Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

  • A proposito degli alieni....

    Il saggio dal titolo "A proposito degli alieni....", di Francesco Toscano e Enrico Messina

    Sinossi: Fin dalla preistoria ci sono tracce evidenti del passaggio e dell’incontro tra esseri extraterrestri ed esseri umani. Da quando l’uomo è sulla Terra, per tutto il suo percorso evolutivo, passando dalle prime grandi civiltà, all’era moderna, sino ai giorni nostri, è stato sempre accompagnato da una presenza aliena. Lo dicono i fatti: nei reperti archeologici, nelle incisioni sulle rocce (sin qui rinvenute), nelle sculture, nei dipinti, in ciò che rimane degli antichi testi, sino ad arrivare alle prime foto e filmati oltre alle innumerevoli prove che oggi con le moderne tecnologie si raccolgono. Gli alieni ci sono sempre stati, forse già prima della comparsa del genere umano, e forse sono loro che ci hanno creato.

  • Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.

    Il saggio dal titolo "Gli antichi astronauti: dèi per il mondo antico, alieni per quello moderno.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Milioni di persone in tutto il mondo credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E se fosse vero? Questo libro nasce proprio per questo motivo, cercare di dare una risposta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, al quesito anzidetto. L`archeologia spaziale, o archeologia misteriosa, è definibile come la ricerca delle tracce, sotto forma di particolari reperti archeologici o delle testimonianze tramandate nel corso dei millenni, di presunti sbarchi sulla Terra di visitatori extraterrestri avvenuti all’alba della nostra civiltà.

  • Condannato senza possibilità d'appello

    Il romanzo breve dal titolo "Condannato senza possibilità d'appello.", di Francesco Toscano

    Sinossi: Le concezioni primitive intorno all`anima sono concordi nel considerare questa come indipendente nella sua esistenza dal corpo. Dopo la morte, sia che l`anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d`animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica, seguirà sempre il volere di Dio; cioè il volere dell’Eterno di consentire alle anime, da lui generate e create, di trascendere la vita materiale e innalzarsi ad un piano più alto dell’esistenza, imparando, pian piano, a comprendere il divino e tutto ciò che è ad esso riconducibile.

  • L'infanzia violata, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "L'infanzia violata", di Francesco Toscano

    Sinossi: Dovrebbero andare a scuola, giocare, fantasticare, cantare, essere allegri e vivere un'infanzia felice. Invece, almeno 300 milioni di bambini nel mondo sono costretti a lavorare e spesso a prostituirsi, a subire violenze a fare la guerra. E tutto ciò in aperta violazione delle leggi, dei regolamenti, delle convenzioni internazionali sui diritti dell'infanzia. La turpe problematica non è lontana dalla vostra quotidianità: è vicina al luogo in cui vivete, lavorate, crescete i vostri bambini. Ad ogni angolo dei quartieri delle città, dei paesi d'Italia, è possibile trovare un'infanzia rubata, un'infanzia violata.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei "ru viddrani", Don Ciccio, "u pastranu", capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un'acredine che amplifica l'entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea Romanescu, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il fantasy dal titolo "E un giorno mi svegliai", di Francesco Toscano

    Sinossi: "E un giorno mi svegliai" è un fantasy. Il personaggio principale del libro, Salvatore Cuzzuperi, è un impiegato residente nella provincia di Palermo che rimane vittima di un'esperienza di abduction. Il Cuzzuperi vivrà l'esperienza paranormale del suo rapimento da parte degli alieni lontano anni luce dal pianeta Terra e si troverà coinvolto nell'aspra e millenaria lotta tra gli Anunnaki, i Malachim loro sudditi, e i Rettiliani, degli alieni aventi la forma fisica di una lucertola evoluta. I Rettiliani, scoprirà il Cuzzuperi, cercano di impossessarsi degli esseri umani perché dotati di Anima, questa forma di energia ancestrale e divina, riconducibile al Dio Creatore dell'Universo, in grado di ridare la vita ad alcune specie aliene dotate di un Dna simile a quello dell'uomo, fra cui gli stessi Rettiliani e gli Anunnaki. Il Cuzzuperi perderà pian piano la sua umanità divenendo un Igigi ammesso a cibarsi delle conoscenze degli "antichi dèi", ed infine, accolto come un nuovo membro della "fratellanza cosmica".

  • I ru viddrani, di Francesco Toscano

    Il romanzo giallo dal titolo "I ru viddrani", di Francesco Toscano

    Sinossi: Non è semplice per un vecchietto agrigentino rientrare in possesso del suo piccolo tesoro, che consta di svariati grammi di oro e di argento, che la sua badante rumena gli ha rubato prima di fuggire con il suo amante; egli pensa, allora, di rivolgersi a due anziani suoi compaesani che sa essere in buoni rapporti con il capo mafia del paesino rurale ove vive, per poter rientrare in possesso del maltolto. A seguito della mediazione dei “ru viddrani”, Don Ciccio, “ù pastranu”, capo mafia della consorteria mafiosa di Punta Calura, che ha preso a cuore la vicenda umana di Domenico Sinatra, incarica i suoi sodali di mettersi sulle tracce della ladruncola e di far in modo che ella restituisca la refurtiva all`anziano uomo. Qualcosa, però, va storto e fra le parti in causa si acuisce un’acredine che amplifica l’entità del furto commesso, tanto che nel giro di pochi anni si arriva all`assassinio di Ingrid Doroteea ROMANESCU, la badante rumena resasi autrice del furto in questione.

  • Naufraghi nello spazio profondo, di Francesco Toscano

    Il romanzo di fantascienza dal titolo "Naufraghi nello spazio profondo ", di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza.

  • Malacarne, di Francesco Toscano

    Libro/E-book: Malacarne, di Francesco Toscano

    Sinossi: Nella primavera dell'anno 2021 a Palermo, quando la pandemia dovuta al diffondersi del virus denominato Covid-19 sembrerebbe essere stata sconfitta dalla scienza, malgrado i milioni di morti causati in tutto il mondo, un giovane, cresciuto ai margini della società, intraneo alla famiglia mafiosa di Palermo - Borgo Vecchio, decide, malgrado il suo solenne giuramento di fedeltà a Cosa Nostra, di vuotare il sacco e di pentirsi dei crimini commessi, così da consentire alla magistratura inquirente di assicurare alla giustizia oltre sessanta tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria Gesù. Mentre Francesco Salvatore Magrì, inteso Turiddu, decide di collaborare con la Giustizia, ormai stanco della sua miserevole vita, qualcun altro dall'altra parte della Sicilia, che da anni ha votato la sua vita alla Legalità e alla Giustizia, a costo di sacrificare sé stesso e gli affetti più cari, si organizza e profonde il massimo dell'impegno affinché lo Stato, a cui ha giurato fedeltà perenne, possa continuare a regnare sovrano e i cittadini possano vivere liberi dalle prevaricazioni mafiose. Così, in un turbinio di emozioni e di passioni si intrecciano le vite di numerosi criminali, dei veri e propri Malacarne, e quella dei Carabinieri del Reparto Operativo dei Comandi Provinciali di Palermo e Reggio di Calabria che, da tanti anni ormai, cercano di disarticolare le compagini mafiose operanti in quei territori. Una storia umana quella di Turiddu Magrì che ha dell'incredibile: prima rapinatore, poi barbone e mendicante, e infine, dopo essere stato "punciutu" e affiliato a Cosa Nostra palermitana, il grimaldello nelle mani della Procura della Repubblica di Palermo grazie al quale potere scardinare gran parte di quell'organizzazione criminale in cui il giovane aveva sin a quel momento vissuto e operato.

  • NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA , di Francesco Toscano

    Libro/E-book: NAUFRAGHI NELLO SPAZIO PROFONDO : I 12 MARZIANI, GLI ULTIMI SUPERSTITI DELLA SPECIE UMANA,di Francesco Toscano

    Sinossi: In un futuro distopico l’umanità, all’apice della sua evoluzione e prossima all’estinzione, sarà costretta, inevitabilmente, a lasciare la Terra, la nostra culla cosmica, alla ricerca di un pianeta alieno in cui poter vivere, sfruttando le conoscenze del suo tempo. Inizia così l’avventura del giovane Joseph MIGLIORINI, di professione ingegnere, e di altri giovani terrestri, un medico, un geologo, un ingegnere edile, che, da lì a poco, a bordo di una navetta spaziale allestita dal loro Governo, sarebbero stati costretti a raggiungere il pianeta Marte, il “nostro vicino cosmico”, al fine di atterrare nei pressi del suo polo nord ove, anni prima, dei robot costruttori avevano realizzato una stazione spaziale permanente, denominata “New Millenium”; tutto questo affinché parte dell’umanità sopravvissuta agli eventi nefasti e apocalittici potesse prosperare su quella landa desolata, tanto ostile alla vita in genere, giacché ritenuta unico habitat possibile e fruibile ai pochi sopravvissuti e alla loro discendenza. Nel giro di pochi anni, pur tuttavia, a differenza di quanto auspicatosi dagli scienziati che avevano ideato e progettato la missione Marte, l’ingegnere MIGLIORINI e la sua progenie sarebbero rimasti coinvolti in un’aspra e decennale guerra combattuta da alcuni coloni di stanza sul pianeta Marte e da altri di stanza sulla superficie polverosa della nostra Luna, per l’approvvigionamento delle ultime materie prime sino ad allora rimaste, oltre che per l’accaparramento del combustibile, costituito da materia esotica e non più fossile, di cui si alimentavano i motori per viaggi a velocità superluminale delle loro superbe astronavi; ciò al fine di ridurre le distanze siderali dello spazio profondo e al fine di generare la contrazione dello spazio-tempo per la formazione di wormhole, ovvero dei cunicoli gravitazionali, che avrebbero consentito loro di percorrere le enormi distanze interstellari in un batter di ciglia...






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mercoledì 4 marzo 2015

Cefalù, Seminario sulla Sicilia Islamica. Si parla dei testi arabi di Sicilia: geografi, filosofi e poeti.

Un dipinto con Solone e i suoi discepoli.

4 marzo 2015.

Si terrà Giovedì 5 Marzo 2015 con inizio alle ore 17,00 il Seminario su Arte e Cultura Islamica in Sicilia organizzato dall’Associazione SiciliAntica. Dopo la presentazione di Melina Greco, presidente della sede SiciliAntica di Cefalù e di Alfonso Lo Cascio, della Presidenza Regionale di SiciliAntica, si terrà la conferenza dal titolo: “Testi arabi di Sicilia: geografi, filosofi e poeti’”. La relazione sarà tenuta da Patrizia Spallino, Ricercatrice di Lingua Araba presso Università di Palermo. L’incontro si terrà presso la Fondazione Culturale Mandralisca in Via Mandralisca a Cefalù.
Il periodo della dominazione cosiddetta "araba" in Sicilia è caratterizzato da un fermento culturale che segnerà la civiltà sicula per i secoli a venire. Gli scienziati islamici si definivano hukama' (sapienti) in quanto intellettuali che studiavano tutti i rami del sapere con la finalità di giungere alla conoscenza di Dio. Letteratura, filosofia, teologia, diritto, poesia, geografia rappresentano diverse denominazioni di un unico sapere. La Sicilia diventa terra fertile per lo sviluppo della conoscenza islamica grazie anche al substrato culturale bizantino sul quale gli elementi islamici verranno ad innestarsi.
Patrizia Spallino ricercatrice di lingua e letteratura araba del Dipartimento di Culture e Società, università di Palermo. Il suo ambito di ricerca verte sulla filosofia, teologia e mistica islamica. 
Coordina il seminario Alfonso Lo Cascio, della Presidenza regionale di SiciliAntica. Ai corsisti sarà rilasciato attestato di partecipazione, utile ai fini del credito formativo per gli studenti degli istituti di istruzione secondaria superiore. Per iscrizioni: Tel. 0921.423641 Cell. 347.3363088.

Fonte:
SiciliAntica - Sede di Cefalù (Pa)

domenica 9 novembre 2014

Sagra della Castagna a San Salvatore di Fitalia (Me).



Edizione 2014 della Sagra della Castagna a San Salvatore di Fitalia, in provincia di Messina. Mostra mercato dei prodotti tipici fitalesi e dei Nebrodi, visite guidate, escursioni naturalistiche.


PER ULTERIORI INFORMAZIONI CONTATTARE LA PRO-LOCO AI NUMERI:
Tel. 0941486083 – 3288761315(proloco)
Email: prolocosansalvatore@gmail.com

venerdì 27 giugno 2014

La chiesa dell'Immacolata Concezione di Palermo, nel quartiere Capo: un gioiello dell'arte barocca.

27 giugno 2014.


La chiesa dell'Immacolata Concezione di Palermo, altare maggiore, sovrastato dalla grande tela della “Immacolata Concezione” del 1637, opera del grande pittore monrealese Pietro Novelli.


Storia:

Il Concilio di Trento o Concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi cattolici del mondo, per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica. L'apertura del Concilio fu indetta da papa Paolo III nel 1545 e fu chiuso, dopo numerose interruzioni, nel 1563. Nell'anno 1575, dodici anni dopo la fine del Concilio di Trento, la città di Palermo era preda della peste (era precisamente la mattina del 9 Giugno, giorno in cui si trovò, nel quartiere di San Domenico una donna morta e dopo di lei anche un uomo, un mercante di tappeti, un certo capitano di un brigantino proveniente dalla Barbaria, che aveva avuto con lei rapporti sessuali. Non si trattava di delitti passionali, ma dei primi casi di peste a Palermo. Riferiscono i Diari di Palmerino e Paruta, i due storici palermitani: “l’innamorato di detta donna e tutti di casa di una febbre con certi vozzi all’ancinagli, l’uno imbiscandola all’altro”).
La peste dilagava a Palermo e ben presto infestò tutta la Sicilia, specialmente le città che si affacciavano sul mare, perché più facilmente raggiungibili dalle navi. Furono chiuse le porte della città e i varchi delle due sole porte aperte, erano altamente controllate per evitare che i contagi aumentassero; i palermitani, allora, invocarono l'intervento della Vergine Maria per debellare la pestilenza, e dei Santi Rocco e Sebastiano. L'intercessione all'Immacolata e la predicazione dei francescani e gesuiti crearono allora i presupposti per fondare il monastero della Concezione al Capo. 
L'iniziativa è di Laura Barbara (o Imbarbara), vedova di Sigismondo Ventimiglia e senza figli, che già da qualche anno desidera fondare un istituto femminile cui donare tutti i suoi beni. Ella, devota dell'Immacolata, pensava di fondarlo sotto la regola francescana; interviene però il gesuita Giovanni Antonio Sardo il quale, se si mostra d'accordo sul titolo da dare alla futura istituzione, persuade la nobildonna a farlo sotto la regola benedettina. In quegli anni, infatti, i gesuiti erano impegnati nella gestione del monastero benedettino dell'Origlione ed avevano incontrato diversi problemi. La fondazione del monastero dell'Immacolata gli diede la possibilità di staccare una parte della comunità dell'Origlione e dirigerla verso il nuovo monastero. Fu così che la badessa dell'Origlione, Benedetta Reggio, inviò 12 suore nel monastero fondato dall'Imbarbara e ne divenne a sua volta badessa. Qui morì nel 1612. Per i primi due anni e mezzo i gesuiti avranno cura della neocomunità, poi essa comincerà a reggersi da sola. Il monastero, meta ambita dalla nobiltà palermitana che lo sceglie per la professione delle proprie figlie, accoglierà tra le sue file molte devote dell'Immacolata.

