Sicilia bedda e amata,cantata e disprizzata...

mercoledì 24 novembre 2010

Dall'ultimo Hohenstaufen a Federigo d'Aragona.

24 Novembre 2010.

Sulla fine del sec. IX iniziò in Francia la dinastia dei conti d'Angiò. Angiò era una antica contea e regione storica della Francia occidentale, che forma una depressione solcata dalla Loira e dai suoi affluenti Authion, Thouet e Layon. Nel 1246 il re di Francia Luigi IX (Santo nel 1297 - festa il 25 Agosto) assegnò la contea d'Angiò al fratello Carlo che diede inizio alla nuova dinastia dei conti d'Angiò.

Alla morte dell'imperatore Federico II di Svevia, in base alle sue disposizioni testamentarie, gli successe il figlio Corrado - nato da Jolanda di Brienne - che divenne re di Sicilia e di Germania, assumendo il titolo di imperatore con il nome di Corrado IV; trovandosi egli assente dall'Italia, venne nominato vicario e reggente del Regno di Sicilia il suo fratellastro Manfredi, figlio naturale di Federico II, avuto dall'imperatore nel 1232 da Bianca Lancia(o Lanza).

Nell'Ottobre del 1254, meno di quattro anni dopo la morte di suo padre, Corrado IV morì all'età di ventisei anni. Lasciò un figlio di due anni, Corradino. In quel tempo sedeva sul soglio di Pietro Papa Innocenzo IV che aveva apertamente "dichiarato guerra" agli Svevi e alla loro dinastia. Questi, infatti, sempre più deciso a sterminare i figli di Federico II, lasciò Lione, dove era rimasto sei anni, e fece ritorno in Italia per organizzare meglio la sua politica antisveva. Nel frattempo, regnava in Sicilia un clima di discordie civili. Pietro Ruffo, uomo fidato di Federico II, cercò di formare all'interno dell'isola una signoria indipendente con capitale Messina; ci fu, inoltre, un tentativo di costituire una federazione di città libere, una "repubblica di vanità", come fu chiamata da un contemporaneo.

Manfredi, che era stato scomunicato da Innocenzo IV, trovò alla fine più conveniente concludere un accordo con il papa il 27 settembre 1254: egli accettò di diventare un vicario della Chiesa. Ma fu un patto illusorio. Manfredi, infatti, alla testa delle sue truppe di cui facevano parte fidi reparti saraceni, assalì i papalini che furono sconfitti nei pressi di Foggia il 2 dicembre del 1254.

Papa Innocenzo IV che si trovava a Napoli, non resse alla sfida: una settimana dopo morì. Gli successe Alessandro IV che continuò la politica antisveva del suo predecessore. In data 05 aprile 1257, egli, infatti, confermò la scomunica a Manfredi. Nell'agosto del 1258, giorno 10, Manfredi, dopo aver dato credito alla falsa voce della morte di Corradino, erede al trono, fu incoronato re di Sicilia nella cattedrale di Palermo. La storia del suo regno fu distinta da un costante contrasto con l'autorità religiosa e con le pretese temporarli del Papa. Ai contrasti di natura politica si andarono aggiungendo anche quelli religiosi dovuti principalmente alla tolleranza manifestata da Manfredi verso gli Arabi, della cui cultura era profondo e appassionato cultore.

Nel 1261, morto Papa Alessandro IV gli succedette Papa Urbano IV. Il nuovo Papa diede una svolta decisiva ai rapporti con il regno di Sicilia investendo del titolo di re il francese Carlo d'Angiò, con lo scopo di eliminare l'opposizione di Manfredi alla volontà papale di egemonizzare l'Italia centro -meridionale. Nel 1265 Carlo d'Angiò sbarcò con le proprie truppe a Roma determinando una profonda crisi del regno di Manfredi che si vide immediatamente tradito dai nobili e costretto a riparare in Benevento.

