustavo Vitali - 335 5852431 - skype: gustavo.vitali – gustavo (AT) gustavovitali.it 

sito ufficiale – pagina facebook


mercoledì 24 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo dieci.


Dieci.


- Clif, stai attento, per carità di Dio!- Questa è la frase che ricordo di aver esclamato, a squarcia gola, il giorno in cui ci accingemmo, per la prima volta, a calare la strumentazione in nostro possesso e che ci avrebbe consentito di allestire il primo campo base all'interno del cunicolo lavico rinvenuto a pochi metri dall'area di ammartaggio della nostra navetta spaziale. 
Clif, il più piccolo della spedizione umana e che da poco aveva compiuto 23 anni, poveretto, il giorno in cui uscimmo dalla navetta spaziale venne colpito violentemente e in pieno volto dal gancio fissato sul verricello della gru del "Minotauro", nel corso della tormenta di polvere marziana che investì noi sopravvissuti nei pressi della bocca di accesso del cunicolo lavico marziano. Pochi e interminabili secondi di terrore in cui vedemmo il nostro amico morire sotto i nostri occhi con il cranio fracassato. Le nostre energie vitali, già di per sé impercettibili, si esaurirono definitivamente. 

Uno scoramento profondo ci rese, per parecchie ore, inabili ad eseguire qualsiasi voglia operazione tecnico - pratica. Clif era il settimo astronauta deceduto della nostra sciagurata spedizione umana sul Pianeta rosso. Lasciammo Clif esanime e in balia della tormenta di polvere sul suolo polveroso di Marte per circa tre giorni. 

Noi, fortunatamente, dopo circa mezz'ora eravamo riusciti a trovare rifugio all'interno del modulo abitativo gonfiabile che avevamo fatto "esplodere" una volta che era stato calato all'interno del cunicolo lavico. Il terzo giorno ci facemmo coraggio per recuperare i resti mortali del nostro giovane amico, così da dargli una degna sepoltura all'interno della stessa fossa comune in cui avevamo già riposto gli altri sei cadaveri. 

Sul tumulo di terra della fossa comune da noi realizzata posammo delle pietre, a formare una colonna, una stele, che ricordava quella della cultura dei popoli primitivi allorquando essi allestivano, sul tumulo di terra che ricopriva i sepolcri, una stele funeraria a perenne ricordo del lutto che li colpì; poi, ciascuno di noi raccolse dall'interno della navetta spaziale un oggetto appartenuto in vita ai nostri giovani amici deceduti che conficcammo sulla sabbia marziana, così violentemente che lì sarebbero rimasti per centinaia di anni, a futura memoria che lì giacevano le spoglie mortali di sette eroi terrestri che avevano sfidato le avversità dello spazio profondo per giungere su questa landa desolata e inospitale alla vita, ove poter sopravvivere all'estinzione della nostra specie. Della nostra spedizione umana su Marte eravamo rimasti solo in tre sopravvissuti: io, Johannés, Red. 

A quel punto, questi fortunati sopravvissuti avevano spazio a sufficienza per vivere nel modulo abitativo e generi alimentari da condividere per gli anni a venire, oltre che le colture che essi avrebbero potuto ricavare dalla serra che da lì a poco allestirono. Dopo il saluto di commiato ai nostri sette eroi caduti, ci ritirammo all'interno del modulo abitativo e, in particolare, all'interno del dormitorio affinché potessimo recuperare le forze e l'energia psicofisica di cui ciascuno di noi aveva di bisogno per vivere su Marte. Erano trascorsi quasi due settimane dal nostro ammartaggio e le condizioni climatiche non erano tra le migliori che avremmo potuto trovare su quel pianeta. 

La tempesta di sabbia che causò la morte di Clif era di dimensioni globali, che capitava circa ogni tre anni marziani, ovvero cinque anni e mezzo terrestri. Una tempesta di minuscole particelle di polvere inghiottì gran parte di Marte. La foschia bloccava la luce del Sole, privandoci della sua energia vitale, motivo per cui fummo costretti ad attivare e poi interrare l'RTG, così da avere l'energia sufficiente che ci avrebbe consentito di continuare a vivere. 

Le tempeste di sabbia sono infatti molto frequenti su Marte, in particolar modo durante i mesi primaverili ed estivi nell'emisfero meridionale; di solito durano un paio di giorni e interessano porzioni delle dimensioni degli Stati Uniti. Le tempeste globali invece sono eventi più rari, imprevedibili e a volte possono durare anche mesi interi. La tempesta di sabbia che ci colpì durò tre mesi, non consentendoci di fare degli EVA (Extra-vehicular activity) e costringendoci a rimanere all'interno dell'unità abitativa ove, tormentati dal nostro dolore per aver perduto tanti giovani amici, riuscimmo a recuperare le forze per affrontare il "gigante" chiamato Marte.

lunedì 22 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo nove.


Nove.

 

L’uomo non è fatto per vivere su Marte. Per vivere sul Pianeta rosso, alla stessa stregua di quando vivevamo sulla Terra, noi quattro avremmo dovuto trasformare tutta l'anidride carbonica presente su questo corpo celeste, ossia il 95,32% dell'atmosfera, in ossigeno: impossibile!

Al dire degli scienziati, prima della nostra partenza alla volta di Marte, l’unica soluzione sarebbe stata, in linea teorica, quella di Terraformare (in soldoni “rendere terrestre”) Marte, introducendo delle colture, ovvero taluni vegetali, che avremmo dovuto far crescere sul pianeta mediante il processo della sintesi clorofilliana; ma questa non era la cosa più ovvia da fare, avuto riguardo che Marte è circa il 70% delle dimensioni della Terra. E poi, una cosa ovvia e non meno scontata era quella che l'atmosfera terrestre, sino al giorno prima che noi partissimo alla volta di quel puntino rosso che di notte scrutavamo nel cielo, era composta dal 78% da azoto; quella che abbiamo oggi su Marte è prevalentemente composta da CO2. Condurre una vita sul Pianeta rosso con le stesse modalità di quelle sino ad allora vissute sulla Terra, quindi, sarebbe stato per noi quattro impossibile: le radiazioni che il nostro organismo avrebbe dovuto assorbire, allestendo il nostro campo base di fortuna sulla superficie marziana, sarebbero state talmente elevate che, nel giro di pochi mesi, ci avrebbero condotto a morte certa.