martedì 24 giugno 2014

La Chiesa di San Cataldo di Palermo.


La chiesa di San Cataldo di Palermo (prospetto frontale).

La chiesa di San Cataldo di Palermo (prospetto posteriore).
Storia:

Sita a Piazza Belliniaccanto la chiesa della Martorana o dell'Ammiraglio, si ritiene che sia stata fondata da Maione di Bari (Bari, 1115 – Palermo, 10 novembre 1160), così come documentato da Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco (Palermo 1783- Firenze 1863), nella sua opera "Del Duomo di Monreale e di altre chiese siculo - normanne: ragionamenti tre (Palermo 1838, pag. 38 e seguenti)", negli anni in cui Maione di Bari fu ministro, ammiraglio, gran cancelliere di Guglielmo I, (fra il 1154 e il 1160 d.C.). A tal proposito, vedasi il manoscritto "Delle Chiese di unioni, confraternite ecc., al foglio 582" di Antonio Mongitore (Palermo, 4 maggio 1663 – Palermo, 6 giugno 1743) nel quale si afferma che Guglielmo II, nel mese di giugno 1182, per suo privilegio, concesse ai Benedettini di Santa Maria Nova di Monreale, fra l'altro:
- a Palermo, la casa del fu Silvestro conte di Marsico, vicino alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, con cappella, forno e orto; la chiesa di San Martino, fondata da Pietro Indulfo, con i suoi possedimenti; la vigna di Pietro, mastro pittore, vicina alle sorgenti del Gabriele, che sua figlia e il marito avevano ceduto alla corte. 
Le concessioni temporali vanno inquadrate nell'ambito del diritto feudale del tempo e furono interpretate nel corso dei secoli secondo l'evoluzione del diritto feudale stesso. Nella sostanza, però, rimasero pressoché integre dalle origini sino alla Costituzione siciliana del 1812, con la quale furono formalmente aboliti i privilegi feudali in Sicilia.

domenica 15 giugno 2014

In giro per Palermo...le foto, la storia dei monumenti di una città millenaria.

La città di Palermo, vista dalla cupola dell'oratorio del SS. Salvatore sito in Corso Vittorio Emanuele II.
15 giugno 2014.

Buongiorno!
Pubblico di seguito alcuni scatti fotografici eseguiti da un appassionato lettore del blog che, in un giorno di primavera, unitamente ai componenti il suo nucleo familiare, ha avuto modo di visitare la città di Palermo. Iniziamo la nostra breve, ma intensa, carrellata fotografica, comprensiva di un breve cenno storico dei monumenti e dei luoghi immortalati fotograficamente:
Il Teatro Politeama Garibaldi.
La storia di questo monumento:

Nel 1865 il Comune di Palermo delibera la costruzione del Politeama. Essendo la spesa superiore alla cifra prevista, viene contattato il banchiere Carlo Galland che si impegna a costruire oltre "tre mercati secondo i disegni dell’architetto Damiani e a costruire, nel locale che indicherà il Municipio, un Politeama secondo il piano d’arte e disegni preparati dall’Ufficio tecnico del Municipio" (Capitolato di convenzione tra il Municipio e il Sig. Carlo Galland, piemontese, per la costruzione dei mercati e Teatro, 1866). Il concorso interno viene vinto da Giuseppe Damiani Almeyda e i primi disegni di progetto vengono presentati a metà del 1866 e già a gennaio del 1867 sono in corso i lavori di scavo. La costruzione del Politeama ha un inizio affrettato con molte zone oscure, che può essere chiarita solo dalla conoscenza delle intricate vicende politiche municipali. Nel 1869 e 1870 sorgono dei problemi tra il Municipio e l’impresa Galland, ma si decide di proseguire l'opera, eliminando tutti i lavori di abbellimento. Il cantiere inoltre era stato chiuso per qualche tempo per fare delle verifiche sulle condizioni statiche dell’edificio. Essendo stato trovato tutto a perfetta regola d’arte fu riaperto e si proseguì con i lavori. Il teatro era stato progettato come teatro diurno all'aperto, ma fu in un secondo tempo deciso di realizzare una copertura. Nel giugno 1874 fu inaugurato anche se incompleto e ancora privo di copertura, la prima rappresentazione fu I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini. La copertura, considerata per l'epoca opera di grande ingegneria, venne realizzata in metallo dalla Fonderia Oretea nel novembre del 1877. Gli ultimi lavori, di abbellimento, furono realizzati nel 1891 in occasione della grande Esposizione Nazionale che si teneva quell'anno a Palermo.
Dal 1910 al dicembre del 2006 il Ridotto del teatro ha ospitato la Galleria d'arte moderna di Palermo che viene successivamente spostata al Palazzo Bonet. Nel 2000, in occasione del G8 ospitato in città, vengono realizzati i restauri delle decorazioni pompeiane policrome dei loggiati. Dal 2001 il teatro è sede dell’Orchestra Sinfonica Siciliana. A partire dall'estate del 2011 iniziano i lavori di restauro della facciata posteriore del teatro.
(Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Teatro_Politeama_(Palermo))

Piazza Pretoria, o della vergogna.

venerdì 16 maggio 2014

"I ru viddrani" di Francesco Toscano - Capitolo Uno.

Monreale (Pa), lì 16 maggio 2014.


I ru viddrani

di Francesco Toscano


Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, sono del tutto casuali.


Uno.


