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mercoledì 5 ottobre 2022

I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo sedici.

 


Sedici.


- Nonno, raccontami di quei giorni in cui fosti costretto a imbarcarti sulla navetta spaziale alla volta di Marte? - Mi chiese Eleonore, la secondogènito di mio figlio Michael.

- Eleonore, non è una bella storia!-

- E tu raccontamela lo stesso! - 

- Ehm, fammici pensare... ho rimosso gran parte dei miei ricordi. Sono trascorsi tanti anni ed io, come vedi, sono vecchio e stanco. -

- Ma che dici? - 

- Sì, Eleonore, sono vecchio. Però una cosa te la voglio raccontare. Ti racconto di quella volta in cui conobbi tua nonna. 

- Sì, dai! -

- La nonna era bellissima quel giorno che la vidi per la prima volta. Come sai era il comandante di una nave spaziale che trasportava gli esseri umani verso Marte. Di lei ricordo le sue linee sinuose e aggraziate, ma anche la postura: era fiera di sé! Era molto sicura di sé e teneva testa a tutti gli uomini che erano al suo comando. La divisa le stava a pennello, come se il sarto gliel'avesse cucita addosso. Io, appena la vidi, me ne innamorai subito. Ella, però, non si innamorò di me sin da subito. Dovetti penare molto prima che mi notasse e prima che ricambiasse tutto l'amore che io nutrivo per lei. Sai, Eleonore, ne abbiamo passate tante io e tua nonna. -

- Che cosa nonno? -

- Quando iniziò la nostra vita su Marte, non era la stessa vita che oggi noi conduciamo su questo pianeta. Tutto era una novità, una scoperta continua. Noi esseri umani, per esempio, non eravamo pronti ad abitare questo brullo pianeta, a differenza di quanto sostenevano gli scienziati del mio mondo quando mi costrinsero a lasciare la Terra. Ti ho già raccontato dei miei sfortunati compagni d'avventura; ti ho raccontato di loro e di come facemmo a sopravvivere e a raggiungere New Millenium. Ti ricordi  di New Millenium? -

- No, nonno. Ero troppo piccola per ricordarmelo; venne distrutta quando io avevo appena sei anni. Ricordo solo le esplosioni e le grida delle persone che mi circondavano; del sangue che sgorgava dai loro corpi martoriati. -

- Ti ricordi del nostro alloggio? -

- No! -

- Sai, io e la nonna andammo a vivere su New Millenium circa sei anni dopo il mio ammartaggio. Tuo padre è nato lì. Lui, sicuramente, si ricorderà di quanto fosse bello quel luogo. I robot costruttori avevano fatto davvero un ottimo lavoro. Sai, essi somigliavano, per molti aspetti, al nostro Teddy.-

- Sì? - 

- Sì! Teddy è la versione riveduta e corretta dei primi robot costruttori. -

- Davvero? -

- Teddy, spiegaglielo tu a mia nipote la differenza che intercorre fra te e i robot costruttori, tuoi simili.-

Teddy mi guardò torvo, mostrandosi infastidito da quella assonanza che il mio cervello aveva fatto allorquando lo aveva descritto molto simile ai robot costruttori. Si limitò a dire che, sostanzialmente, c'erano poche differenze fisiche. Che l'unica differenza fra quelle macchine e lui era che egli aveva preso coscienza di sé, sentendosi un individuo a tutti gli effetti; che gli altri avrebbero dovuto temerlo e che lo avrebbero dovuto rispettare come un essere senziente.

- Ma su, Teddy, non è il caso di infervorarsi. Capisci bene che mia nipote anela a conoscere il nostro passato e che, giovane qual è, ha sete di conoscenza.

- Si Joseph, ma non dire più che sono simile a un robot costruttore, perché mi offendo.

Dalla porta che chiudeva l'alloggio dove ci trovavamo si udirono dei rumori di passi di qualcuno che si stava avvicinando e che a breve sarebbe entrato. Così fu. Mio figlio ci salutò, asserendo che eravamo pronti al decollo. Sì, eravamo pronti a decollare alla volta di Titano, il satellite naturale più grande di Saturno. Un mondo in cui avremmo potuto costruire il nostro futuro.