L'unico modo possibile di vivere su quella landa desolata e inadeguata alla vita era quello di stare al riparo dalle polveri radioattive, ovvero vivere nel sottosuolo di Marte, il più possibile al riparo. Così facemmo. Il campo base che realizzammo era particolarmente angusto, uno spazio piccolo riservato a quattro persone, ove ci saremmo dovuti impegnare a fondo per far sì che tutti andassero d’accordo. La struttura era composta di due piani: il primo era riservato ad attività di laboratorio biologico e aveva una stanza per la preparazione alle attività esterne, al secondo piano c’era il dormitorio.

Il modulo abitativo e di laboratorio era stato compresso all’interno della navetta spaziale all’inverosimile. Una volta che la struttura venne da noi adagiata sulla superficie del cunicolo lavico, fu un gioco da ragazzi quello di farla “esplodere” e di farlo divenire la nostra futura unità abitativa. Detta struttura, infatti, era stata concepita per espandersi e auto allinearsi a comando: un pulsante rosso indicava agli astronauti che pigiandolo ci avrebbe consentito di rendere il modulo fruibile, giacché si sarebbe gonfiato nel giro di pochi minuti; ci impiegò mezz’ora, di fatto, ma alla fine era divenuto davvero un’unità abitabile, così come recitava il manuale d’istruzione.

Qualche giorno dopo realizzammo la struttura per l’allestimento della nostra futura serra, grazie al robot trasportatore che, nell’occasione, era stato da noi predisposto per divenire una stampante in 3D avente un braccio meccanico lungo 2 metri.

La struttura da noi creata riprendeva nella forma e nella tipologia autoportante, elementi terrestri come la Tholos e i Trulli; per il materiale d’impiego per la stampa fu utilizzata la stessa regolite presente sulla superficie, che veniva estratta dall’area e processata nel Bee Processor all’interno del quale veniva miscelata con dei solventi e con un legante di origine organica, il PLGA. Il materiale così ottenuto e ribattezzato cemento marziano, passava poi nel 3D Printer che avrebbe proceduto con la stampa per layers.

Questi elementi sarebbero risultati lisci all’intradosso interno, modellati invece esternamente, per consentirne l’autombreggiamento e permettere l’accumulo di polveri, al fine di avere un guadagno in termini di inspessimento dello spessore murario. Per il sistema verde, nonostante su Marte le caratteristiche climatiche siano avverse alla crescita di specie vegetali, ben 2 erano i sistemi del verde pensati per superare le condizioni di ambiente estremo.

Di questi, uno era rivolto alla generazione di risorse, dunque alla produzione di cibo ed era posizionato intorno al cuore centrale ed illuminato da green lights; l’altro invece era costituito da un giardino virtuale ed era volto a garantire la salute sociale degli astronauti. Entrambi facevano riferimento ad una fase di espansione successiva in cui l’insediamento umano fosse ormai cresciuto divenendo una colonia.

Un cunicolo, da noi creato ad hoc, collegava, infine, la serra al modulo abitativo e di laboratorio.

Avevamo colonizzato Marte.


giovedì 18 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo otto.

 


Otto.


Red era da poco rientrato all'interno del modulo abitativo della navetta spaziale, dopo il suo giro di ricognizione marziano, allorquando esclamò, a gran voce, di aver rinvenuto a circa 100 metri dal punto di ammartaggio un cunicolo lavico con una buona apertura dalla quale avremmo potuto calare, attraverso il verricello presente sul robot trasportatore, l'intera strumentazione a noi occorrente per allestire il nostro primo campo base. In un quarto d'ora riuscimmo ad indossare le nostre tute spaziali, allontanandoci dalla navetta un minuto prima che l'ossigeno si esaurisse definitivamente. Io, Red, Clif, Johannés, finalmente, ci accingevamo ad abbandonare la "latta di metallo" che era stata negli ultimi Sol sia la nostra scialuppa di salvataggio, che la bara contenente i resti mortali dei nostri compagni deceduti. Percorremmo quei 100 metri che ci distanziavano dal cunicolo lavico ansimando. Era stata una vera e propria fortuna, che capitava normalmente una volta su mille, riuscire a trovare quell'anfratto nella roccia marziana che ci avrebbe garantito, una volta che sarebbe stato da noi sistemato ad hoc, di sopravvivere per il tempo necessario a recuperare le forze e poterci organizzare ad allestire il nostro viaggio di andata alla volta della stazione spaziale su cui saremmo dovuti giungere, se non fosse stato per l'avaria del modulo di navigazione e di trasmissione della nostra disgraziata "scialuppa cosmica". Accesi il robot trasportatore, una sorta di Minotauro robotico terminante con un carrello, su cui erano presenti quattro ruote, all’interno del quale avremmo potuto sistemare la strumentazione che ci avrebbe consentito di allestire il campo base. La sabbia marziana, le pietre e le asperità presenti nel terreno ostacolavano l'andatura del robot, facendolo muovere goffamente. Calammo per primo l'ossigenatore, poi il depuratore dell'acqua e, infine, il fusto di idrazina. Dopo qualche ora eravamo tutti e quattro a circa 10 metri sotto il suolo di Marte. Non ci restava che mettere in funzione l'RTG e di interrarlo a breve distanza dalla bocca di apertura del cunicolo lavico che avevamo scoperto e che era stata la nostra salvezza. Purtroppo, non avevamo fatto i conti con il tempo, imprevedibile, di Marte. Da lì a poco fummo investiti da una tremenda tempesta di polvere che uccise il più piccolo della spedizione umana. Ma di questo ve ne parlerò un altro giorno. Ora sono stanco e triste. Il ricordo di quell'assurda tragedia mi provoca, ancora oggi, delle forti emozioni e mi costringe a rimuovere i ricordi che affiorano in maniera nitida nel mio cervello.

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mercoledì 17 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo sette.

 


Sette.


Marte è un luogo desolato e freddo, inospitale per qualsiasi forma di vita, compresa quella umana; è un mondo arido e di ciò ne fummo coscienti sin dal primo momento in cui mettemmo piede sul suo suolo polveroso di fine regolite, tossico per la presenza di perclorati. Su Marte se non sei concentrato muori; se le tue capacità motorie sono già precarie la percentuale di rimanere in vita su questo corpo celeste è pressoché nulla. Noi quattro sopravvissuti ci trascinavamo stancamente sul suolo marziano, segno che le nostre energie vitali erano ridotte ai minimi termini. Malgrado fossimo giunti sul Pianeta rosso già da qualche giorno e fossimo rimasti per ben cinque giorni nascosti all'interno dell'abitacolo della nostra navetta spaziale, non fummo in grado di recuperare le nostre forze in tempi rapidi, atteso gli otto lunghi mesi trascorsi a bordo di quella assurda "latta di metallo" durante il nostro tormentato viaggio tra le stelle. I segnali di allarme che riecheggiavano all'interno della cabina di comando di quel "catafalco spaziale" continuavano a suonare imperterriti, evidenziandoci l'immediato crash dei sistemi, compreso quello afferente la produzione di ossigeno, necessario per il nostro fabbisogno giornaliero. 