Il sole a quell’ora del giorno si stagliava alto nel cielo terso del paese natio della zia Pina Modica e dello zio Peppino Fiorenza, oramai avanti negli anni, splendendo fulgidamente come non mai.
La nostra stella era giunta, avevano notato i due anziani consorti mentre erano seduti davanti all’uscio della porta della loro modesta abitazione, intenti a contare quanti cristiani passassero di lì, quasi allo Zenit.
Si faceva fatica a camminare per le vie del centro abitato, tanto che era necessario proteggersi gli occhi; gli abitanti del posto erano avvezzi a proteggersi gli occhi, accecati dai raggi del sole di mezzogiorno, con il dorso della mano, possibilmente la mancina, in modo tale da avere sempre la mano destra libera per prendere qualcosa o per afferrare qualcuno. Questa era la loro filosofia di vita: stai sempre in guardia se non vuoi soccombere.
Nessun “viddrano”, così com’erano soliti chiamare i loro mesti compaesani Pina e Peppino, si aggirava in quel momento per le vie del piccolo centro agricolo dell’agrigentino, un pugno di case in un territorio brullo, forse per paura di procurarsi delle ustioni, preferendo oziare all’ombra di qualche olmo ombroso o di qualche pensilina che sporgeva dai muri poco intonacati delle case che davano su Corso Italia o su altre vie.
L’aria era afosa, come spesso accade in Sicilia nei mesi estivi, e si faceva fatica ad alzare le gambe da terra: si boccheggiava.
Una vita di stenti quella vissuta dai Fiorenza; entrambi agricoltori, da qualche anno pensionati, non avevano avuto figli, benché, se fosse stato per loro, avrebbero voluto adottare tutti “gli addrevi ru paisi….”.
Il buon Dio, sostenevano i due anziani coniugi, aveva deciso di non dover dare a lei la gioia della maternità e a lui l’onore e l’onere di crescere un figlio cui, un giorno, avrebbe lasciato quanto nel corso dei suoi settantacinque anni era riuscito a racimolare.
Per Peppino era tanta roba: una casa; tre appezzamenti di terreno, uno dei quali dato in gabella, e da cui ricavava la metà del raccolto durante l’anno solare; una somma di denaro superiore ai trentamila euro, depositata in un conto corrente bancario, acceso pochi anni prima.
I due coniugi non erano avvezzi a sperperare i loro averi, preferendo spendere il necessario per la loro sopravvivenza. Mai un acquisto fuori luogo o avventato, mai una cena con amici, mai niente che potesse essere ritenuto superfluo. I due vecchi compravano solo quello che fosse veramente necessario per il loro fabbisogno giornaliero.
Parlavano poco fra loro Pina e Peppino, prediligendo assaporare le parole prima che fossero proferite dalla loro bocca, ponderando, di volta in volta, le frasi che il loro cervello ideava, componeva, e infine consegnava alla lingua e alle corde vocali per essere vocalizzate.
I ru viddrani” si conoscevano così bene che ogni parola era superflua.
La loro vita quotidiana si svolgeva con tempi cadenzati, quasi le ore fossero regolate da un orologio svizzero di ottima manifattura, che un buontempone di orologiaio s’era impegnato a realizzare per loro. Ogni ingranaggio di quel meccanismo multiforme, che regolava il loro tempo biologico, scorreva sereno e senza alcun intoppo.
Oramai gli anni bui, quelli fatti di stenti e di sofferenze, erano passati e i due anziani si auspicavano che non ne dovessero vivere più.

Lo avevano avuto un figlio da crescere i due consorti, pur tuttavia, ma non era stato il loro bambino, solo il figlio della sorella di lui: il più grande dei suoi tre nipoti.
Questo fanciullo, oggi cinquantenne, cui suo padre aveva imposto il nome di battesimo Carmelo, i due anziani coniugi lo avevano cresciuto e gli avevano voluto bene davvero tanto, così dedicandogli gran parte dei loro primi anni di matrimonio e dei loro averi.
Lo avevano allevato come e meglio di un figlio, facendolo studiare e viziandolo senza alcun riserbo. Carmelo, per tutta risposta, dopo la laurea, si era dimenticato dei suoi due benefattori, prediligendo vantarsi con gli amici e con i colleghi di lavoro che erano stati i suoi genitori, e non gli zii, a dargli gli strumenti necessari per imporsi nella società del suo tempo, divenendo, a soli trentadue anni, un affermato avvocato, e riuscendo, con i soldi che gli zii “ru paisi ru suli”gli facevano recapitare con vaglia mensile, ad avviare uno studio legale in un piccolo centro limitrofo a quello in cui la zia Pina e lo zio Peppino vivevano.
«Talè a mugghieri, pigghiami a sarsa ca c’è ddà! Supra u stipettu..» disse lo zio Peppino alla sua amata consorte, di lui più giovane di due anni.
«Ma cà a fari?» disse la zia Pina, sorpresa per quella domanda formulatale da suo marito.
«Vogghiù ‘nca sta jurnata m’ha cuociri a pasta cui maccheroni, salsa fresca e basilicò.»
«Comu scassi i cabbasisi tu, nuddu o munnu!» concluse Pina.
La salsa era davvero fresca.
L’avevano fatta loro due, con le loro mani, così com’erano soliti fare in paese nei mesi estivi tutti i loro compaesani, allorquando in pentoloni d’acqua calda si lasciano bollire chili di pomodori rossi, da poco raccolti, maturi e profumati, i quali poi saranno passati, versati in bottiglie lavate con cura che saranno a suo tempo tappate, e infine messe in una bacinella di plastica, a testa in giù, su cui una mano sicura farà calare un canovaccio.
Il calore prodotto dal canovaccio poggiato sulla bacinella di plastica, nonché il tempo di posa delle bottiglie in vetro al suo interno, avrebbe consentito alla salsa liquida contenuta all’interno delle bottiglie di pastorizzarsi, divenendo dopo qualche mese di conservazione, all’ombra della dispensa ricavata ad hoc per l’occasione, un prodotto gastronomico per palati sopraffini.
L’orologio a pendolo affisso alla parete laterale destra della cucina suonò mezzogiorno.
Svegli dalle cinque del mattino, come ogni giorno d’altronde, i due anziani si erano lasciati cullare dalla brezza mattutina, che entrava dall’anta di destra della finestra della stanza da letto sovente semichiusa, sino alle ore sei. “Ammuttami tu ‘nca t’ammuttu iu..” alla fine si erano alzati, pronti ad affrontare le insidie del nuovo giorno.
Lui si era lavato, rasato e profumato; era poi uscito dalla sua abitazione; aveva raggiunto gli amici alla “casa del lavoratore”, restando a scambiare due chiacchiere con alcuni di loro, che come lui avevano superato la settantina d’anni, sino alle dieci e mezzo.
Peppino, poi, prima di rientrare a casa, aveva comprato il pane dal fornaio di fiducia, tale Don Giovanni u luongo, il cui panificio si trovava all’angolo fra il Corso Italia e la via Manzoni, e due fettine di carne dall’unico macellaio di cui si fidava, tale Don Gino u curtu, che aveva bottega da circa venti anni in Corso Italia. Peppino aveva pensato di cucinare la carne, che aveva da poco acquistato, in padella, così com’era solito fare, ma solo dopo averla impanata e bagnata nell’albume e nel tuorlo di un uovo fresco che una delle due galline ovaiole che possedeva, che erano rinchiuse all’interno di un nido collettivo posto sul retro di casa sua, aveva fatto nelle prime ore del giorno.
Pina, quel giorno, dopo la pulizia personale mattutina, si era dedicata ad annaffiare le piante, arse dall’aria resa infuocata dal sole rovente, ed era rimasta in casa a sbrigare le faccende domestiche in attesa che rientrasse il suo amato Peppino.
Peppino era da poco rientrato a casa, quando qualcuno bussò alla porta d’ingresso della loro umile dimora.
«Pè! Pè! Va rapi a puorta e viri cu è!» disse Peppino alla moglie.
«Ma che è stamatina? Peppì cu può essiri? Viri ‘nca è u postino. Sicuramenti nnì puirtò o a bulletta ra luci o chidda ri l’acqua.»
Peppino, da galantuomo qual era, si decise ad andare ad aprire lui la porta, lasciando che sua moglie continuasse a disbrigare le faccende domestiche; aprì l’anta di destra della porta d’ingresso e, sull’uscio della porta di casa, scorse nella penombra la sagoma di cumpari Mimì, suo coetaneo.
«Ma quali postino e postino, è Mimì! Trasiti, trasiti Don Mimì… chi ci faciti ca?»
«Pozzu trasiri? Non è ‘nca risturbu? Stati manciannu?» Disse Don Mimì “’mparpagliatu”, e quasi spaventato di quello che gli potesse succedere, giacché consapevole che la sua presenza lì, e soprattutto quello che avrebbe detto loro da lì a pochi minuti, erano forieri di sventura che si stava per abbattere come una palla di cannone su quell’umile casa.