Presso la città di Benevento si svolse, nel 1266, un aspro scontro tra Angioini e le forze capeggiate da Manfredi che, coraggiosamente distintosi nel corso della battaglia, morì colpito dalle armi francesi. La sua figura affascinante di uomo di lettere e di valoroso combattente ispirò molti artisti tra cui Dante Aligheri che lo ritrasse nella sua Divina Commedia. Carlo d'Angiò aveva da poco raggiunto i quarant'anni nel 1266, anno in cui morì Manfredi. Si era distinto nelle crociate ed era, come detto, il titolare della contea d'Angiò. Dalla moglie Beatrice aveva avuto la contea di Provenza. Era vigoroso, crudele e senza scrupoli. Si narra che dopo la battaglia di Benevento, i suoi soldati volevano dare una degna sepoltura al loro avversario Manfredi, soldato e comandante valoroso, ma che egli si rifiutò dicendo loro che un uomo scomunicato non poteva riposare in terra benedetta. Il cadavere di Manfredi, fu così abbandonato presso un ponte. Ogni soldato gettò sul quel cadavere un sasso, e ben presto si formò un cumulo come di tomba dei tempi antichissimi. Ma anche questo luogo fu rimosso. Disseppellito, il cadavere fu lasciato presso il fiume Liri esposto ai corvi.

Carlo d'Angiò dopo la vittoria su Manfredi iniziò la sua vendetta. La giovane moglie di Manfredi, Elena, fu posta in carcere dove morì nel 1271. Analogo destino toccò ai quattro figli di Manfredi. Dopo la morte di re Manfredi rimaneva l'ultimo degli Hohenstaufen ,Corrado V di Svevia, noto come Corradino .

Due anni dopo la morte di Manfredi Corradino tentò di riprendere il regno, valendosi dei suoi diritti di discendente degli Hoheustaufen e dell'appoggio dei ghibellini italiani. Ma a Tagliacozzo, nel 1268, venne sconfitto dalle truppe di Carlo d'Angiò, sebbene numericamente inferiori. Tentò allora di fuggire in Sicilia, ma fu tradito da un signore della campagna romana, Giovanni Frangipane(esponente di una nobile famiglia romana le cui origini risalgono alle gens Anicia ed il cui nome per tradizione le era derivato da una distribuzione di pane fatta ai poveri durante una carestia. Nel XIII secolo i Frangipane appoggiarono Federico II di Svevia contro Gregorio IX; durante il soggiorno dei papi ad Avignone la famiglia parteggiò per i Corsini contro i Colonna), e catturato ad Astura. Condotto a Napoli, dopo un processo sommario fu decapitato nella piazza del mercato. La sua salma fu deposta nella vicina chiesa di Santa maria del Carmine, ove poi gli fu eretto un monumento funebre. L'episodio servì d'argomento a molti drammi e poesie pietose, ispirate alla sfortuna del giovane, ucciso a soli quindici anni; celebre fra tutte la poesia di Aleardo Aleardi.

La morte sul patibolo di Corradino di Svevia ebbe una eco vastissima. Essa pose fine alla dinastia Sveva, è vero, ma nello stesso tempo colpì gli angioini come un autentico boomerang. Contro Carlo d'Angiò, e contro la stessa corte romana accusata di connivenza, si scagliò l'opinione pubblica di mezza Europa. Particolare raccapriccio suscitò il fatto che lo stesso re angioino avesse assistito all'esecuzione da una finestra.