- Prendi quella maledetta pinza, Red! - esclamò Clif.
- Che cazzo ci devi fare?-
- Devo smontare questo maledetto affare, prima che l'ossigeno si esaurisca.-
- Lasciate fare a me!- replicai ai miei due compagni di avventura, avuto riguardo delle mie competenze ingegneristiche.

L'ossigenatore indicava che ci rimanevano pochi minuti di aria in cabina. Era necessario, quindi, abbandonare la navetta, dopo aver indossato le nostre tute, alla ricerca di un riparo ove poter ricreare le condizioni abitative già presenti all'interno della nostra "scialuppa di salvataggio" cosmica.

- Red, Clif, Johannés, abbandoniamo la nave! Recuperiamo ciò che ci occorre per allestire un campo base. Tu, Clif, prendi l'ossigenatore da campo; tu Red, per favore, aiuta Johannés a trasportare la macchina per la produzione di acqua potabile, utilizzando, del caso, il robot trasportatore che è chiuso nella stiva.-

L'ossigenatore da campo produceva una miscela gassosa costituita da ossigeno e azoto. Esso, poi, era in grado di azzerare la produzione di CO₂ chimicamente, con l'introduzione nel dispositivo di idrossido di litio e la consequenziale formazione di carbonato; l'ossigeno non consumato nella stanza che avremmo dovuto creare nel nostro campo base, invece, sarebbe stato riciclato ad hoc. L'acqua per la nostra sopravvivenza sarebbe stata creata utilizzando l'idrazina presente nei serbatoi della nostra navetta spaziale, ancora pieni, sfruttando, poi, i sassi marziani come catalizzatore, tenuto conto che essi sono costituiti, in parte, da iridio. L'idrogeno così prodotto sarebbe stato poi combinato con l'ossigeno per formare l'acqua, sfruttando come  innesco iniziale una scintilla da noi autoprodotta, in modo tale da dare inizio alla reazione chimica. L'acqua da noi prodotta sarebbe stata poi riciclata con un depuratore. Sia l'ossigenatore, che il depuratore, che l'idrazina, erano già presenti all'interno della nostra navetta spaziale e, anche se ingombranti, era solo necessario trasportarli nel luogo in cui si sarebbe deciso di creare il nostro primo campo base.

Red uscì in esplorazione. Era stato addestrato dal governo per cercare un luogo su Marte in cui, in caso di necessità, noi tutti fossimo stati costretti ad abbandonare la nave alla ricerca di un riparo. Fortunatamente a poche centinaia di metri dal luogo in cui la navetta toccò il suolo polveroso di Marte era presente un cunicolo lavico, con un ampia apertura d'ingresso da dove il robot trasportatore ci avrebbe consentito di calare l'attrezzatura necessaria per la nostra sopravvivenza sul Pianeta rosso, compreso l'RTG (Radioisotope Thermoelectric Generators) per la produzione di energia elettrica, ovvero un sistema in grado di produrre una fonte di calore utilizzando il decadimento radioattivo del Plutonio - 238; esso, poi, sarebbe stato sotterrato a breve distanza dal campo base che avremmo dovuto allestire, così da consentirci di avere una produzione di elettricità avente una potenza di 110 W. Il modello dell'RTG in dotazione era un riadattamento tecnologico dell'RTG già presente nella sonda Curiosity che, a decorrere dall'anno 2012, esplorò Marte. Gli scienziati a Terra ci dissero che l'involucro che ricopriva l'RTG fosse sicuro e che non avremmo dovuto temere per la nostra salute, considerando che le emissioni da esso emesse, dei raggi alfa, si sarebbero estinti in pochi secondi.

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sabato 13 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo sei.

 


Sei


La prima settimana sul Pianeta rosso la ricordo come il più grande incubo della mia vita. Non era stato facile ammartare, tenuto conto che eravamo andati fuori rotta e il nostro sistema di navigazione ci aveva fatto toccare il suolo marziano a migliaia di chilometri dalla nostra destinazione finale: "New Millenium". Io e i miei compagni di avventura, sopravvissuti all'impresa, fummo costretti a cercare un riparo naturale dove poter continuare a sopravvivere, dove poter stoccare le nostre risorse alimentari, dove poter allestire il nostro primo "campo base". Il dolore di aver perduto alcuni degli uomini che con noi si erano imbarcati sulla "latta di metallo" alla volta di Marte era stato opprimente. Il nostro stato psicofisico e psicologico era ormai ridotto ai minimi termini. Decidemmo di dare ai defunti una degna sepoltura. Trovammo in prossimità di una rupe ubicata a breve distanza del luogo in cui si posò la nostra navetta spaziale la corretta conformazione del terreno ove poter allocare, in quella che ricordo essere stata una fossa comune, i corpi dei nostri giovani amici. Pregammo per le loro anime, affinché avessero potuto trovare pace, quella stessa pace che era venuta a mancare a tutti noi negli ultimi otto mesi. Noi sopravvissuti ci facemmo coraggio e, dopo aver seppellito i cadaveri dei nostri sventurati compagni di avventura, cercammo all'interno della navetta spaziale l'occorrente che ci avrebbe permesso di continuare a respirare naturalmente, di produrre acqua allo stato liquido, di produrre la quantità di energia elettrica sufficiente affinché le nostre apparecchiature potessero continuare a funzionare il più a lungo possibile. Del nostro viaggio di andata Terra - Marte ho rimosso gran parte dei miei ricordi, volutamente, giacché la mia coscienza ad un certo punto ha messo un veto alla memoria a breve e a lungo termine del mio cervello, dimodoché io potessi cancellare, di netto, i ricordi più traumatici. E di ricordi traumatici ve ne erano tantissimi: per primo la morte dei miei compagni di viaggio; poi, l'inadeguatezza della navetta spaziale a sostenere un viaggio spaziale alla volta di Marte; infine, ma non meno importante degli altri due punti menzionati, lo stato mentale degli occupanti del veicolo che contraddistinse quel nostro viaggio tra le stelle. Eravamo letteralmente impazziti e caduti in uno stato di incoscienza che, di fatto, non ci aveva neanche più permesso di interloquire tra di noi. La puzza dei nostri stessi escrementi, della nostra urina che non veniva più riciclata come avremmo sperato che fosse, ci aveva infine fatto scendere in classifica, in una ipotetica gara dei viaggi spaziali sino ad allora sostenuti dall'umanità, all'ultimo posto: eravamo all'interno di un vero e proprio carro bestiame e non in seno a una nave spaziale in grado di percorrere agevolmente la distanza Terra - Marte. La gravità riprodotta artificialmente dagli scienziati terrestri non era quella che avevamo imparato a conoscere, sin dalla nascita, sul nostro pianeta d'origine, limitando notevolmente le nostre già precarie capacità motorie e le nostre forze fisiche, malgrado avessimo a bordo gli strumenti e le apparecchiature necessarie per non perdere la nostra massa muscolare e per irrobustire le nostre ossa. Alla fine ci riducemmo a delle vere e proprie larve umane. 