Francesco Toscano


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sabato 26 aprile 2014

11 maggio 2014 a Marsala (TP): 154° anniversario dello sbarco dei Mille. Il programma delle Manifestazioni Garibaldine.


26 aprile 2014.

Marsala, città dei Mille, rievoca ogni anno lo sbarco di Garibaldi con manifestazioni che si protraggono per un intero week end, a volte per una settimana. Giornata clou l'11 maggio in cui si ricorda in maniera solenne anche il bombardamento anglo-americano del 1943 per il quale la città fu insignita di medaglia d'oro al valore civile. Le manifestazioni garibaldine comprendono convegni, forum su temi del Risorgimento, visite guidate e degustazioni di prodotti eno-gastronomici.

A Marsala, in provincia di Trapani, l'11 maggio 2014 si snoderanno per le vie del centro delle Manifestazioni Garibaldine in occasione del 154° anniversario dello sbarco dei Mille, avvenuto, per l'appunto, l'11 maggio 1860. Intera giornata dedicata alla rievocazione storica con la partecipazione di Sebastiano Somma. Di seguito il programma delle Manifestazioni Garibaldine:


Ore 10.30 - Porto di Marsala
Lo Sbarco
Drammatizzazione con scontro a fuoco tra garibaldini e borbonici

Ore 11.00 - 
Grande Corte Storico
dal porto per le vie del centro con Garibaldi, borbonici, notabili e popolani marsalesi del 1861

Ore 12.00 - Piazza della Repubblica
Arrivo del Corte Storico ed Esibizione di sparo del gruppo storico

dalle ore 16.00 alle ore 20.00

Palazzo Fici - Via XI Maggio
Insediamento Borbonico con musiche e danze

Complesso Monumentale San Pietro
"Rievocazione Storica dell'accampamento Garibaldino con musiche e danze popolari

Ore 18.00 - Teatro Comunale Sollima
Conferimento del premio "Anita Garibaldi" e a seguire lo spettacolo Storico rievocativo Lo Sbarco dei Mille 11 Maggio 1860


Fonte:

domenica 2 giugno 2013

La condizione della donna nell'Ottocento.

2 giugno 2013.

La donna dell’Ottocento, a differenza di quelle delle epoche precedenti, specialmente nel nord Europa, visse quei cambiamenti tipici che si ebbero in quell'epoca ed in particolare quell'intenso processo di trasformazione delle attività umane noto come “rivoluzione industriale”.
Si assiste, comunque, come si è avuto modo di notare nei secoli precedenti, la sostanziale differenza della vita delle donne appartenenti alle diverse classi sociali.
Durante il primo quindicennio del secolo era maturato in Germania una nuova cultura, il Romanticismo, che aveva radici nel pensiero di alcuni filosofi e letterati tedeschi degli ultimi anni del Settecento.
In questo periodo un articolo di Madame de Stiaël fu l’occasione per uno scontro fra classicisti e romantici. I classici insorsero accusando la Stiaël di voler togliere all’Italia l’unica gloria che ancora le rimaneva, quella delle lettere. I romantici, invece, difesero la Stiaël, perché sentivano che amare la patria significava, in quel momento, riconoscere lucidamente la decadenza delle sue cause per sforzarsi di superarle.
La nostra letteratura romantica risorgimentale non raggiunse risultati artistici veramente notevoli, ad eccezione di Foscolo, Leopardi e Manzoni. Fra le donne emerse la figura di Aurore Dupin, scrittrice del movimento romantico, che scandalizzò la società parigina per la vita anticonformista e le relazioni amorose: sfidò la società benpensante portando abiti maschili, scegliendosi lo pseudonimo maschile di George Sand, lanciandosi in amori passionali e sposando la causa dei più deboli ed emarginati.
Dopo alcuni decenni attorno il 1870, prese forma un nuovo movimento artistico in contrapposizione al Romanticismo: l’Inpressionismo.
A scandalizzare il pubblico e la critica fu la mancanza di idealizzazione con cui Eduard Manet presentò il nudo in Olympia; la figura della donna viene esaltata in molti quadri di pittori come Renoir, Monet e Degas.
In un'altra corrente artistica letteraria denominata Verismo, il cui fine era una letteratura che fosse strumento e conoscenza del vero, ebbe come principali rappresentanti meridionali il catanese Luigi Capuana, ed in seguito Giovanni Verga, e una donna: la napoletana Matilde Serao.
Una delle manifestazioni più significative della spinta verso la democrazia fu il movimento per l’emancipazione femminile. Il movimento per i diritti delle donne detto anche “Movimento femminista”, si affermò per la prima volta in Europa nel tardo XVIII secolo e dopo importanti conquiste ottenute a cavallo tra il XIX secolo e il XX secolo passò momenti di difficoltà fino a rifiorire durante gli anni Sessanta del Novecento.
Le tre direzioni di riflessione e di impegno del femminismo sono state:
• la ricerca della solidarietà e la presa di coscienza dell’identità di genere , al fine di consolidare le posizioni politiche e sociali delle donne;
• le campagne di sensibilizzazione a favore dell’aborto, dell’eguaglianza di trattamento economico, dell’eguale responsabilità nella cura dei figli e contro la violenza domestica;
• il fiorire delle discipline accademiche che raccolsero intorno all'area dei cosiddetti “woman studie’s” (studi delle donne e del genere) e che forniscono argomenti teorici e dati empirici del movimento.
Durante la rivoluzione industriale il passaggio dal lavoro artigianale ( che le donne avevano svolto tradizionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione di massa fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come salariate. Ciò rappresentò, pur tra grandi contraddizioni sociali, il primo passo per l’indipendenza, sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a quelli degli uomini, amministrati dai mariti.
Un ruolo determinante nell'affermazione dell’uguaglianza di genere ebbe il movimento delle “Suffragette”, che fiorì dal 1860 al 1930, riunendo donne di diverse classi sociali e di diversa istruzione attorno al comune obiettivo del diritto di voto. Questo movimento era attivo soprattutto negli USA e in Inghilterra dove alcune associazioni iniziarono ad organizzare manifestazioni e proteste.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, tuttavia, il movimento per l’emancipazione della donna, grazie soprattutto ad Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff, si intrecciò strettamente con quello operaio e socialista e con il Congresso delle donne, indetto a Roma nel 1908 dal Consiglio nazionale delle donne, nacque il suffragismo femminile italiano.
In Italia le donne votarono solamente il 2 Giugno 1946.


