ULTIME NEWS DAL BLOG Sicilia, la terra del sole.
lunedì 3 marzo 2008
La Provincia di Palermo.
giovedì 28 febbraio 2008
Colpo grosso a Bagheria(Pa), vinti 2 milioni di euro
domenica 24 febbraio 2008
MUSICA: PALERMO, COMPIE VENT'ANNI L'ASSOCIAZIONE 'ANTONIO IL VERSO'
Di particolare rilievo sara', inoltre, la realizzazione della messa in scena dell'opera di Jean-Jacques Rousseau 'Le devin du village', che sara' prodotto in occasione della ricorrenza dei cinquanta anni dalla fondazione dell'Istituto di Storia della musica dell'Universita' di Palermo.Il Medioevo dei Carmina Burana e' la proposta con cui l'ensemble laReverdie inaugurera' la stagione il prossimo 10 marzo; la viola da gamba di Guido Balestracci sara' protagonista il 16 aprile con 'Jeu d'Armonie'.
La stagione proseguira' con il violoncellista francese Cristoph Coin insieme all'ensemble Il Ricercar Continuo, il contraltista Nicola Marchesini e il sopranista Paolo Lopez e, dopo la pausa estiva, la musica inglese per virginale con Basilio Timpanaro; il violoncellista Luigi Piovano e il clavicembalista Giovanni Togni e, in chiusura, il 15 dicembre si esibira' l'ensemble dell'associazione.
CALCIO: PROCURATORE AMAURI, GIOCATORE LASCERA' IL PALERMO
lunedì 18 febbraio 2008
GASTRONOMIA: CHEF A PALERMO IN GARA PER GLI INTERNAZIONALI
CALCIO: ZAMPARINI, SOLO QUI CAMPIONATO 'SPEZZATINO' E' PROBLEMA
sabato 16 febbraio 2008
A Palermo 63 opere di Max Ernst.E' la terza mostra del magnate in Sicilia
giovedì 14 febbraio 2008
Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti (Chiese di Palermo)
La Zisa(Monumenti arabo-normanni di Palermo)
Gli emiri che venivano dall'altra parte del mare lo chiamavano gennat alard, il Paradiso della Terra. E lo trovarono anche a Palermo. Ma gli abitanti di quella città, magnifica come lo era solo Bagdad per i suoi giardini e Cordova per le sue moschee, dieci secoli dopo seppellirono quel paradiso sotto i loro rifiuti. Dove c'erano fontane e palme da datteri e melograni ci portarono sozzure, veleni, carcasse di animali e di automobili. Dove crescevano le piante degli odori ci costruirono case deformi e giganteschi palazzi, rovesciarono cemento sugli agri più fertili della Conca d'Oro, nascosero castelli, coprirono tesori. I parchi di Palermo diventarono i suoi orrori urbani. E anche la Zisa, in arabo la Splendida, fu sotterrata con la sua memoria. Dimenticata, lasciata nelle mani dei nuovi califfi mafiosi, abbandonata nel suo sfacelo.
Ci sono voluti gli ultimi vent'anni e tanta fatica per seguire una traccia che forse, prima o poi, ci farà ritrovare la strada che conduce ancora al Paradiso della Terra. Vi hanno piantato aranci amari e cedri, bacche, arbusti, la lavanda, i carrubi, il gelsomino e la menta, le rose e i pistacchi. Vi hanno scavato tra le sterpaglie e i cumuli di fango una vasca lunga centotrentacinque metri e larga quattro, una «via dell'acqua» con luci e spruzzi. Vi hanno disegnato aiuole, poggiato marmi e restaurato pozzi, mosaici, colonne. In una delle borgate più devastate e putrefatte stanno facendo rinascere un frammento di quell'eden che dopo gli arabi fu dimora dei normanni, grande riserva reale di caccia che si estendeva da Altofonte fino quasi al mare, territorio che elevò Palermo a capitale. Una delle più grandiose del Mediterraneo.
