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giovedì 15 ottobre 2009

L'esobiologia e le forme di vita extraterrestre.


Nella storia è sempre più cresciuto il desiderio da parte dell'umanità di ricercare nello spazio cosmico eventuali forme di vita. Infatti da quando si è raggiunta la certezza di uno spazio immenso, ben più grande di quello occupato dalla Terra, o se vogliamo dal sistema solare, i confini dell'osservazione astronomica si sono allargati a dismisura arrivando a comprendere quelli dell'intero universo. E' naturale quindi il desiderio di ricercare forme di vita aliene con le quali confrontarsi, e poter così fugare il turbamento che deriva dall'idea di essere soli nell'universo.
L'esobiologia (o xenobiologia, astrobiologia) è un campo speculativo della biologia che considera la possibilità della vita extraterrestre e la sua possibile natura. Necessariamente include anche il concetto di vita artificiale, poiché qualunque forma di vita dotata della capacità di evolversi naturalmente in modo concepibile, potrebbe essere creata altrove in laboratorio usando una tecnologia futuribile. Include anche l'ipotesi di un'origine della vita sulla Terra tramite panspermia, teorizzata dal biologo premio Nobel Francis Crick e dall'astronomo Fred Hoyle.
Il termine deriva dall'unione dei termini greci esos (esterno) o xenos (diverso, straniero) con il sostantivo biologia, ad indicare per l'appunto quella specializzazione di questa branca scientifica verso forme di vita esterne alla Terra, diverse da quelle conosciute sul nostro pianeta.
La ricerca di vita extraterrestre è, ovviamente, di grande interesse per gli esobiologi.
Alcuni sostengono che il numero di pianeti con vita intelligente extraterrestre possa essere valutato dall'equazione di Drake, se e quando i valori delle sue variabili potranno essere determinati. Il radioastronomo statunitense Frank Drake sviluppò un'equazione in cui il numero di civiltà extraterrestri è in funzione del prodotto di una serie di fattori. Tuttavia le incertezze nei termini dell'equazione rendono impossibile predire se la vita è rara o comune. Il problema, infatti, sta proprio nella assoluta mancanza di valori di riferimento per alcune delle variabili coinvolte (ad esempio, la percentuale di pianeti della Galassia in cui si evolvono forme di vita). Siccome, in pratica, le probabilità vengono determinate sulla base delle proporzioni osservate, alcuni dei fattori dell'equazione sono indefiniti, rendendo indefinito il risultato. Come afferma lo scienziato della NASA Chris McKay:

« L'unico esempio che abbiamo è quello della vita qui sulla Terra: se soltanto trovassimo il più semplice insetto su un altro pianeta, e se quell'insetto fosse diverso da quelli che abbiamo qui, sarebbe la dimostrazione che c'è vita in ambedue i posti; e se c'è in due posti, è evidente che l'universo è pieno di vita. »


Tuttavia, finché non verranno osservate forme di vita extraterrestre, non sarà possibile stabilire se la vita sulla Terra sia il frutto di un miracolo unico e mai più ripetuto (statisticamente un caso aberrante), oppure il risultato di un processo tutto sommato abbastanza comune nell'universo.