 - Joseph, ci dobbiamo sbrigare poiché è in arrivo una tempesta di sabbia -, ricordo che mi disse il più piccolo dei sopravvissuti all'impresa, Clif, che aveva da poco compiuto 23 anni quando egli ancora si trovava a vivere sulla Terra nella città di Okinawa, in Giappone. 

 - Clif, sto ancora male, non mi reggo sulle gambe! - Esclamai.

 -Joseph, fatti coraggio. Su, dai, ne va della nostra sopravvivenza! - Mi esternò Red, uno degli altri sopravvissuti, di origine Sudafricana, che era il più anziano della spedizione umana, il quale aveva compiuto 32 anni. 

- Marine Johannés, aiuta Joseph ad alzarsi dal pavimento e a camminare!- Esclamò Red, rivolgendosi all'unica donna sopravvissuta alla spedizione. 

 - Cazzo! Ma non vedi che non riesco neanche io a muovermi?- Replico la giovane donna, di appena anni 24, che aveva lo stesso cognome e nome di una cestista francese che negli anni dieci del Duemila aveva partecipato con la sua nazionale ai giochi olimpici disputatisi a Rio de Janeiro. 

Onde evitare ulteriori alterchi, mi alzai dal pavimento della navetta spaziale su cui avevo trascorso gli ultimi giorni dal nostro arrivo su Marte, aggrappandomi ad un appiglio presente sulla consolle di comando e controllo. Le spie sul quadro comando erano tutte accese e i segnali di allarme continuavano a suonare imperterriti, martellandoci le tempie. Io, all'epoca, avevo da poco compiuto 27 anni. Ero l'unico ingegnere a bordo ed ero anche l'unico, tra i sopravvissuti, in grado di far funzionare le macchine che ci avrebbero consentito di sopravvivere. Clif aveva fatto degli studi da geologo, mentre Red era stato un medico chirurgo, e la nostra amica Johannès era un ingegnere civile, o giù di lì. Gli eventi nefasti che ci avevano colpiti quando ancora ci trovavamo sulla Terra avevano pesantemente cambiato il nostro modo di vivere, non consentendoci di terminare gli studi. La frenesia, poi, di allestire la spedizione marziana prima che fosse troppo tardi, determinò i giorni trascorsi nello spazio prima di toccare il suolo polveroso di Marte. 

Usciti dalla navetta spaziale, che si era adagiata sul suolo marziano reggendosi sulle quattro zampe d'acciaio che sporgevano da entrambi i lati, ci incuriosì la presenza, a breve distanza da noi, di taluni cristalli di ghiaccio che, mescolatisi con la sabbia marziana, scendevano lungo un pendio. Era il segno della presenza dell'acqua, allo stato solido, che cercavamo e che speravamo di trovare al nostro arrivo sul pianeta alieno, che sarebbe stata alla base della nostra sopravvivenza futura su quella landa desolata e inospitale, ove le temperature oscillano tra i  -40° Celsius e -155° Celsius. Il Pianeta rosso è un mondo inospitale. La considerevole lontananza dal Sole influenza sensibilmente le condizioni climatiche di questo corpo cosmico. L'intero territorio del pianeta è caratterizzato da notevoli fluttuazioni di temperatura. 

Quel giorno in cui per la prima volta ci accingevamo a mettere piede su Marte la temperatura al suolo era di -14° Celsius, essendo ancora estate. Il cielo era plumbeo. Il silenzio millenario che regnava sovrano sul suolo marziano, ci intimorì a  tal punto che qualcuno di noi disse che forse era il caso di rientrare all'interno dell'abitacolo della nostra navetta. Ma il panorama, mozzafiato, ci fece ben presto dimenticare le nostre paure consentendoci di proseguire oltre alla ricerca di un riparo.

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lunedì 1 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo cinque.

 


Cinque.