Erano centomila e qualcuno dice anche duecentocinquantamila quelli che vivevano sotto il Montepellegrino quando gli arabi persero il dominio dell’isola e, dopo due secoli e mezzo, arrivò un manipolo di audaci. Erano condottieri «fedeli di Dio e cavalieri di Cristo» con a capo i fratelli Roberto e Ruggero d'Altavilla, dovevano sottomettere i greci, cacciare i saraceni e riportare la Sicilia «in grembo alla cristianità».
L'avventura però fu anche un'altra. E i signori normanni dal 1071 e per più di cento anni vissero a Palermo come «i più orientali» dei sovrani. Fu allora che il gennat alard divenne il Genoardo. Fu allora che il mecenatismo illuminato dei cavalieri di lontane origini scandinave assecondò la fusione di culture, di popoli, di tendenze. Una Palermo multietnica dove cupole islamiche svettavano sulle basiliche latine, dove artigiani magrebini e bizantini decoravano chiese cristiane, dove per le vie si incontravano mercanti e geografi e matematici di ogni razza e ogni provenienza. Longobardi, ebrei, slavi, berberi, persiani, tartari. E, come annotava uno dei tanti poeti a quel tempo partiti dall'altra sponda del Mediterraneo, «le donne di questa città all'aspetto sembrano musulmane, parlano arabo correttamente, si ammantano e si velano come quelle».
Fu proprio in quegli anni che dalle maestranze di Sousse e di Kairouan i normanni si fecero progettare e realizzare quelle che il viaggiatore arabo andaluso Ibn Giubair descriveva come «le perle di un monile», la piccola Cuba, la Cuba Sopraha, il palazzo dell'Uscibene. E soprattutto el Aziz, la Zisa. Palazzi che uno dopo l'altro ricadevano nel Paradiso della Terra, luogo di delizie, culla di ozi e sollazzi di corte. Su mandato papale i normanni edificarono le grandi cattedrali cristiane — a Palermo, a Monreale, a Cefalù — ma nel privato scelsero di trascorrere la loro esistenza come i vinti, quei sultani che passavano le giornate a sentire il cinguettio degli uccelli e i profumi delle erbe nei giardini ispirati al disegno islamico, che godevano di quelle grandi sale per il riposo e per le feste, per gli incontri con le concubine.
«La Zisa era il palazzo dei piaceri, costruita da un re cristiano ma araba nella sua concezione: è stato un riconoscimento dei trionfatori agli sconfitti», spiega Salvo Lo Nardo, uno degli architetti — gli altri sono Pippo Caronia e Luigi Trupia — che hanno fatto rivivere a Palermo questo ritaglio di Genoardo. L'idea la ebbero nel 1986 e trovarono in quella inquieta stagione politica siciliana un'entusiastica sponsorizzazione trasversale, il sindaco democristiano ribelle Leoluca Orlando e l'assessore socialista Turi Lombardo. Progetto approvato nel 1990 e finanziato dal Comune nel 1996, nel 1997 iniziarono i lavori ma poi la ditta fallì e il cantiere rimase chiuso per anni. Ha riaperto l'anno scorso. Nell'estate del 2005 i giardini della Zisa sono stati finalmente offerti alla città che li aveva occultati.
Tre ettari di verde, sessanta varietà di piante sapientemente sparse in otto campi, poco più di cinque milioni di euro il costo dell'opera. «Noi palermitani siamo lenti nel fare le cose ma poi, alla fine, riusciamo a sentirle profondamente nostre», dice la Sovrintendente ai beni culturali di Palermo Adele Mormino quando ci mostra in un bellissimo tramonto il «luogo delle delizie».