Forme di vita extraterrestre

Un altro soggetto associato all'esobiologia è il paradosso di Fermi, il quale suggerisce che se la vita intelligente è comune nell'universo ci dovrebbero essere ovvi segni di essa.
Al momento (2009) non c'è alcuna evidenza a sostegno dell'esistenza di forme di vita intelligenti extraterrestri quantunque se ne sia iniziata la ricerca fin dagli anni Sessanta con il progetto di radioascolto astronomico SETI.
Una prova a sostegno dell'esistenza di forme di vita extraterrestre di tipo elementare potrebbe venire dall'esame di meteoriti cadute in Antartide, che si presume provengano dal pianeta Marte.
Don Bogard, uno scienziato della NASA, esaminò alcuni granuli di cristallo presenti nelle meteoriti, scoprendo che il gas in essi contenuto aveva una composizione identica a quella rilevata su Marte dai lander Viking alla metà degli anni Settanta. Questa era una prova diretta e inconfutabile che quelle rocce erano di origine marziana e al contempo forniva anche un metodo per stabilire sperimentalmente quando un meteorite era stato, precedentemente, una roccia di Marte.
Nel 1997, un gruppo di scienziati della NASA sostenne di avere scoperto, in alcune meteoriti provenienti da Marte, microfossili di batteri extraterrestri. Questa potrebbe essere la prova che la vita si è sviluppata almeno in un altro posto, oltre alla Terra.
Come è possibile che tali batteri si siano sviluppati sulla superficie di un mondo freddo e desertico come Marte?
Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare che, alcuni miliardi di anni fa, il pianeta rosso si presentava in modo molto diverso dall'attuale. Durante l'esplorazione di Marte con la missione Mars Exploration Rover è stata rintracciata l'ematite, un minerale che si forma solamente in presenza di acqua, e inoltre si sono osservate zone sedimentarie che soltanto un liquido può aver formato. Il rover Opportunity ha ottenuto riscontri che, in un antico passato, l'acqua esisteva allo stato fluido sulla superficie di Marte, mentre le sonde Viking, in orbita negli anni Settanta, rilevarono una serie di strutture geologiche, sulla superficie del pianeta, legate alla presenza di antichi fiumi e oceani. Gli indizi della presenza di acqua allo stato liquido costituiscono una prova che Marte, molto tempo fa, abbia potuto ospitare un ambiente adatto alla vita.
Tuttavia l'interpretazione dei microfossili nelle meteoriti provenienti da Marte resta dibattuta: il campione potrebbe essere stato contaminato dall'interazione con l'atmosfera o con la superficie terrestre. Una conclusione certa, riguardo a questo problema, non è stata ancora raggiunta.
Forme di vita extraterrestre potrebbero condividere con noi lo stesso codice genetico, dato che sono almeno dieci gli amminoacidi che, molto probabilmente, abbiamo in comune.

A dirlo una ricerca sperimentale, pubblicata su Physics arXiv (Earth and Planetary Astrophysics ), condotta da Paul Higgs e Ralph Pudritz del McMaster University, Hamilton, Ontario, Canada, che si sono chiesti quali potrebbero essere le somiglianze tra forme di vita aliena ed terrestre.

Per saperlo bisognerebbe trovarne almeno una, dicono, anche se ci sono evidenze scientifiche, secondo le quali i"mattoni" fondanti delle creature viventi sono gli stessi: tutte le creature viventi sulla Terra condividono, infatti, gli stessi 20 amminoacidi.

Avendo osservato che almeno 10 di questi amminoacidi sono stati ritrovati in meteoriti, formatesi prima della nascita del nostro pianeta e nei camini idrotermali, quindi in condizioni ambientali estreme, e che si tratta degli stessi "mattoni della vita" riprodotti negli anni '50 da Stanley Miller, nel famoso esperimento fatto all'interno di una boccia, poi denominata Boccia di Miller, in cui riuscì a produrre degli amminoacidi generando scariche elettriche in un ambiente abiotico, i due ricercatori hanno ricreato in laboratorio le stesse condizioni ambientali estreme e, in diversi esperimenti sono riusciti a riprodurre un sottogruppo degli stessi 10 aminoacidi.

Il risultato ottenuto, secondo Higg e Pudritz fa pensare che, se esiste qualche forma di vita fuori dalla Terra, questa dovrebbe contenere quei 10 aminoacidi. Gli altri 10, dicono, potrebbero essersi aggiunti uno alla volta, man mano che forme di vita primordiali sulla Terra diventavano più sofisticate.

Un processo che ha portato, un po' alla volta, all'evoluzione del codice genetico che potrebbe avere, quindi, una matrice universale.

Conclusioni troppo affrettate, ha commentato Darren Griffin dell'Università del Kent, UK, su New Scientist, che ha ripreso lo studio. "Le leggi della fisica - ha sottolineato - governano l'Universo ed è ragionevole dedurre che ci siano leggi universali anche per la biologia molecolare. Ma è improbabile che lo stesso codice genetico condiviso dalle creature viventi sulla Terra, sia lo stesso su un altro pianeta, anche se ci potrebbero essere delle somiglianze per quel che riguarda le molecole fondamentali, come gli aminoacidi".
Nell'immagine in alto: simboli inseriti nella sonda Pioneer 10, con indicazioni sul nostro pianeta nel caso la sonda venga intercettata da una civiltà extraterrestre.

Fonte:
Bibliografia:

  1. Se l'universo brulica di alieni... dove sono tutti quanti?


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