La stazione marziana “New Millenium” era la struttura umana più grande presente sulla superficie di Marte. Larga come 4 campi di calcio e lunga 5, che solitamente sulla Terra era pari a circa 120 m per 90 m, per ogni singolo campo , era una vera e propria magnificenza frutto della tecnologia cibernetica. I materiali utilizzati per la sua costruzione furono rinvenuti in situ. I robot avevano fatto un lavoro eccellente. Inizialmente ospitò solo venti esseri umani, dei veri e propri pionieri nell’esplorazione del Pianeta rosso. Essi erano giunti su Marte a bordo di due navette, lanciate dalla Terra nella prima metà del mese di Ottobre dell’anno 2030. Era il periodo ideale per un lancio spaziale verso il quarto pianeta del sistema solare, avuto riguardo che la distanza Terra – Marte era giunta a minimi termini, ovvero era pari a 57.590.630 Km, un fenomeno che si ripete ogni 26 mesi circa. La cupola di “New Millenium” era alta, alla linea di colmo, circa 35 metri dal suolo polveroso marziano. La colonizzazione di Marte significava portare l’umanità e la ricerca oltre i limiti possibili, un sogno che si realizzò solo nell’anno 2030, a poche ore dalla nostra estinzione. Ci siamo messi in gioco. Abbiamo cercato di studiare e costruire il primo insediamento umano su Marte in tempi celeri: non è stato facile. I robot avevano utilizzato la regolite marziana come malta per la costruzione degli ambienti a protezione della vita umana sul quel pianeta ostile alla vita in genere. I robot, pur tuttavia, non si erano limitati a costruire gli habitat per la vita umana su Marte, ma anche un centro per l’approvvigionamento energetico, costituito da pannelli solari ad alta efficienza energetica, un hangar per l’alloggiamento delle navette spaziali, degli spazi per le coltivazioni idroponiche, un centro per le telecomunicazioni provenienti e dirette verso la Terra, un sito per la produzione di H2O, un sito per la produzione di Ossigeno. La parte interna del modulo abitativo si sviluppava su tre livelli, di cui: il primo destinato alla ricerca; il secondo alla parte soggiorno e il pernottamento dei primi coloni; il terzo destinato all’area relax. I primi robot costruttori avevano la forma di tante api operaie, dal cui corpo uscivano dei bracci automatizzati in cima ai quali erano state fissate le “cartucce” per delle stampe in 3D, ovvero la tecnologia 4.0 applicata al mondo delle costruzioni. È stato peraltro una sfida, senza precedenti, riuscire a far arrivare su Marte delle macchine in grado di lavorare e operare autonomamente. Fortunatamente ci siamo riusciti. L’ipotesi di portare l’uomo sul Pianeta rosso rientrava già nei piani del Governo, in un lasso di tempo compreso tra gli anni 2030 – 2060. Vivere sotto una cupola non era stato poi così male. Nonostante Marte fosse il pianeta del sistema solare più “abitabile” dopo la Terra, nessun essere umano sarebbe riuscito a sopravvivere al clima del Pianeta rosso. La cupola che proteggeva l’insediamento umano era stata realizzata in aerogel di silicio. Si pensò di non terraformare Marte, ma di cambiare le condizioni ambientali solo a livello locale, su aree contenute. Ma Marte, malgrado fosse il pianeta più abitabile del nostro sistema solare, dopo la Terra, rimaneva un mondo ostile per molti tipi di vita: un sistema per creare piccole isole di abitabilità ci avrebbe permesso di dominare Marte in modo controllato e modulabile. L’ispirazione ci arrivò dalle prime osservazioni del Pianeta rosso, in corrispondenza delle calotte polari. Queste, a differenza di quelle terrestri, sono costituite da acqua ghiacciata e da anidride carbonica congelata. Anche in questa forma la CO2 ha la capacità di lasciar passare la luce solare e di trattenere il calore, cosicché durante l’estate marziana si creano delle sacche di calore sotto il ghiaccio. Un effetto serra naturale, insomma. Per ricreare questo effetto gli scienziati proposero, prima dell’imminente Apocalisse, di utilizzare un aerogel di silicio, un materiale isolante in grado di imitare l’effetto serra terrestre, per raggiungere l’obiettivo. Uno schermo dello spessore di 3 cm di areogel avrebbe permesso il passaggio di luce sufficiente per la fotosintesi e allo stesso tempo ci consentì sia di bloccare le radiazioni ultraviolette, molto pericolose per la vita umana, sia di aumentare le temperature nelle aree sottostanti la cupola, così superando il punto di fusione dell’acqua. Questo approccio regionale per rendere abitabile Marte era molto più realizzabile rispetto alla modificazione atmosferica globale.


- Nonno che cosa stai scrivendo?


Mi chiese Frank, il maggiore dei miei otto nipoti.


- Sto raccontando la nostra storia. La storia dell’umanità che a ridosso dell’Apocalisse terrestre fu costretta a rifugiarsi su Marte, e su altri pianeti del sistema solare, per garantire la sopravvivenza della specie.


- Mi leggi qualche pagina?


- No, Frank! La storia non è ancora completa. Mancano numerosi dettagli; non sono riuscito ancora a raccontare molti dei fatti accaduti, che mi consentirono da giovane di sopravvivere su questo pianeta e poi di viverci e di prosperare con la mia progenie.


Fui costretto a interrompere la mia storia. Salvai la pagina di testo sino ad allora scritta; spensi il computer e mi avviai con Frank nella zona relax della base. In quel luogo una vecchia scacchiera allietava il trascorrere delle nostre giornate marziane. Frank, negli ultimi anni, mi batteva regolarmente, malgrado fossi stato io ad insegnargli il gioco degli scacchi. Pazienza. Me ne devo fare una ragione. Sono ormai vecchio e stanco e le mi connessioni neurali non possono competere con la mente di un adolescente.

domenica 31 luglio 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo quarto.

  



Quattro.


Conobbi la mia futura moglie all’età di trentadue anni. La nave spaziale con cui era giunta su Marte, proveniente dalla Luna, era ammartata su “New Millenium” in perfetto orario. Il viaggio di andata Luna – Marte era stato perfetto, "un gioco da ragazzi!", così mi disse lei qualche giorno dopo. 

I robot ci avevano aiutato, nel frattempo, a costruire delle navi spaziali sempre più funzionali e adatti ai viaggi spaziali a cui, ai miei tempi, noi esseri umani non eravamo minimamente abituati. Ella era magnifica allorquando la intravidi mentre si accingeva a sbarcare su Marte, dopo un viaggio di pochi minuti, nella sua tenuta da capitano della “Arcade”, la nave spaziale costruita dalla “Indipendence”, una nuova società dedita alle costruzioni di navi spaziali per viaggi a velocità superluminale, che da poco era in esercizio sulla superficie della Luna. La “Arcade” trasportava, oltre che la mia futura moglie, altre 9.000 persone. I robot, a quei tempi, e soprattutto la IA che aveva preso coscienza di sé, avevano inventato oggetti e strumenti che sino a pochi anni addietro noi esseri umani ci potevamo solo immaginare; artefatti, frutto della nuova tecnologia cibernetica, che erano in grado di piegare lo spazio-tempo, e, soprattutto, di generare una energia paragonabile a quella che sprigiona il Sole, poi racchiusa in uno spazio angusto, inimmaginabile ai più allorquando io mi accinsi ad abbandonare la Terra, così consentendoci di intraprendere i primi viaggi a velocità superluminale.

Di lei mi innamorai al primo sguardo. Non fu, pur tuttavia, amore a prima vista per lei; mi raccontò infatti, e solo anni dopo, che si innamorò di me solo dopo qualche mese in cui iniziammo a frequentarci. A quel tempo ero divenuto un ingegnere capo di stanza su “New Millenium”, che io e i miei compagni di viaggio avevamo raggiunto circa cinque anni dopo il nostro ammartaggio.

La stazione marziana “New Millenium”, sino ad allora, contava circa 10.000 abitanti: un numero spropositato di persone, tenuto conto degli spazi e della superficie occupata dalla base, che i robot avevano realizzato per noi in un cratere marziano sovrastato da una cupola enorme.

Alcuni di loro, pochi anni dopo, furono costretti ad abbandonare Marte alla volta di Encelado, il satellite di Saturno, su cui l’umanità aveva realizzato delle infrastrutture abitabili a far data dal 2050.