Eccoli i giardini della Zisa con i suoi tre percorsi, la «via dell'acqua», la «via del verde» e la «via dell'ombra», un reticolato metallico che sarà coperto da bouganville e da glicine e da gelsomini. In mezzo la lunga vasca con le ceramiche lavorate dai mastri di Santo Stefano di Camastra, gli zampilli, il marmo bianco delle cave di Alcamo e di Castellammare, un proseguimento ideale del tracciato d'acqua della sala della fontana, quella che si apre oltre le porte del palazzo della Zisa. E fuori dalle sue mura c'è ancora la «senia», una piattaforma di pietra circolare con al centro un pozzo e una macchina dentata. Una volta un asinello legato e bendato vi girava all'infinito intorno, con il suo andare le pale tiravano su dal pozzo l'acqua che finiva poi in una cisterna e scivolava nei canali che irrigavano il giardino. Ci vorrà del tempo e tanta pazienza per vederlo rigoglioso come mille anni fa questo parco circondato ancora dalle mostruosità della Palermo più «ruggente», sfregi lasciati nel quartiere della Zisa dai Moncada, dai Corvaia, dai Carini, palazzoni tutti uguali, edilizia di rapina, licenze regalate “dall'Anonima Impresa Ciancimino" agli amici, ai prestanome, a pensionati nullatenenti. Una Palermo infetta che guarda ancora oggi quella che era la Palermo più regale e superba. È in fondo, imponente e maestoso, che si staglia il palazzo che i palermitani chiamano castello ma castello non è mai stato. Un parallelepipedo di tufo, alto più di 25 metri e largo più di 35 con un'iscrizione in versi sull'arcata di accesso alla sala della fontana: «Quantunque volte vorrai, tu vedrai il più bel possesso del più splendido tra i reami del mondo: dei mari e la montagna che li domina le cui cime sono tinte di narciso e vedrai il gran re del secolo in bel soggiorno ché a lui conviensi la magnificenza e la letizia. Questo è il paradiso terrestre che si apre agli sguardi. Questi è il Musta’izz e questo palazzo l'Aziz».
Il Musta’izz, «bramoso di gloria», era re Guglielmo II. L'Aziz fu iniziato nel 1165 da Guglielmo I il Malo. E ultimato nel 1167 da Guglielmo II il Buono, che al trono salì appena adolescente, quando aveva solo tredici anni. Così lo storico Michele Amari ricorda la nascita della Zisa nella sua ricostruzione dell'epoca musulmana in Sicilia: «Guglielmo, rivaleggiando col padre ne' passatempi soli, ei si messe a fabbricare tal palagio che fosse più splendido e sontuoso di que’ lasciatigli da Ruggiero. Fu murato in brevissimo tempo, con grande spesa, il nuovo palagio e postogli il nome di El Aziz che in bocche italiane diventò la Zisa e così diciamo fin oggi». Un gioiello di architettura araba e di monumentalità normanna. La perfetta sintesi della mescolanza tra dominatori e dominati, la Zisa come simbolo di una Sicilia felicissima. Scrive Giuseppe Bellafiore, professore ordinario di storia dell' arte e autore di un testo sulla Zisa dato alle stampe una decina di anni fa dall'editore palermitano Flaccovio: «A volere meglio specificare le caratteristiche funzionali del palazzo, c'è da dire innanzitutto che esso era una dimora destinata prevalentemente al soggiorno estivo. Non si trattava tuttavia di un precario soggiorno diurno … Era questo rivolto ed aperto a nord-ovest verso il mare, cioè verso la zona panoramica più attraente e più fresca della pianura palermitana». Aggiunge ancora Bellafiore: «Da quella parte, giungevano le brezze più temperate e specialmente quelle notturne, che potevano essere accolte entro lo stesso palazzo attraverso l'ampio varco dei tre fornici di facciata e della grande finestra belvedere del piano alto». Spazi, finestre, atri, un mirabile sistema di ventilazione per assorbire ed espellere l'aria calda. Per affrontare le giornate di scirocco. Per trovare riparo alle lunghe estati palermitane. E concedersi sollievi più intimi. «Era proprio lì dentro che i