Nove.
L’uomo non è fatto per vivere su Marte. Per
vivere sul Pianeta rosso, alla stessa stregua di quando vivevamo sulla Terra, noi quattro avremmo dovuto trasformare tutta l'anidride
carbonica presente su questo corpo celeste, ossia il 95,32% dell'atmosfera, in
ossigeno: impossibile!
Al dire degli scienziati, prima della
nostra partenza alla volta di Marte, l’unica soluzione sarebbe stata, in linea
teorica, quella di Terraformare (in soldoni “rendere terrestre”) Marte, introducendo delle colture, ovvero taluni
vegetali, che avremmo dovuto far crescere sul pianeta mediante il processo
della sintesi clorofilliana; ma questa non era la cosa più ovvia da fare, avuto
riguardo che Marte è circa il 70% delle dimensioni della Terra. E poi, una cosa
ovvia e non meno scontata era quella che l'atmosfera terrestre, sino al giorno
prima che noi partissimo alla volta di quel puntino rosso che di notte
scrutavamo nel cielo, era composta dal 78% da azoto; quella che abbiamo oggi su
Marte è prevalentemente composta da CO2. Condurre una vita sul
Pianeta rosso con le stesse modalità di quelle sino ad allora vissute sulla
Terra, quindi, sarebbe stato per noi quattro impossibile: le radiazioni che il
nostro organismo avrebbe dovuto assorbire, allestendo il nostro campo base di
fortuna sulla superficie marziana, sarebbero state talmente elevate che, nel
giro di pochi mesi, ci avrebbero condotto a morte certa.
L'unico modo possibile di vivere su quella
landa desolata e inadeguata alla vita era quello di stare al riparo dalle
polveri radioattive, ovvero vivere nel sottosuolo di Marte, il più possibile al
riparo. Così facemmo. Il campo base che realizzammo era particolarmente angusto,
uno spazio piccolo riservato a quattro persone, ove ci saremmo dovuti impegnare
a fondo per far sì che tutti andassero d’accordo. La struttura era composta di
due piani: il primo era riservato ad attività di laboratorio biologico e aveva
una stanza per la preparazione alle attività esterne, al secondo piano c’era il
dormitorio.
Il modulo abitativo e di laboratorio era stato compresso all’interno della navetta spaziale all’inverosimile. Una volta
che la struttura venne da noi adagiata sulla superficie del cunicolo lavico, fu
un gioco da ragazzi quello di farla “esplodere” e di farlo divenire la nostra
futura unità abitativa. Detta struttura, infatti, era stata concepita per
espandersi e auto allinearsi a comando: un pulsante rosso indicava agli
astronauti che pigiandolo ci avrebbe consentito di rendere il modulo fruibile,
giacché si sarebbe gonfiato nel giro di pochi minuti; ci impiegò mezz’ora, di fatto,
ma alla fine era divenuto davvero un’unità abitabile, così come recitava il
manuale d’istruzione.
Qualche giorno dopo realizzammo la struttura
per l’allestimento della nostra futura serra, grazie al robot trasportatore che,
nell’occasione, era stato da noi predisposto per divenire una stampante in 3D avente
un braccio meccanico lungo 2 metri.
La struttura da noi creata riprendeva nella
forma e nella tipologia autoportante, elementi terrestri come la Tholos e i
Trulli; per il materiale d’impiego per la stampa fu utilizzata la stessa
regolite presente sulla superficie, che veniva estratta dall’area e processata
nel Bee
Processor all’interno del quale veniva miscelata con dei solventi e con un legante
di origine organica, il PLGA. Il materiale così ottenuto e ribattezzato cemento
marziano, passava poi nel 3D Printer che avrebbe proceduto con la stampa per layers.
Questi elementi sarebbero risultati lisci
all’intradosso interno, modellati invece esternamente, per consentirne
l’autombreggiamento e permettere l’accumulo di polveri, al fine di avere un
guadagno in termini di inspessimento dello spessore murario. Per il sistema
verde, nonostante su Marte le caratteristiche climatiche siano avverse alla
crescita di specie vegetali, ben 2 erano i sistemi del verde pensati per
superare le condizioni di ambiente estremo.
Di questi, uno era rivolto alla generazione
di risorse, dunque alla produzione di cibo ed era posizionato intorno al cuore
centrale ed illuminato da green lights; l’altro invece era costituito da un giardino
virtuale ed era volto a garantire la salute sociale degli astronauti. Entrambi
facevano riferimento ad una fase di espansione successiva in cui l’insediamento
umano fosse ormai cresciuto divenendo una colonia.
Un cunicolo, da noi creato ad hoc, collegava,
infine, la serra al modulo abitativo e di laboratorio.
Avevamo colonizzato Marte.
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