- Okay, Michael. Dacci altri due minuti che completiamo il nostro ragionamento. -

- Va bene, padre. Tu, piccola, non fare stancare il nonno.-

Fece un segno di saluto a Teddy, che lo guardava, e Michael lasciò l'alloggio. Eleonore continuò a chiedermi del mio passato, ma io, con una scusa, non risposi più alle sue domande, preferendo recarmi d'urgenza sulla navetta spaziale che io avevo realizzato unitamente a mio figlio Michael e che ci avrebbe consentito, in pochi minuti, di raggiungere il nuovo mondo. Nuovo, si fa per dire. L'umanità, un consistente numero di individui, abitava Titano già da anni sfruttando appieno le sue risorse minerarie e la massiccia presenza di idrocarburi allo stato liquido sulla sua superficie. Ero così eccitato all'idea di lasciare Marte, dopo oltre sessant'anni, che mai avrei permesso a qualcuno di impedirmi di godermi quel momento.

- meno 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1, decollo! -

Mio figlio, dopo il suo conto alla rovescia, aveva tracciato la rotta verso Titano. L'atmosfera di Titano è composta al 95% da azoto; sono presenti inoltre componenti minori quali il metano e l' etano, che si addensano formando nuvole. La temperatura superficiale media è molto vicina al punto triplo del metano dove possono coesistere le forme liquida, solida e gassosa di questo idrocarburo. Viaggiavamo alla scoperta di un nuovo mondo. Per noi era l'inizio di una nuova vita, di una nuova avventura da vivere e condividere con tutti gli altri componenti il nostro stesso nucleo familiare. Ci eravamo imbarcati in 12 esseri umani su quella nuova navetta, unitamente a Teddy. Essa ci era costata anni di lavoro e di sudore. Non era, a differenza della navetta a bordo della quale giunsi su Marte, una scialuppa di salvataggio. Essa era dotata di tutti i confort necessari per raggiungere un altro pianeta, malgrado Titano fosse la luna di un gigante gassoso del nostro stesso sistema solare. Lì i robot costruttori, che avevamo imbarcato e che avevamo stivato, ci avrebbero aiutato a realizzare il nostro sogno: affrancarci da Marte.

Fuori dall'atmosfera di Marte il mio sguardo si posò sul pianeta Terra. Era ancora quel magnifico globo blu che avevo imparato a conoscere dalle foto presenti sui libri di scuola. Alcuni coloni di Marte, anni prima, avevano fatto rotta verso la Terra. Giunti sulla Terra, ritornata ad essere nuovamente abitabile per la nostra specie, notarono che la vita sul quel pianeta era continuata ad esistere in nostra assenza, modificandosi e adattandosi al nuovo habitat, al nuovo clima e alle nuove temperature superficiali. La Terra aveva fatto volentieri a meno di noi esseri umani; del resto non poteva che essere così. Noi eravamo solo una delle tante specie che vivevano su quel pianeta, benché fossimo la specie dominante. La spedizione marziana alla volta della Terra portò con sé anche taluni robot costruttori che avrebbero avviato il processo di costruzione di un nuovo insediamento umano. Scelsero la Groenlandia come luogo d'atterraggio, un'isola posta all'estremo nord dell'oceano Atlantico. Il suo nome danese, Grønland, che significava letteralmente "terra verde", la contraddistingueva ancora oggi come una porzione di mondo in cui la flora, verde e lussureggiante, regnava sovrana. Essendo la maggiore isola della Terra, lontana dai vecchi insediamenti umani, divenuti dei mondi morenti, era il posto ideale dove costruire una nuova casa, per un nuovo futuro dell'umanità.
Noi avevamo deciso di recarci su Titano, non perché fosse un posto migliore della Terra, ma perché su quella luna di Saturno, con le nostre conoscenze attuali, avremmo potuto realizzare altri artefatti umani che non sarebbe stato possibile realizzare sul nostro pianeta d'origine. E poi, in noi era forte il desiderio di viaggiare e di conoscere nuovi mondi, ove poter piantare il seme della vita, così come noi la conoscevamo, affinché l'umanità tutta potesse ancora prosperare per i prossimi secoli a venire.


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