nuovi conquistatori si dedicavano alle gioie dell'anima e soprattutto a quelle del corpo», racconta Matteo Scognamiglio, direttore del servizio beni architettonici della Sovrintendenza, che spiega come da alcuni mesi stanno completando il recupero della sala della fontana. Era al primo piano l'harem della Zisa, nelle sale che si inseguono nelle due ali del palazzo. Aspettavano là le donne dei sovrani, distese sui loro soffici diwan e nella penombra delle nicchie. Un'atmosfera fiabesca, da Mille e una notte. Alla Zisa ma anche alla Cuba e in tutti gli altri «sollazzi» dei giardini delizia musulmani, quelli che si richiamavano al paradiso coranico. Era il Genoardo voluto dai normanni. E non fu certamente un caso che proprio lì, alla Cuba, tra le acque e gli alberi che circondavano un altro parallelepipedo — di dimensioni appena più piccole della Zisa — Boccaccio ambientò una delle novelle del suo Decameron. La sesta della quinta giornata. È la vicenda d'amore tra Gian di Procida e Restituta, una ragazzina bellissima di Ischia rapita da «giovani ciciliani» per offrirla in dono a Federico II d'Aragona. Il re comandò «che ella fosse messa in certe case bellissime di un suo giardino, il quale chiamavan Cuba, e quivi servita, e così fu fatto». Lieto il finale della storia. I due amanti si ritrovarono dopo il rapimento ma una notte vennero scoperti mentre dormivano abbracciati, il re li fece trascinare nudi sul rogo. In loro favore intercedette però Ruggieri de Loria, che ricordò al sovrano cosa fecero i Procidani nella guerra del Vespro. E fu così che «Gian di Procida campa e divien marito di lei». Quando Giovanni Boccaccio scrisse il Decameron, era già cominciato il declino del parco reale e anche di quella Palermo che per il geografo arabo Al-Idrisi era allora «la più grande e la più bella metropoli del mondo». Un decadimento che subì anno dopo anno pure la Zisa. Nel Trecento fu realizzata una merlatura che soffocò una scritta in arabo alla sommità dell'edificio, poi il «sollazzo» fu trasformato in una fortificazione. Narra Nicolo Speciale, cronista del quindicesimo secolo, di quel che accadeva anche nel passato più lontano nella Conca d'Oro: «Tutto ciò che c'era di verde veniva distrutto e nessuno aveva pietà». Gli aragonesi e i vicerè spagnoli assegnarono la Zisa di volta in volta a nobili famiglie. Nel Cinquecento diventò un baglio, nel Seicento l'acquistò per poche once Don Giovanni di Sandoval, nel 1808 la Zisa passò ai Notarbartolo principi di Sciara. La tennero loro fino al 1951, quando fu espropriata dalla Regione. Cominciarono allora i primi lavori di restauro. Ma alla vecchia maniera siciliana. Interventi saltuari e approssimativi. Tra il 1956 e il 1957 furono perfino buttati giù alcuni muri, i solai e anche i pavimenti che avevano abilmente sistemato quelle maestranze arabe venute da Sousse e da Kairouan per desiderio dei nuovi signori. Nell'ottobre del 1971 il più bel palazzo del Paradiso della Terra cedette per l'incuria: il primo piano precipitò. E cominciarono anche i saccheggi della Zisa la Splendida, luogo per le scorrerie di vandali e rifugio di tossici. Il vero restauro statico e architettonico ebbe inizio l'anno dopo il crollo, nel 1972. Ma dentro e intorno a quel poco che restava del mitico Genoardo ormai era arrivato il palermitano più predatore e impunito. Aprirono una fossa per una discarica abusiva. E poi comparve un'officina. E poi ancora uno sfasciacarrozze. Ci trasferirono lì, proprio lì nel Paradiso della Terra, anche un deposito dell'Amnu, l'azienda municipalizzata dei rifiuti. E davanti e dietro al palazzo dei piaceri intanto il nuovo potere aveva lasciato già le sue impronte, i cantieri e il calcestruzzo degli ultimi re di Palermo, i boss.
Tratto da: La Zisa e il Paradiso Perduto di Attilio BOLZONIAttilio BOLZONI, La Domenica di Repubblica, 14 agosto 2005.