Su Encelado, pur tuttavia, in pochi anni l’umanità perì a causa di un virus alieno mortale che ci rendeva dei vegetali, giacché il DNA di cui esso era costituito intaccava pesantemente il nostro sistema nervoso centrale. Decenni dopo, fortunatamente, l’umanità riuscì a sconfiggere il virus, riuscendo a ripopolare Encelado. Eravamo ormai una specie intergalattica, che era riuscita, in un ventennio, a realizzare avamposti spaziali sin su Plutone.

Nel 2060 eravamo rimasti solo 100 sopravvissuti su Marte. La guerra intrapresa dalle colonie di stanza sulla Luna e su Marte aveva distrutto gran parte dell’umanità sopravvissuta all’Apocalisse che aveva interessato la Terra. Alcuni governi, infatti, che si erano nel tempo formati sia su Marte che sulla Luna, avevano deciso di dichiararsi guerra, giacché le risorse minerarie, di acqua, di cibo, necessarie alla nostra sopravvivenza erano cominciati a scarseggiare sin dagli anni Quaranta della nuova era.

Ma la causa che aveva fatto scaturire il conflitto era stata la pecunia dell’elemento “115” della tavola periodica degli elementila cui esistenza era stata scoperta decenni prima sulla Terra e che ci aveva fatto comprendere come costruire dei motori a curvatura, simili a quelli che erano stati rinvenuti sugli UFO che alcuni governi avevano gelosamente custodito in talune basi militari a lungo rimaste segrete.
L'elemento 115, infatti, ci consentì di generare un "campo gravitazionale inerziale" in grado di ottemperare al fabbisogno energetico e gravitazionale delle navi spaziali che fummo in grado di costruiremotori di cui erano dotate le nostre navi spaziali avrebbero sfruttato le proprietà della materia definite esotiche, come appunto la generazione di una contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali che ci avrebbero consentito di percorrere degli spazi enormi in un batter di cigliaLa fonte energetica della navicella era il reattore che utilizzava l'elemento 115 come carburante primario causando una totale annichilazione dell'elemento che produceva altresì una fonte di energia eccezionale.

Solo 223 grammi di questo elemento sarebbe potuto essere utilizzato per 20 o 30 anni. All'interno del reattore l'elemento 115 veniva bombardato da protoni che trasformavano questo elemento in 116, a cui seguiva poi un decadimento quasi istantaneo con consequenziale produzione di antimateria. Questa antimateria sarebbe poi stata incanalata all'interno di una struttura che la portava a reagire con la materia, così producendo una reazione in cui si otteneva una conversione quasi totale in energia.

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitoli uno, due, tre.

Palermo, 31 luglio 2022.

Raccontare storie è da sempre stato il mio sogno. In questi ultimi anni ci ho provato più volte, riuscendo, peraltro, a raggiungere il mio obiettivo per ben sette volte. Scrivo per dar sfogo al desiderio della mia anima di viaggiare, di spaziare, di vivere esperienze di vita che mai vivrò. Non scrivo per lucrare. Non scrivo per arricchirmi, ma per il gusto di farlo e basta. E in questo senso ho da poco abbozzato una storia di fantascienza, ancora in fase embrionale, che sarà ambientata su Marte. Marte, un luogo in cui mi piacerebbe andare un giorno a vivere. Mi potrete dire che sono un pazzo e un visionario, ma qualcosa mi fa supporre che fra qualche anno l'umanità, qualche individuo della nostra specie, vi abiterà in pianta stabile. E allora che il racconto abbia inizio.

Francesco Toscano

 


I 12 MARZIANI

 di Francesco Toscano

 

 Prologo.

 

Scrivo queste pagine, oggi, prima che i miei occhi si chiudano per sempre, a testimonianza delle tribolazioni che io ho vissuto in quei giorni tetri e apocalittici, affinché possa rimanere memoria di chi eravamo noi terrestri prima che ogni cosa cambiasse per sempre; prima che lasciassimo il nostro pianeta d’origine alla ricerca di un mondo alieno ove poter sopravvivere il più a lungo possibile alle nostre stesse nefandezze, consapevoli che sarebbe stato oltremodo difficile raggiungere un pianeta simile al nostro o che, a distanza di anni, noi esseri umani lo potessimo trasformare in una nuova Terra. Questa è la storia del Genere Umano all’inizio dei cosiddetti viaggi a velocità superluminale. Questa è la mia storia, della mia famiglia, di quanti, a differenza mia che sono ormai vecchio e stanco, hanno lottato e continuano a lottare, giorno dopo giorno. Una storia lunga cinquant’anni, fatta da insidie e di tante privazioni, ma anche di tanto amore e di tanti piccoli successi. Una storia che ha dell’incredibile, poiché mai avrei immaginato di dover lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, per vivere in un mondo alieno ove in ogni istante si rischia di morire tra mille spasmi atroci.

 

Uno.

