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lunedì 22 agosto 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo nove.


Nove.

 

L’uomo non è fatto per vivere su Marte. Per vivere sul Pianeta rosso, alla stessa stregua di quando vivevamo sulla Terra, noi quattro avremmo dovuto trasformare tutta l'anidride carbonica presente su questo corpo celeste, ossia il 95,32% dell'atmosfera, in ossigeno: impossibile!

Al dire degli scienziati, prima della nostra partenza alla volta di Marte, l’unica soluzione sarebbe stata, in linea teorica, quella di Terraformare (in soldoni “rendere terrestre”) Marte, introducendo delle colture, ovvero taluni vegetali, che avremmo dovuto far crescere sul pianeta mediante il processo della sintesi clorofilliana; ma questa non era la cosa più ovvia da fare, avuto riguardo che Marte è circa il 70% delle dimensioni della Terra. E poi, una cosa ovvia e non meno scontata era quella che l'atmosfera terrestre, sino al giorno prima che noi partissimo alla volta di quel puntino rosso che di notte scrutavamo nel cielo, era composta dal 78% da azoto; quella che abbiamo oggi su Marte è prevalentemente composta da CO2. Condurre una vita sul Pianeta rosso con le stesse modalità di quelle sino ad allora vissute sulla Terra, quindi, sarebbe stato per noi quattro impossibile: le radiazioni che il nostro organismo avrebbe dovuto assorbire, allestendo il nostro campo base di fortuna sulla superficie marziana, sarebbero state talmente elevate che, nel giro di pochi mesi, ci avrebbero condotto a morte certa.

L'unico modo possibile di vivere su quella landa desolata e inadeguata alla vita era quello di stare al riparo dalle polveri radioattive, ovvero vivere nel sottosuolo di Marte, il più possibile al riparo. Così facemmo. Il campo base che realizzammo era particolarmente angusto, uno spazio piccolo riservato a quattro persone, ove ci saremmo dovuti impegnare a fondo per far sì che tutti andassero d’accordo. La struttura era composta di due piani: il primo era riservato ad attività di laboratorio biologico e aveva una stanza per la preparazione alle attività esterne, al secondo piano c’era il dormitorio.

Il modulo abitativo e di laboratorio era stato compresso all’interno della navetta spaziale all’inverosimile. Una volta che la struttura venne da noi adagiata sulla superficie del cunicolo lavico, fu un gioco da ragazzi quello di farla “esplodere” e di farlo divenire la nostra futura unità abitativa. Detta struttura, infatti, era stata concepita per espandersi e auto allinearsi a comando: un pulsante rosso indicava agli astronauti che pigiandolo ci avrebbe consentito di rendere il modulo fruibile, giacché si sarebbe gonfiato nel giro di pochi minuti; ci impiegò mezz’ora, di fatto, ma alla fine era divenuto davvero un’unità abitabile, così come recitava il manuale d’istruzione.

Qualche giorno dopo realizzammo la struttura per l’allestimento della nostra futura serra, grazie al robot trasportatore che, nell’occasione, era stato da noi predisposto per divenire una stampante in 3D avente un braccio meccanico lungo 2 metri.

La struttura da noi creata riprendeva nella forma e nella tipologia autoportante, elementi terrestri come la Tholos e i Trulli; per il materiale d’impiego per la stampa fu utilizzata la stessa regolite presente sulla superficie, che veniva estratta dall’area e processata nel Bee Processor all’interno del quale veniva miscelata con dei solventi e con un legante di origine organica, il PLGA. Il materiale così ottenuto e ribattezzato cemento marziano, passava poi nel 3D Printer che avrebbe proceduto con la stampa per layers.

Questi elementi sarebbero risultati lisci all’intradosso interno, modellati invece esternamente, per consentirne l’autombreggiamento e permettere l’accumulo di polveri, al fine di avere un guadagno in termini di inspessimento dello spessore murario. Per il sistema verde, nonostante su Marte le caratteristiche climatiche siano avverse alla crescita di specie vegetali, ben 2 erano i sistemi del verde pensati per superare le condizioni di ambiente estremo.

Di questi, uno era rivolto alla generazione di risorse, dunque alla produzione di cibo ed era posizionato intorno al cuore centrale ed illuminato da green lights; l’altro invece era costituito da un giardino virtuale ed era volto a garantire la salute sociale degli astronauti. Entrambi facevano riferimento ad una fase di espansione successiva in cui l’insediamento umano fosse ormai cresciuto divenendo una colonia.

Un cunicolo, da noi creato ad hoc, collegava, infine, la serra al modulo abitativo e di laboratorio.

Avevamo colonizzato Marte.


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