Le trasformazioni nei secoli
La Zisa delle origini subì nei secoli numerose trasformazioni. Nel Trecento, tra le altre modifiche apportate, fu realizzata una merlatura, distruggendo parte dell'iscrizione in lingua araba (a caratteri cufici) che faceva da coronamento all'edificio. Radicali furono le trasformazioni seicentesche intervenute quando il palazzo, in pessime condizioni, venne rilevato da Don Giovanni di Sandoval, a cui risale lo stemma marmoreo con i due leoni, oggi posto sopra il fornice di ingresso. Per le mutate esigenze residenziali dei nuovi propri etari furono modificati alcuni ambienti interni, soprattutto all'ultima elevazione, furono realizzati nuovi vani sul tetto a terrazza, fu costruito un grande scalone e vennero modificate le finestre sui prospetti esterni. Nel 1808, con la morte dell'ultimo Sandoval, la Zisa passò ai Notarbartolo, principi di Sciara, che la utilizzarono per usi residenziali fino agli anni '50, quando la Regione Siciliana la espropriò. Il restauro della fine degli anni '70 ed '80 ha restituito la Zisa alla pubblica fruizione. Nella parte dell'ala Nord crollata nel 1971 si è proceduto alla ricostruzione delle volumetrie originarie, adoperando, per una piena riconoscibilità dell'intervento, cemento e mattoni in cotto, materiali differenti dalla originaria pietra arenaria.
L'esposizione
Nelle sale sono esposti alcuni significativi manufatti di matrice artistica islamica provenienti da paesi del bacino del Mediterraneo. Tra questi sono di particolare rilevanza le eleganti musciarabia (dall'arabo masrabiyya), paraventi lignei a grata (composti da centinaia di rocchetti incastrati fra di loro a formare, come merletti, disegni e motivi ornamentali raffinati e leggeri) e gli utensili di uso comune o talvolta di arredo (candelieri, ciotole, bacini, mortai) realizzati prevalentemente in ottone con decorazioni incise e spesso impreziosite da agemine (fili e lamine sottili) in oro e argento.
RUGBY: SEI NAZIONI, MALLETT CONVOCA BUSO E NITOGLIA PER IL GALLES
CICLISMO: DEDICATA A CAMILLERI E MONTANTE LA SECONDA TAPPA GIRO D'ITALIA
mercoledì 13 febbraio 2008
MOSTRE: TRAPANI, OLTRE 27MILA VISITATORI PER CARAVAGGIO
lunedì 11 febbraio 2008
Palermo,la Kalsa.L'antico Halisah
3 Al-Muqaddasi era un geografo di Gerusalemme morto nel 988 autore del Kitb ahsan et-taqasim fi ma'rifat al-aqalim, in BAS, II, pp. 670-71.
4 T. Fazello, De rebus Siculis decades duae, Panormi 1558, I, 8, p. 184.
5 Documento della cattedrale di Palermo citato da V. Di Giovanni, op. cit., II, p. 63.
6 A. De Simone, op. cit., p. 145.
7 G. M. Coluba, Per la topografia cit., p. 398.
Il Castello di Maredolce di Palermo.
(Fonte: http://www.palermoweb.com/cittadelsole/monumenti/immagini/castel9.jpg) |
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Castello di Maredolce Vicolo Castellaccio Palermo (PA)
Come raggiungerci Treno: Palermo
Autostrada: da CT: A18-A19 uscita PA
Aeroporto: Falcone e Borsellino
Il Castello di Maredolce è architettonicamente molto importante poiché è l'unico complesso normanno esistente al mondo in cui si possono ammirare il disegno complessivo e il rapporto architettura-paesaggio. Il Castello della Favara rientra nel quadro dell'arte siciliana, si presenta con elementi propri in quanto, pur conservando elementi dell'arte bizantina e araba, acquista anche le caratteristiche costruttive preesistenti in Sicilia.
Il palazzo è a pianta rettangolare con una rientranza nell'angolo est; ed inoltre la fonte non presenta tutta la stessa altezza. Esso era bagnato su tre lati dalle acque del lago e ciò è testimoniato dalla mancanza di intonaco idraulico rosso sul lato che oggi dà sulla stradella, intonaco che invece si trova sui rimanenti lati. La costruzione poggia su dei grossi conci di tufo.
Sulla fronte Nord-Ovest si aprivano quattro ingressi il primo dei quali, oggi tampognato, portava probabilmente alle scuderie e a zone riservate alla servitù. Il secondo ingresso, che è il più grande, immette in un cortiletto oblungo che si allarga in un ampio cortile su cui si apriva un portico di forma quadrata (è questa la parte del castello più "sconvolta" dalla numerose costruzioni abusive che hanno nascosto o distrutto molte tracce).
