Quattordici.
“DNA”
Dicono che gli abitanti di un
determinato luogo possano considerarsi degli autoctoni solo quando anche il
loro patrimonio genetico soddisfi appieno tutte le caratteristiche
psico-fisiche e psico-somatiche di quegli stessi individui che vivono in quel
territorio. Detto ciò, credo che io oggi non mi possa considerare appieno un “Brancaccino”; malgrado anch’io, prima di
divenire un uomo adulto, abbia fatto le stesse esperienze di vita dei miei
coetanei che, come me, risiedevano in quel quartiere di Palermo. Mentre altri
ragazzi miei coevi hanno percorso strade diverse da quella da me intrapresa,
così impelagandosi nelle dinamiche del quartiere, io ho scelto di percorrere la
via degli studi, che mi ha consentito di vincere il mio concorso pubblico
quando avevo da poco compiuto venticinque anni, riuscendo ad affrancarmi dal
crimine diffuso che imperava nel quartiere Brancaccio negli anni Ottanta e Novanta
del Novecento. Alcuni ragazzi, a differenza mia, invece, nel crimine ci erano
rimasti impantanati, conoscendo anche la dura vita del carcere: alcuni di loro,
infatti, avevano deciso per una vita sregolata, credendo che potessero
arricchirsi in breve tempo, poiché erano convinti che emulare alcuni personaggi
del quartiere, che ostentavano una apparente ricchezza, fosse la soluzione più
ovvia e più giusta per risolvere i loro numerosi problemi familiari. Dubito
fortemente, perciò, che io abbia mai avuto quel DNA che contraddistingue un “Brancaccino”, giacché suppongo di essere
totalmente diverso da tanti di loro. L’acronimo DNA oggi mi fa venire in mente
quello che accadde ad una verifica d’Italiano quando frequentavo il quinto anno
dell’I.T.I.S. “A. Volta” di viale dei Picciotti di Palermo. Quel giorno ero
timoroso di non riuscire a scrivere come avrei voluto, di uscire fuori tema, di
prendere un brutto voto. Invece, ironia della sorte, uno degli argomenti scelti
dalla professoressa d’Italiano fu proprio il DNA. Riuscii a prendere un 7, cosa
che non capitava spesso in quella classe che si componeva di solo 9 elementi,
poiché qualche ora prima del compito avevo letto un libro, acquistato presso il
Club degli Editori, che ancora oggi possiedo, in cui si parlava delle maggiori
scoperte del XX secolo: un capitolo del libro era dedicato proprio alla
scoperta fatta da James Watson e Francis Crick, che realizzarono il primo
modello a doppia elica dell’acido desossiribonucleico, ricevendo, in compenso,
il Premio Nobel per la medicina. Nel 1988, quando stavo per completare gli
studi e diplomarmi quale perito tecnico industriale nelle telecomunicazioni, la
mia famiglia si era già da qualche anno trasferita in via Sperone, dove nel
1982 aveva acquistato un appartamento insistente in un fabbricato di proprietà
della famiglia del mio nonno materno. Mentre io ero alle prese con gli studi
che mi avrebbero permesso di raggiungere la tanto agognata maturità, viveva nei
pressi della nostra abitazione una famiglia, non ricordo il loro cognome, che
si componeva di tre persone; uno dei componenti quel nucleo familiare, mio
coetaneo, aveva avuto la sfortuna di cadere nelle maglie della giustizia poiché
si era messo a vendere cocaina ed eroina per le vie del quartiere, credendo,
povero sciocco, di arricchirsi e di riuscire a lasciare quel modesto
appartamento in cui egli viveva. Non potendo chiamarlo col nome di battesimo,
oggi userò per lui l’alias “Luca”. “Luca” un mestiere lo aveva imparato, con
non pochi sacrifici. Era diventato un ottimo panificatore. Ciò malgrado,
ricordo che si era fatto coinvolgere nel mondo della criminalità comune,
rovescio di quella medaglia in cui l’altra faccia è costituita dalla criminalità
organizzata. Mentre io ero alle prese con gli ultimi capitoli del testo di
Elettrotecnica e Telecomunicazioni, timoroso di non riuscire a risolvere gli
ultimi esercizi di Matematica, lo studio delle funzioni, ovvero derivata e
integrale, “Luca” se ne stava
sdraiato nel balcone di casa in attesa che una pattuglia dei Carabinieri
arrivasse sotto casa al fine di verificare e constatare che il detenuto agli
arresti domiciliari “Luca” fosse regolarmente a casa. Fortunatamente per “Luca” le cose cambiarono in meglio dopo
quella parentesi negativa della sua vita. “Luca”
è ancora oggi un panificatore, gestendo con profitto un panificio cittadino
ubicato nel quartiere Brancaccio, anche se i suoi figli, abbacinati dai facili
guadagni che taluni soggetti residenti a Brancaccio prospettano loro,
sembrerebbero aver ripercorso la stessa strada che un tempo percorse anche il
povero “Luca”. Ciò mi fa pensare che Giambattista
Vico avesse ragione quando postulò sulla “teoria dei corsi e ricorsi storici”;
ossia il cammino dell’umanità che passa dal senso alla fantasia ed alla ragione
e poi, corrompendosi, ricade in basso, nello stato selvaggio, per riprendere di
nuovo il processo ascensivo ed iniziare il ricorso della civiltà, benché gli
studi del Vico fossero rivolti alla storia dei Greci e soprattutto dei Romani.
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