LA CONDIZIONE DELLA DONNA IN SICILIA E NEL RESTO D'ITALIA DAL RINASCIMENTO AL SETTECENTO.

2 giugno 2013. 

La donna nel Cinquecento

In Italia tra il XIV e il XVI sec. la donna occupa un posto privilegiato e gode di quella generale emancipazione dell’individuo che pare delinearsi in quest’epoca. Lo storico svizzero BURCKHARDT, autore di “La civiltà del Rinascimento in Italia (1860)” scrisse: «[...] Finalmente, per bene intendere la vita sociale dei circoli più elevati del Rinascimento, è da sapere che la donna in essi fu considerata pari all’uomo.» BURCKHARDT vuole dimostrare la “virilità” della donna italiana nel Rinascimento. Le donne appartenenti a famiglie agiate ricevono la stessa educazione degli uomini; esse studiano le lingue classiche e lettere, e compongono versi che si sarebbe tentati di attribuire a uomini. La donna italiana rivaleggia in questo periodo con l’uomo per individualismo, intelligenza e coraggio. A sostegno di tale tesi lo storico BURCKHARDT cita alcune donne importanti dell’epoca, tra cui: Cassandra FEDELE; Vittoria COLONNA; Caterina SFORZA. 


 Caterina SFORZA 

Caterina SFORZA nacque a Milano nel 1463; sul suo conto gli storici non sono in grado di affermare il giorno di nascita. Figlia illegittima di Galeazzo Maria SFORZA , duca di Milano, e di Lucrezia LANDRIANI, moglie del conte e cortigiano Gian Piero LANDRIANI, fu signora di Imola e Forlì, prima con il marito Girolamo RIARIO, poi come reggente del figlio primogenito Ottaviano. Nel XV secolo era fra le donne più ammirate di tutta Europa. In giovane età si distinse per la sua azione temeraria e coraggiosa che mise in atto per salvaguardare i propri titoli ed onori, così come i propri possedimenti, quando i suoi Stati vennero coinvolti negli antagonismi politici. Nella vita privata si dedicò, fra l’altro, a svariate attività fra cui la caccia ed alcuni esperimenti di alchimia. Negli ultimi anni della sua vita confidò ad un frate: «Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo.» Morì a Firenze il 28 maggio 1509. 


 Sofonisba ANGUISSOLA 

Fra le donne del Cinquecento, voglio ricordare la pittrice Sofonisba ANGUISSOLA, (nata a Cremona nel 1535 circa, e morta a Palermo il 16 novembre 1625), della famiglia piacentina degli Anguissola, e la sua produzione artistica. Sofonisba Anguissola fu una delle prime esponenti femminili della pittura europea. Anche se la sua celebrità non fu pari a quella di altre pittrici salite in seguito alla ribalta dell'arte come Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera o Angelika Kauffman, Sofonisba rappresentò la pittura italiana rinascimentale al femminile. Si formò alla scuola del pittore lombardo Bernardino Campi, che, pur non appartenendo alla nota famiglia di pittori cremonesi comprendente i più celebri Vincenzo, Giulio e Antonio Campi, aveva uno stile che si rifaceva agli esponenti di spicco dell'arte manierista in voga nell'Italia settentrionale tra Cinquecento e Seicento. Lo stile di Bernardino influenzò notevolmente Sofonisba, che ne tradusse i tratti essenziali nell'ambito prediletto: quello della ritrattistica. Sofonisba Anguissola partecipò come figura di spicco alla vita artistica delle corti italiane data anche la sua competenza letteraria e musicale, ed ebbe una fitta corrispondenza con i più famosi artisti del suo tempo. Fu citata anche nelle Vite di Giorgio Vasari grazie a Michelangelo Buonarroti che sosteneva che la giovane fanciulla avesse talento. Fu il padre di Sofonisba a scrivere a Michelangelo e a mandargli i disegni della figlia. Fra quei disegni c'era anche un Fanciullo morso da un granchio, nel quale la giovanissima artista cremonese, allora poco più che ventenne, aveva colto l'espressione del dolore infantile con un'invenzione che piacque molto al grande artista fiorentino. Quella smorfia di dolore fermata da Sofonisba la ritroviamo poi nel Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio. Nel 1573 sposò Fabrizio Moncada, governatore del principato di Paternò (CT), dal 1573 al 1579. Un documento del 25-06-1579 ha permesso recentemente di attribuire alla pittrice il quadro di “Santa Maria dell’Itria” custodito presso la chiesa di Paternò. Un altro atto del 26-07-1579, recentemente venuto alla luce, ha permesso di evidenziare un aspetto alquanto significativo della vita di Sofonisba. In questo documento si legge, infatti, che la pittrice ricevette, su mandato di Aloysia de Vega e Luna, onze (moneta del tempo) 120 quale segno di gratitudine per tutto il tempo in cui fu governatrice del principato. 

  • Sofonisba Anguissola paintings prints reproductions
 La donna nel Seicento 

Nel Seicento la donna, sia che fosse nobile o borghese, aveva l’unico obiettivo di diventare una buona moglie; era sempre bene educata, sapeva leggere e scrivere (cosa che invece non si ebbe modo di riscontrare nel Rinascimento,dove era raro incontrare donne colte) e fin da piccole venivano avviate agli atti di pietà e venivano istruite sulla religione ed il culto. Dovevano provvedere ad una dote, commisurata alla ricchezza della famiglia, e se non si fossero sposate venivano mandate in convento (solitamente ciò accadeva alle donne di ceti inferiori) dove imparavano le arti “obbligatorie” per le donne del tempo, ovvero filare e tessere, cucinare e governare la casa. Mentre le giovani donne aristocratiche e borghesi conducevano una vita più agiata, quelle appartenenti ai ceti meno abbienti dopo il matrimonio, che avveniva di solito in tenera età, si dedicavano ad accudire la numerosa prole. E’ doveroso evidenziare la condizione delle contadine e delle serve. Le contadine dedicavano gran parte della loro vita ad un lavoro durissimo nei campi, a governare gli animali, ed in particolare alla mungitura del latte, ed in seguito alla preparazione del formaggio e del burro. Le donne che invece venivano avviate alla vita monacale entravano in convento spinte da diversi motivi: chi per fede, chi per costrizione da parte delle famiglie, o chi cercava semplicemente una casa per sfamarsi. Le donne del Seicento non potevano frequentare le università; ciò malgrado alcune di loro si dedicarono con passione alla ricerca scientifica. 