La morte violenta di Corradino di Svevia voluta da Carlo d'Angiò non portò la pace nel Regno di Sicilia, ma costituì anzi l'elemento scatenante dell'odio dei siciliani contro gli angioini. Gli angioini, perarltro, nulla fecero per acquistarsi simpatie: continuarono anzi nella loro politica di vendette politiche sia nel continente che nell'isola. Verosimilmente alle radici delle ostilità dei siciliani per gli angioini ci fu anche la mano pesante del loro fisco; tuttavia, i motivi del risentimento vanno ricercati altrove, soprattutto in un fatto ben preciso: nella continua offesa che Carlo d'Angiò faceva ai sentimenti dei siciliani. Carlo d'Angiò scelse come capitale del suo regno Napoli, anteponendola a Palermo, immettendo nella corte, nei ranghi burocratici e nei gangli vitali del regno, funzionari stranieri, principalmente francesi. Gente venuta dalla Francia al seguito del re angioino aveva preso possesso dei beni e dei feudi tolti e confiscati ai nobili uccisi in battaglia, giustiziati oppure esuli.

Carlo d'Angiò combattè e annientò i saraceni che erano stati leali alleati degli svevi e che avevano combattuto al loro fianco. A questi motivi di risentimento si accompagnava l'azione segreta di una fazione filosveva (o ghibellina), che faceva capo a Pietro III re d'Aragona che, avendo sposato Costanza figlia di Manfredi, rivendicava i diritti di questa al regno.

I Vespri Siciliani

Il 31 marzo 1282, lunedì di Pasqua, all'ora dei Vespri,davanti alla chiesa di Spirito Santo,un tempio normanno ora al centro del cimitero di Sant'Orsola,ma allora chiesa isolata fuori città a poca distanza dal profondo solco del fiumo Oreto, in seguito alle perquisizioni di un soldato francese su uomini e donne, si innescò una violenta insurrezione popolare, passata poi alla storia come i moti dei Vespri, che ben presto da Palermo si diffusero in tutta l'isola. Duemila francesi, tra uomini e donne, caddero nel corso della notte e di una sola mattinata. La bandiera angioina fu ammainata e sostituita con lo stendardo imperiale di Federico II. Staffette furono inviate in centri vicini e lontani dell'isola per annunciare la rivolta. Palermo fu in mano agli uomini del Vespro e anche Corleone si unì ai rivoltosi.

Gli esuli dall'isola e dalla parte continentale del Regno intrigavano con i nemici degli Angioini e soprattutto con Pietro III d'Aragona. I preparativi di una spedizione veneto-angioina contro l'impero bizantino indussero Pietro III ad un accordo con quest'ultimo e a preparare uno sbarco in Sicilia, trasferendo la sua flotta sulle coste africane.

Nel marzo del 1282 l'insurrezione scoppiava inopinatamente a Palermo. Massacrati o espulsi i Francesi le città siciliane tentarono di darsi ordinamenti popolari e di costituire un governo federale sotto la protezione del Papa, che sconfessò invece il movimento. Esse offrirono allora la corona a Pietro III che sbarcò a Palermo ed assunse con il titolo di re di Sicilia la direzione della guerra. Liberata Messina, egli lanciò l'offensiva per scacciare gli Angioini anche dalla penisola. Papato e Francia intervennero in appoggio a Carlo d'Angiò, determinando un pericoloso contrasto franco-aragonese. Nel Gennaio del 1285 moriva Carlo d'Angiò il quale, pochi mesi prima, faceva testamento nominando suo successore il nipote Carlo Martello. Quello stesso anno morivano anche il papa Martino IV e Pietro d'Aragona. Il suo successoreGiacomo II d'Aragona , suo secondogenito, giudicò opportuno rinunciare alla Sicilia, ottenendo in cambio la Sardegna e la Corsica (Trattato d'Anagni).

Ma i Siciliani non accettarono ed elessero re Federigo d'Aragona ,fratello minore di Giacomo, il quale continuò la guerra con gli Angioini finchè ottenne, con il trattato di Caltabellotta del 1302 il riconoscimento della situazione di fatto e il titolo di re di Trinacria, con la condizione che alla sua morte l'isola tornasse agli Angioini. Questo però non si verificò, producendo uno stato di guerra ora latente ora aperta fra le parti, che preparò la soggezione dell'isola agli Aragonesi e aprì la via al loro successivo intervento nella penisola.

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