Il terzo ingresso portava alla cappella dedicata a San Filippo. Il quarto ingresso della facciata Nord-Ovest conduce nell'ambiente annesso alla cappella: l'aula regia, che è stata divisa in due da un soppalco, la parte delle nervature. Gli altri ambienti, spesso ricoperte da costruzioni abusive, stanno venendo alla luce con il restauro attuale e gli studi su di esso sono ancora in corso. Nel lato Nord-Ovest si trovano sovrastante nasconde la nicchia con la volta plissettata alla "persiana", ornata condelle finestre con ghiera acuta. L'ambiente scelto per la cappella prima era probabilmente la moschea dell'Emiro; infatti durante gli scavi eseguiti nel 1951, nelle vicinanze sono stati ritrovati frammenti di stoviglie in argilla tipicamente arabi. Il piccolo luogo di culto è a pianta rettangolare ad unica navata coperta da due volte a crociera, divise dal presbiterio da un arco a sesto acuto. Al centro del presbiterio si innalza il tamburo che inizia a forma quadrata, diventa un ottagono e termina a forma cilindrica coperto da una piccola cupola che all'esterno si presenta coronata da una piccola serie di mensole poste nella parte alta a simboleggiare l'appartenenza ad un palazzo reale. In fondo al presbitero si trova l'abside illuminato da una finestra e affiancato da due nicchie di forma rettangolare probabilmente utilizzata per conservare le suppellettili sacre. Sulla parete di sinistra si aprono quattro finestre che danno luce alla navata. Sulla parete di fronte all'abside si nota una apertura, oggi tampognata, che immetteva in un ambiente delle stesse dimensioni della cappella. Il pavimento, sullo stesso livello del piano esterno, era ricoperto da un semplice battuto di malta e coccio pesto. Nel lato Nord-Est si trovano delle finestre con ghiera acuta.
Lato SUD-OVEST
Nella parte Sud-Ovest si trovano due finestre bifore probabilmente divise da una colonna.
Sul lato Sud-Est un ponte levatoio collegava il castello all'isolotto ed era possibile l'attracco per le piccole imbarcazioni sul lago. Sempre su questo lato si trovano delle feritoie strombate riconducibili al periodo in cui il castello, di proprietà dei cavalieri Teutonici assume una funzione difensiva.
Il restauro
Il restauro del complesso, avviato nel 1990, ha interessato in un primo momento solo la cappella e per alcuni anni ha avuto rallentamenti e perfino periodi in cui è stato del tutto fermo.
Nel 1992-93, durante il restauro, è stata effettuata l'indagine archeologica della cappella e di una larga trincea (2 m) presso la diga che chiude a Nord-Est la depressione del lago artificiale. Proprio qui si è evidenziato non solo lo strato limoso relativo all'uso lacustre del bacino, ma anche uno strato di insabbiamento di terreno giallastro alluvionale, fino agli strati di interramento artificiale per uso agricolo, nei quali è stato possibile perfino leggere le fosse praticate per l'impianto di colture arboree. E' venuto così alla luce il fondo del lago pavimentato a cocciopesto come il rivestimento delle strutture murarie, il fondo presenta una inclinazione di circa 20 gradi rispetto al piano normale della struttura, in modo da smorzare la forza delle acque provenienti dal monte Grifone a sud-ovest. Nello strato relativo all'insabbiamento con terreno giallastro alluvionale si sono recuperati alcuni esemplari di formae e canterelli che, insieme a pochi ma significativi materiali utili per stabilire una cronologia testimoniano la trasformazione di quello che era stato nei secoli XII e XIII un luogo di delizie in un'area a prevalente funzione agricola-industriale. Le formae e i canterelli erano contenitori di terracotta utilizzati per la lavorazione dello zucchero. L'esistenza di coltivazioni di canna da zucchero e di un piccolo stabilimento industriale (un trappeto) per la lavorazione della preziosa sostanza a Maredolce è confermata anche da numerose fonti archivistiche. Nel corso degli ultimi due anni è stato reso quasi del tutto esecutivo l'esproprio delle numerose costruzioni abusive che si addossano o circondano il castello e i lavori sono ripresi a pieno ritmo. La Sovrintendenza per la conservazione dei beni culturali e ambientali conta di ultimare i lavori di restauro in pochi anni. Il progetto ambizioso prevede, oltre al restauro, anche il ripristino del lago e la creazione di un parco in modo tale che il complesso possa avere degna collocazione dal punto di vista artistico monumentale e possa costituire un'occasione di riscatto culturale ed economico per il quartiere e per tutta la città.