 La donna nel Settecento 

Nel Settecento le donne acquisirono una libertà maggiore rispetto le epoche precedenti. Pur restando fortemente soggette alle leggi paterne, una volta sposate erano libere di esercitare una sorta di dominio in casa. Le ragazze di buona famiglia, rispetto alle loro coetanee medievali e rinascimentali, che potevano essere solo intraviste durante le funzioni religiose, potevano uscire di casa. Esse avevano la possibilità di incontrare il loro futuro marito ai ricevimenti, ai concerti, o addirittura, se erano state recluse in convento, durante le commedie messe in scena nei parlatori dei chiostri. Pur tuttavia non tutte le famiglie erano così libertarie con le giovani donne, e le usanze e i tempi dell’entrata nel mondo delle giovani donne variava da regione a regione. Le ragazze provenienti da famiglie borghesi restavano più a lungo in famiglia, sotto stretta sorveglianza, e non lasciavano la casa fino al giorno del matrimonio. Nel ‘700 nacque una nuova “figura cavalleresca” che compare a fianco delle giovani donzelle nobili e borghesi: il cicisbeo o cavalier servente. Si trattava di un uomo, che non era mai l’amante della donna, il quale poteva assistere alla toelettatura mattutina della giovane, quando le cameriere la pettinavano e la vestivano. Il cicisbeo aveva il compito di accompagnare la sua dama a passeggio, a tavola, in società e a teatro ma non passava la notte con lei. Il suo compito era anche quello di elogiare la sua dama. D’interesse è la feroce satira mossa a questa “figura cavalleresca” nel poemetto “Il giorno” di Giuseppe Parini, poeta, librettista e traduttore italiano del Settecento, un poema didascalico - satirico contro la nobiltà, che esprime gli ideali della borghesia lombarda seguace dei principi dell’Illuminismo.

giovedì 24 gennaio 2013

Piazza Marina, una delle piazze del centro storico di Palermo situata nel quartiere della Kalsa o Mandamento Tribunali.

Il grande ficus di Piazza Marina sempre a Palermo
24 gennaio 2013.

Piazza Marina, un tempo si affacciava sul mare della Cala, da qui il nome. Lo slargo, oltre a costituire un ottimo approdo dovette colpire favorevolmente il senso estetico di quanti vi misero piede, tanto che i saraceni da quella spianata iniziarono a costruire il primo insediamento che prese il nome di Kalsa. 
La piazza, prima della risistemazione ottocentesca, era composta da un terreno libero, quest'area veniva utilizzata durante la Santa Inquisizione per il martirio e l'uccisione degli eretici provenienti dalle vicine prigioni. Da tempo importante piazza della movida palermitana nel dicembre del 2009 è nato un consorzio per la creazione di un centro commerciale naturale e per spingere il comune alla pedonalizzazione della piazza.
Nel gennaio 2011 il comune di Palermo ha appaltato il rifacimento di tre piazze storiche cittadine includendo piazza Marina, il progetto prevede il rifacimento della pavimentazione e dei marciapiedi, rifacimento dell'arredo urbano, il restauro e il ripristino della recinzione della Villa Garibaldi, il rifacimento dell'illuminazione della piazza e della Fontana del Garraffo e l'illuminazione di Villa Garibaldi.
Al suo interno vi si trova l'ottocentesca Villa Garibaldi, dedicata all'eroe risorgimentale per celebrare la nascita del Regno d'Italia. A caratterizzar la piazza sono anche i numerosi edifici storici che la delimitano, tra i quali Palazzo Chiaramonte o Steri, attuale sede del Rettorato dell'Università degli Studi di Palermo, Palazzo Galletti, Palazzo Fatta, Palazzo Dagnino, l'Hotel de France, il Teatro Libero, Palazzo Mirto, la Chiesa di S. Maria dei Miracoli, Palazzo Notarbartolo di Villarosa, Palazzo Gravina di Palagonia, Palazzo dell’Intendenza di Finanza, Chiesa di San Giovanni dei Napoletani, Chiesa di Santa Maria della Catena, Museo delle marionette, la Fontana del Garraffo.  

Link utili:
http://www.piazzamarinaedintorni.it/;
http://www.mobilitapalermo.org/mobpa/2011/01/03/tre-piazze-monumentali-firmato-il-finanziamento-partono-i-lavori/.

Fonte:
http://palermodintorni.blogspot.com/2013/01/piazza-marina-immagini.html;
http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_Marina.

sabato 1 settembre 2012

Naro (AG) fra miti e leggende.

1 Settembre 2012.

Antiche leggende afferenti l'esistenza di antichi dèi (1) ci portano oggi a conoscere una parte del territorio sud-ovest della provincia di Agrigento, luogo in cui si narra che i Giganti, primi abitanti dell'isola, furono addirittura i costruttori di una delle più enigmatiche città della Sicilia: Naro (AG). 

Situata in una posizione scenograficamente attraente, sul pendio di un colle ameno, a quota prossima ai 600 m. s. m., Naro è uno dei belvedere di Sicilia, di rara bellezza, che ne fa un centro alternativo alle località balneari, la cui veduta si estende fino all'Etna, alle Madonie, al mare di Licata e Sciacca. La sua posizione elevata, naturalmente protetta, la hanno resa un luogo particolarmente ambito. Le sue origini millenarie hanno dato vita, nel corso dei secoli, alla leggenda ed al mito.

L'ipotesi che Naro fu costruita dai Giganti è avvalorata da Paolo Castelli e Fra Salvatore Cappuccino. In particolare,  Fra Salvatore Cappuccino, a tal proposito,  richiama l'archivio del Regio Ufficio Giuratorio, foglio 1, riportante la notizia che: "nel secolo XV quando si doveva costruire il cappellone della chiesa madre, si rinvenne nelle fondamenta abbondanza di crani, cannelle, denti ed altre ossa gigantesche." Lo stesso ci tramanda la testimonianza del dott. Francesco Barone: nel 1782 alcuni contadini nei dintorni del regio castello trovarono un teschio grande, da ricevere nella sua cavità un tumulo di grano e quella del sac. Gaspare Licata  nel 1784 nella casina di don. Giuseppe Torricelli, feudo di Furore, territorio di Naro, si doveva fabbricare un magazzino e nel suolo fu trovato uno scheletro gigantesco, il cui cranio era capace di contenere mondelli 3 di frumento. Fin qui la leggenda e la tradizione. Ma, durante i recenti lavori di ristrutturazione del vecchio Duomo, un lavorante pare che abbia detto che erano state rinvenute e, poi spezzate, trasportate e buttate nella "carnara" del cimitero comunale:Testi ca parivanu palluna e gammi ca parivanu cosci di sceccu.

Alcuni studiosi la identificano con l'antica Camico, città costruita da Dedalo per Cocalo, re dei Sicani, oppure sempre fondata dai Sicani con il nome di Indàra o Inico. Altri la identificano con Akragas Jonicum, colonia dell'antica Gela fondata nel 680 a.C., otto anni dopo la stessa Gela e ben cento anni prima di Akragas Doricum (l'attuale Agrigento). Durante il periodo romano la città, che probabilmente portava il nome di Carconiana, acquisisce una vocazione agricola che ne caratterizzerà la storia dei secoli successivi.