Le condizioni socio-ambientali, a quei tempi, ovvero nel trentennio del nuovo millennio, non erano tra le più favorevoli da vivere per ogni essere umano abitante il pianeta Terra: il Sole aveva dato di matto e i suoi raggi ultravioletti avevano irreparabilmente danneggiato l’atmosfera di un mondo già ansimante e morente. Erano i tempi in cui Carl, Terry, Rosmery, i miei tre fratelli più grandi, faticavano a racimolare gli alimenti necessari per il nostro fabbisogno giornaliero. Erano i tempi in cui l’umanità tutta era stata costretta ad armarsi; periodi, ricordo, in cui era usuale trovare qualche morto ammazzato sull’asfalto della strada in cui si trovava la nostra umile dimora, un po' sgangherata, che si andava sgretolando, giorno dopo giorno, come un biscotto. Qualcuno, stanco di digiunare, esplodeva, ripetutamente, contro qualche malcapitato individuo dei colpi d’arma da fuoco pur di impossessarsi del cibo che questi possedeva o che era riuscito a raccogliere nelle prime ore notturne: non era molto a dire il vero. Come se nulla fosse, poi, di volta in volta, il cadavere dell’uomo assassinato come una bestia veniva lasciato in stato di abbandono sull’asfalto a decomporsi lentamente. L’aspettativa di vita, a quei tempi, era breve. Io, Joseph Migliorini, in quegli anni ero un diciottenne rimasto da poco orfano. Mio padre e mia madre erano rimasti vittime di un virus letale che nel 2025 era diventato incontrollabile e senza possibilità alcuna di cure mediche, che aveva strappato tante di quelle vite che non era più possibile tenerne il conto. Nel quartiere dove abitavamo non era rimasto più niente e nessuno. Un mondo freddo, sebbene alle prime luci dell’alba il termometro segnasse perennemente i 47°, e, soprattutto, privo di gioia. Ero un orfano tra migliaia di orfani. Grazie ai miei tre fratelli ero riuscito, non so bene come, a sopravvivere alle avversità insormontabili che la natura ci metteva contro giorno dopo giorno. Nelle mie orecchie riecheggiano ancora oggi, dopo quasi settant’anni, le urla di disperazione dei sopravvissuti a quel nefasto destino. Di giorno si bruciava vivi, di notte si tremava dal freddo. I governi di allora, per far fronte all’imminente Apocalisse e all’estinzione della nostra specie, erano riusciti a creare, dopo sforzi encomiabili e storici, delle stazioni spaziali poste a ridosso dell’orbita lunare e in quella ancora più remota del pianeta Marte, luogo in cui i più fortunati tra tutti i sopravvissuti erano riusciti anni dopo a pervenire, al fine di garantire la sopravvivenza del Genere Umano. Anch’io ero riuscito, contro ogni logica, a raggiungere Marte a bordo della decima navetta che il governo aveva lanciato verso il Pianeta rosso, da una delle basi di lancio di recente costruzione; lì ero stato deportato contro il volere mio e dei miei fratelli, che erano stati nel frattempo trucidati da uomini senza scrupoli, a bordo di un aereo di linea. Essi, diversamente da me, non erano pronti ad affrontare il viaggio. Mesi dopo, infatti, venni a sapere che ero geneticamente predisposto a vivere su quel pianeta, grazie ad una modificazione genetica che consentiva al mio organismo di adattarsi perfettamente all’atmosfera rarefatta di Marte. A dire dei dottori avevo maggiori probabilità di sopravvivere in quell’ambiente alieno più di tutti gli altri sopravvissuti che erano stati deportati come me. Molti, infatti, restarono sulla Terra in attesa di morte certa. Dopo mesi di viaggio, otto per l’esattezza, la nostra navetta spaziale era riuscita ad ammartare “nei pressi” della stazione marziana “New Millenium”, che tra gli anni 2025-2030 dei robot intelligenti erano riusciti a costruire per la nostra sopravvivenza nelle vicinanze del polo nord di quel pianeta. Un viaggio da incubo il nostro, in cui fummo inscatolati, letteralmente, dentro una navetta spaziale di fortuna, come sardine sotto sale. Alcuni dei viaggiatori morirono durante il viaggio di sola andata Terra – Marte, mentre altri perirono dopo pochi giorni del loro arrivo sul suolo marziano. A quel tempo la nostra tecnologia non ci consentiva di raggiungere i pianeti del nostro sistema solare in tempi brevi, diversamente da quanto accade oggi con la recente tecnologia che consente di effettuare viaggi a velocità superluminale. Eravamo da poco ammartati, se ben ricordo, quando scoprimmo di non essere per nulla adatti a vivere su quel pianeta in cui fummo catapultati disperatamente. Se non fosse stato per le nostre lucenti tute spaziali, che ci consentivano di respirare l’ossigeno riposto nei contenitori che portavamo sulle spalle, nessuno di noi avrebbe mai potuto raccontare le nostre gesta ai posteri. Io e la mia famiglia siamo rimasti gli ultimi della nostra specie, 12 individui in tutto, poiché gran parte degli esseri umani è deceduta sia per le avversità di dover vivere in un pianeta inospitale alla vita, o lungo la sua orbita, sia perché all’alba del 2060 i sopravvissuti, incuranti della nostra storia, che nulla aveva portato di buono agli esseri umani, si erano convinti a sfidarsi all’ultimo sangue in quella che è passata alla storia come la guerra “dei dieci anni della prima era spaziale”, conflitto intercorso fra i sopravvissuti di stanza sulla Luna e quelli di stanza su Marte; la belligeranza tra i due popoli del “cielo” era scaturita, ahinoi, per l'approvvigionamento delle carenti materie prime necessarie alla loro sopravvivenza fuori dai confini terrestri. Io, che oggi mi accingo a compiere ottant’anni, e che dall’età di cinquanta scrivo queste mie memorie, sono il patriarca dell’ultima colonia marziana superstite. Oltre me, a condividere questi miei ultimi Sol marziani che mi restano da vivere sono rimasti mia moglie, Aurora, di settantacinque anni, mio figlio Michael, di cinquant’anni, mia nuora Elena, di quarantacinque anni, e i miei otto nipoti, quattro maschi e quattro femmine, sul conto dei quali, al momento, non ricordo i loro nomi, che so essere tutti adolescenti. La mia mente, ahimè, denota i segni del tempo trascorso in questo inferno.

Posso raccontare la mia storia, non solo perché io sia stato di tempra forte e robusta, ma perché in tutti questi anni, a differenza di altri miei simili, sono stato aiutato a sopravvivere su questo ostile pianeta da quegli stessi robot costruttori che in tempi antichi edificarono la nostra prima stazione marziana, poi evolutisi autonomamente, così riuscendo a connettere gran parte delle infrastrutture da loro create e ad oggi ancora esistenti su Marte. Negli ultimi anni, inaspettatamente, l’Intelligenza Artificiale creata dall’uomo ha preso coscienza di sé, dettando, di fatto, le regole d’ingaggio e facendo rispettare agli umani le regole per la sopravvivenza della specie. Era necessario che qualcuno si prendesse cura di noi poveri mortali, giunti quasi all’estinzione, ma mai avrei pensato che potessero essere le nostre stesse creature cibernetiche, progettate e costruite per agevolarci quotidianamente, per fare quel lavoro cosiddetto “sporco” che noi non saremmo riusciti a realizzare. Le macchine e l’IA, in circa vent’anni, erano riuscite a creare una rete di connessione assimilabile a quella neurale, sviluppando ad hoc dei software di gestione in grado di analizzare, condividere, sfruttare quella mole di dati sino ad allora acquisita dal primo giorno della loro permanenza su quel pianeta.

 

Due.