BIBLIOGRAFIA:
M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, Le Monnier, Firenze 2002 (nuova ediz.).
L. Anastasi, L’arte nel parco reale normanno di Palermo – La Favara, Scuola tipografica ospizio di beneficenza, Palermo 1935.
G. Bellafiore, Parchi e giardini della Palermo normanna, Flaccovio, Palermo 1996.
S. Braida, Il castello della Favara. Studi di restauro, in ‹‹Architetti di Sicilia››, anno I, n. 5-6, Palermo 1965.
V. Di Giovanni, Il castello e la chiesa della Favara di S. Filippo a Mare Dolce, in ‹‹Archivio Storico Siciliano›, XXII, Palermo 1897.
G. Di Stefano, Edifici della Sicilia Normanna, Flaccovio, Palermo 1979.
R. La Duca (a cura di), Storia di Palermo, II: Dal tardo-antico all’Islam, L’epos, Palermo 2002.
S. Morso, Descrizione di Palermo antico, Dafni, Catania 1981.
M.G. Paolini, Edifici civili di età normanna a Palermo, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, Palermo 1974.
B. Patera, L’arte della Sicilia normanna nelle fonti medievali, I.L.A. Palma, Palermo 1980.
A. Schmidt (a cura di), Castelli dimore cappelle palatine, Fondazione culturale ‹‹Lauro Chiazzese›, Palermo 2002.
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La storia dei blog e di "Sicilia, la terra del Sole."
La storia del blog nasce nel 1997 in America, quando lo statunitense Dave Winter sviluppò un software che permise la prima pubblicazione di contenuti sul web. Nello stesso anno fu coniata la parola weblog, quando un appassionato di caccia statunitense decise di parlare delle proprie passioni con una pagina personale su Internet. Il blog può essere quindi considerato come una sorta di diario personale virtuale nel quale parlare delle proprie passioni attraverso immagini, video e contenuti testuali. In Italia, il successo dei blog arrivò nei primi anni 2000 con l’apertura di diversi servizi dedicati: tra i più famosi vi sono Blogger, AlterVista, WordPress, ma anche il famosissimo MySpace e Windows Live Space. Con l’avvento dei social network, tra il 2009 e il 2010, moltissimi portali dedicati al blogging chiusero. Ad oggi rimangono ancora attivi gli storici AlterVista, Blogger, WordPress e MySpace: sono tuttora i più utilizzati per la creazione di un blog e gli strumenti offerti sono alla portata di tutti. Questo blog, invece, nasce nel 2007; è un blog indipendente che viene aggiornato senza alcuna periodicità dal suo autore, Francesco Toscano. Il blog si prefigge di dare una informazione chiara e puntuale sui taluni fatti occorsi in Sicilia e, in particolare, nel territorio dei comuni in essa presenti. Chiunque può partecipare e arricchire i contenuti pubblicati nel blog: è opportuno, pur tuttavia, che chi lo desideri inoltri i propri comunicati all'indirizzo di posta elettronica in uso al webmaster che, ad ogni buon fine, è evidenziata in fondo alla pagina, così da poter arricchire la rubrica "Le vostre lettere", nata proprio con questo intento. Consapevole che la crescita di un blog è direttamente proporzionale al numero di post scritti ogni giorno, che è in sintesi il compendio dell'attività di ricerca e studio posta in essere dal suo creatore attraverso la consultazione di testi e documenti non solo reperibili in rete, ma prevalentemente presso le più vicine biblioteche di residenza, mi congedo da voi augurandovi una buona giornata. Cordialmente vostro, Francesco Toscano.