Della storia della città durante il periodo bizantino non si hanno molte notizie, sicuramente il centro urbano conosce un periodo di sviluppo e prosperità dopo la conquista araba avvenuta nell'839 ad opera dell'emiro Ibn Hamud, saranno proprio gli arabi ad intuire l'importanza strategica del centro urbano, in ottima posizione per controllare il territorio circostante da sfruttare con l'agricoltura ed al centro dei commerci poiché lungo la strada di collegamento fra Agrigento e Catania. La città durante il periodo arabo venne dunque ampliata e fortificata e permise all'emiro Ibn Hamud di resistere alla conquista normanna fino al 1086, quando Naro, dopo quattro mesi di assedio, cadde ad opera del Conte Ruggero, ben quattordici anni dopo la conquista di Palermo. Lo stesso Conte Ruggero, poco dopo la conquista della città trasformò la moschea in chiesa Madre stabilendovi il decanato della diocesi di Girgenti. Con gli svevi, venne nominata città parlamentare e chiamata "Fulgentissima" da Federico II di Svevia, che le diede tale titolo nel parlamento di Messina del 1233 annoverandola fra le 23 Regie o Parlamentarie del Regno di Sicilia. Ogni città demaniale del regno venne posta a capo di una comarca, suddivisione che si mantenne fino al 1793, quando le comarche vennero sostituite dai distretti e il territorio di Naro fu smembrato e inserito nel distretto di Girgenti

La comarca di Naro comprendeva gli attuali territori di Canicattì, Sommatino, Delia, Camastra, Grotte, Racalmuto, Castrofilippo e Campobello di Licata. Nel 1263, secondo quanto riportato da Fra Saverio Cappuccino, la città viene dotata di una cinta di mura fortificate, che però sono probabilmente il rifacimento e ampliamento di precedenti strutture arabe. Sulle mura vennero originariamente aperte sei porte: la porta della Fenice, la porta S. Giorgio e la porta d'Oro (o porta Vecchia) sul versante settentrionale, la porta di Girgenti e la porta dell'Annunziata sul versante meridionale, la porta di S. Agostino ad ovest. Una settima porta venne aperta a sud-est nel 1377: la porta di Licata. Prendendo parte ai Vespri siciliani la città si libera dai francesi con una sanguinosa rivolta che si conclude il 3 aprile 1282 con l'uccisione del governatore Francesco Turpiano e di tutti i francesi a guardia del castello. Naro deciderà allora di reggersi da sola sotto la guida del governatore francese Ognibene Montaperto. Gli inizi del secolo XIV sono un periodo d'oro per la città, sotto la castellania di Pietro Lancia la rilevanza politica della città cresce a tal punto che il re Federico III d'Aragona promulga dal castello di Naro i 21 capitoli per il buon governo delle città nel 1309 (nel 1324 secondo alcuni studiosi). 

Il  castello chiaramontano di Naro.

Seguirà a questo periodo una decadenza economica causata da mezzo secolo di lotte interne, decadenza che verrà superata a partire dal 1366 quando la città passa a Matteo Chiaramonte ed inizierà così un intenso periodo culturale ed artistico durante il quale viene costruita la chiesa di Santa Caterina, viene definito l'Oratorio di S. Barbara, si amplia il castello e probabilmente viene anche restaurato ed ingrandita la matrice che sul finire del secolo ottiene il titolo di Duomo da re Martino il Giovane.

Naro ottenne il titolo di città nel 1525, quando per petizione presentata al Real Parlamento di cui Naro occupava il 18º posto del braccio demaniale, dal magnifico naritano Don Girolamo D'Andrea si vide concedere tale titolo (fino ad allora si chiamava "terra del demanio di Naro") da Carlo V, che per mezzo del suo viceré, il Duca di Monteleone concesse alla città anche il privilegio del Mero e Misto Impero, autorizzandola quindi ad esercitare giustizia civile e penale da sè (di tale privilegio godevano all'epoca solo Palermo e Messina in tutta la Sicilia). Nel 1615 venne nominata capo comarca dal Parlamento Generale svoltosi a Palermo. 

Nel 1645 ottenne anche il privilegio del Bussolo Senatorio (da qui la sigla S.P.Q.N. nello stemma della città), tramite il quale i giurati e i patrizi venivano eletti ogni anno direttamente dal consiglio cittadino e i primi prendevano il titolo di senatori. Il XVII e il XVIII secolo rappresentano un periodo di particolare splendore per la città durante il quale i diversi ordini monastici presenti costruiscono o rinnovano diverse chiese e monasteri che caratterizzano il tessuto urbano della città attuale.
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Fonte:



(1) Secondo la leggenda intorno ai primi abitatori dell'Isola, che sarebbero stati i Giganti (di cui parlano la Genesi, Omero. Tucidide, Giustino, Plinio, Strabone e,  poi, gli storici siciliani Fazello, Caruso, Pancrazio, Valguarnera, P. Giovanni Chiarandà nella sua Piazza (libro 1, cap. 8), Mario Negro nella sua Geografia (cap. XV, p. 115), P. Massa nella sua Sicilia in prospettiva (parte 2, p. 248) e Carlo Ruca nel Virgilio Illustrato - Eneide (Libro terzo, p. 394, Agragas, urbis Ionia olim, in vertice rupis exstructa, hodie Naro dicitur.)ritengono essere stato Naro edificato dai Giganti dopo il diluvio universale, sul monte Agragante dal nome del loro capo, che aveva nome Agragante e che diede nome al monte ed al fiume. Secondo un'altra antica leggenda siciliana, Giove che era adorato come divinità di montagna (Giove Etneo) unendosi con una oceanina, Asterope, ebbe un figlio chiamatoAcrάgaς ed una figlia chiamata NARO (Ναίς =ninfa di fonte o di fiume o anche Nαρόn in greco scorrente-fiume).


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La storia del blog nasce nel 1997 in America, quando lo statunitense Dave Winter sviluppò un software che permise la prima pubblicazione di contenuti sul web. Nello stesso anno fu coniata la parola weblog, quando un appassionato di caccia statunitense decise di parlare delle proprie passioni con una pagina personale su Internet. Il blog può essere quindi considerato come una sorta di diario personale virtuale nel quale parlare delle proprie passioni attraverso immagini, video e contenuti testuali. In Italia, il successo dei blog arrivò nei primi anni 2000 con l’apertura di diversi servizi dedicati: tra i più famosi vi sono Blogger, AlterVista, WordPress, ma anche il famosissimo MySpace e Windows Live Space. Con l’avvento dei social network, tra il 2009 e il 2010, moltissimi portali dedicati al blogging chiusero. Ad oggi rimangono ancora attivi gli storici AlterVista, Blogger, WordPress e MySpace: sono tuttora i più utilizzati per la creazione di un blog e gli strumenti offerti sono alla portata di tutti. Questo blog, invece, nasce nel 2007; è un blog indipendente che viene aggiornato senza alcuna periodicità dal suo autore, Francesco Toscano. Il blog si prefigge di dare una informazione chiara e puntuale sui taluni fatti occorsi in Sicilia e, in particolare, nel territorio dei comuni in essa presenti. Chiunque può partecipare e arricchire i contenuti pubblicati nel blog: è opportuno, pur tuttavia, che chi lo desideri inoltri i propri comunicati all'indirizzo di posta elettronica in uso al webmaster che, ad ogni buon fine, è evidenziata in fondo alla pagina, così da poter arricchire la rubrica "Le vostre lettere", nata proprio con questo intento. Consapevole che la crescita di un blog è direttamente proporzionale al numero di post scritti ogni giorno, che è in sintesi il compendio dell'attività di ricerca e studio posta in essere dal suo creatore attraverso la consultazione di testi e documenti non solo reperibili in rete, ma prevalentemente presso le più vicine biblioteche di residenza, mi congedo da voi augurandovi una buona giornata. Cordialmente vostro, Francesco Toscano.