All’alba del sesto Sol marziano io e gli altri tre sopravvissuti, Red, Clif, Johannés, lasciata la navetta spaziale su cui avevamo sino ad allora viaggiato, dopo cinque giorni dall’ammartaggio e dopo aver recuperato le nostre forze, trovammo rifugio in una cavità creatasi naturalmente nella roccia marziana, ovvero un cunicolo lavico formatosi in tempi antichi. Ricordo che prima che fossimo stati in grado di raggiungere “New Millenium”, distante da noi oltre 1000 km, lì saremmo dovuti rimanere ad abitarvi per anni, a riparo di quei raggi cosmici mortali, dalla tempesta di polvere che poi nell’anno 2035 avvolse l’intero pianeta, preoccupati di poter morire da un momento all’altro, atteso anche che le nostre riserve di cibo, di acqua potabile, di aria, che ci avrebbero garantito la sopravvivenza lontano dalla stazione marziana, che ci avrebbe dovuto ospitare sin dal primo giorno del nostro arrivo sul Pianeta rosso, erano sufficienti per pochi anni di vita marziana. Gli altri nostri sei compagni di viaggio erano purtroppo deceduti durante il viaggio Terra - Marte. Le comunicazioni radio e satellitari con la stazione marziana di destinazione erano state interrotte, prima di toccare il suolo marziano, dalla inaspettata avaria del modulo di trasmissione che era stato installato sulla nostra scialuppa di salvataggio, da noi apostrofata “latta di metallo”, ovvero il nostro vascello spaziale che era più simile a un catafalco che a una nave, e prima ancora che noi umani riuscissimo a calpestare il suolo polveroso di Marte. Non ricordo i nomi dei miei compagni deceduti. Di Red, di Clif, di Johannés, pur tuttavia, ricordo tutto. Ricordo le loro risate, le loro grida festose e di giubilo per essere riusciti a sopravvivere a quel viaggio lungo otto mesi, a differenza degli altri nostri simili che erano stati più sfortunati di noi. Non eravamo degli astronauti professionisti; eravamo un’accozzaglia di esseri umani, di razza diverse: uno era caucasico; uno era asiatico; un altro era di origine africana. Essi avevano vissuto, sino ad allora, esperienze diverse l’uno dall’altro e che avevano ricevuto un addestramento sommario affinché potessero raggiungere quel puntino rosso che si stagliava alto nel cielo; era quello che si notava dal nostro punto di osservazione terrestre, allorquando contemplavamo il cielo notturno prima della nostra avventura spaziale. Dei buontemponi, oggi li giudico così ma all’epoca erano per me dei carnefici, decisero che noi tutti dovessimo sopravvivere a quel viaggio, che avremmo dovuto effettuare nello spazio profondo, tra mille e più insidie, a rischio di dover perire solo dopo aver lasciato le fasce di Van Allen. Il Grande Architetto, Dio, non so dirvi chi sia stato, ha deciso per noi che non dovessimo morire, che noi dovessimo crescere e moltiplicarci, benché la nostra specie non fosse stata in grado di scrollarsi di dosso la nostra storia millenaria, intrisa di guerre intestine, per la conquista di lembi di terra, guerre a non finire che ci hanno contraddistinto come una delle specie più guerrafondaie dell’Universo. I primi giorni della nostra missione esplorativa su Marte io, e gli altri tre miei compagni d’avventura, riuscimmo a trasportare all’interno del cunicolo lavico quanto fosse necessario per la nostra sopravvivenza. Sulla Terra, alcuni scienziati che erano sopravvissuti al virus letale diffusosi in tutto il mondo e ai capricci della nostra stella, prima della nostra partenza alla volta di Marte, ci avevano insegnato a fabbricare l’ossigeno necessario alla nostra sopravvivenza nell’ambiente ostile marziano, attraverso dei macchinari che avremmo dovuto assemblare una volta toccato il suolo alieno; a ricavare l’acqua potabile dalla coltre di ghiaccio perenne presente sul Pianeta rosso e in entrambi i due poli, attraverso dei macchinari che erano già stati stoccati a bordo della nostra astronave. Il cibo necessario alla nostra sopravvivenza sul quarto pianeta, avuto riguardo alla sua distanza dal Sole, la stella del nostro sistema solare, quello sì che era stato, sin da subito, un problema da risolvere al più presto. Le scorte di cibo a nostra disposizione erano poche e bastavano, volendole razionare per tutti e quattro i sopravvissuti, solo per cinque interminabili anni. Fummo costretti ad affinare l’ingegno, e quattro baldi giovani, benché fossero dei pionieri dell’esplorazione marziana, riuscirono a divenire, anche grazie alla presenza di semi di quinoa, di piselli, di pomodori e di rucola, contenuti all’interno di trecento involucri stoccati nella stiva della navetta, i primi agricoltori del nuovo mondo. Noi quattro ci saremmo potuti dedicare alla produzione di quelle colture all’interno di una serra a Led e colture idroponiche creata ad hoc, dopo aver studiato per giorni dei video tutorial registratati a Terra, e attraverso l’uso di strumenti, utensili e materiali già presenti a bordo della nostra maledetta navetta. Eravamo riusciti, così, a colonizzare Marte, benché per un breve lasso di tempo. Le lampade a Led installate da noi quattro sopravvissuti, avrebbero sostituito all’interno di quel luogo angusto, largo solo 20 metri quadri, il Sole, come se fossero degli stimolatori di fotosintesi ed emettendo le stesse frequenze della luce del Mediterraneo. Superato il quindicesimo Sol, forti della nostra perspicacia, del nostro acume, eravamo pronti, protetti dalle nostre avveniristiche tute spaziali, a delimitare il nostro “campo base”.

  

Tre.

 - Padre, ancora scrivi? -

- Sì Michael, lo sai che per me è importante! -

- Sei stanco papà, vai a letto, domani è un altro giorno. Avrai altro tempo per scrivere, per raccontare la tua storia alla nostra progenie. -

Ero davvero stanco e in cuor mio ne ero consapevole; mio figlio aveva ragione. Ma la mia storia doveva essere narrata, anche a costo di perderci la vista. Entrò nella stanza mia moglie che, dopo essersi avvicinata a me, mi bacio amorevolmente sulla guancia destra. A lei raccontai di essere arrivato quasi alla fine della storia, malgrado tutto, e che mi restavano da completare pochi capitoli.

Mi disse:

- ma chi vuoi che li legga?-

- i miei nipoti!-

- ma i tuoi nipoti hanno altro a cui pensare, sciocco!-

- Non è vero! Vedrai che un giorno avranno bramosia di sapere delle loro origini, del perché siamo qui, sebbene oggi noi viviamo discretamente bene, e non all’interno di quel puntino blu che brilla nel cielo notturno di Marte.-

- Tu guardi ancora il cielo?-

- Sì, perché tu no?-

- No! Io ormai guardo solo per terra, onde evitare di precipitare rovinosamente sulla polvere. Andiamo a letto, dai! Si è fatto tardi, amore mio, vedrai che domani troverai le parole giuste per iniziare il tuo prossimo capitolo.-

Ubbidii. Spensi il computer e dopo aver stretto amorevolmente mia moglie tra le mie braccia mi addormentai, colto da un sonno dai benefici effetti ristoratori.

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