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mercoledì 23 settembre 2009

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N.28553/2009. Il mobbing del Direttore Generale giustifica anche le misure cauatelari.

Monreale (Pa), lì 23 Sett. 2009.

La settimana scorsa ho pubblicato un post relativo al fenomeno mobbing a Palermo. Si segnalava l'aumento nel capoluogo siciliano del numero di persone che denuncia vessazioni ed emarginazione nel luogo di lavoro. Il fenomeno, noto con il nome di mobbing (deriva dal verbo inglese to mob, che significa: accerchiare, attaccare, aggredire in massa) che è , nell'accezione più comune in Italia, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso, non è altro che un mix che si trasforma in una vera e propria bomba dal punto di vista psicologico , pronta a ripercuotersi - se trascurata - sulla salute del lavoratore. I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell'insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza. Mi pregio di pubblicare la seguente sentenza della Corte di Cassazione avente nr. 28553/2009 circa Il mobbing posto in essere dal Direttore Generale di un'ente pubblico che, a parere della Suprema Corte, giustificherebbe anche l'emissione di misure cauatelari. In caso di mobbing, tuttavia, secondo la Suprema Corte (sentenza n. 33624), non essendo il fenomeno un reato previsto dal codice penale, il lavoratore vessato può solo intraprendere una causa civile e chiedere il risarcimento del danno. E' questa la motivazione con cui la Cassazione ha confermato la decisione del gup di Santa Maria Capua Vetere, che aveva pronunciato il non luogo a procedere nei confronti di un preside, accusato da una docente di "lesioni personali volontarie gravi"."Con la nozione di mobbing - osservano gli ermellini - si individua la fattispecie relativa a una condotta che si protragga nel tempo con le caratteristiche della persecuzione, finalizzata all'emerginazione del lavoratore, onde considerare una vera e propria condotta persecutoria posta in essere dal preposto sul luogo di lavoro". Ma nel caso in questione era difficile individuare "una precisa figura incriminatrice, mancando in seno al codice penale questa tipicizzazione". Insomma, nel nostro ordinamento manca il reato di mobbing. Quello che più si avvicina può essere il reato di lesioni personali. Per gli alti giudici è corretta la motivazione addotta dal gup verso il preside dal momento che "non è dato vedere quale azione possa ritenersi illecita e causativa della malattia" della docente.

Mobbing - Azione in sede penale

Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 13.07.2009 n. 28553

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Sesta Penale

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da ( … ) nato a ( … ) , avverso
l’Ordinanza emessa ex art. 310 cpp in data ( … ) dal Tribunale di Perugia, esaminati gli atti, il ricorso e il provvedimento impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott, Giacomo Paeloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore Generale dott, Carlo Di Casola, che ha concluso per il rigetta del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. ( … ) , che ha insistito per l’accoglimento deI ricorso.

Motivi della decisione

1- Nel quadro di articolate indagini su estese manifestazioni di mobbing in ambiente lavorativo verificatesi presso l’ azienda municipalizzata per Io smaltimento dei rifiuti urbani, scandite da molteplici attività dei vertici aziendali volte a conseguire l’acquiescenza dei lavoratori (in particolare presso il termovalorizzatore) alle carenze degli Impianti di sicurezza e di prevenzione di infortuni, sottoponendo gli stessi lavoratori a ripetuti provvedimenti di dequalificazione, di depotenziamento dei rispettivi ruoli e a minacce di sanzioni disciplinari ingiustificate, il precedente pubblico ministero presso il Tribunale di Terni contestava al direttore generale dell’ azienda reati continuati di maltrattamenti, abuso di ufficio, lesioni personali, violenza privata e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.

Con atto del 9.9.2008 lo stesso pubblico ministero rinnovava la richiesta ex art. 290 cpp di applicazione nei confronti del ( … ) della misura cautelare dell’interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività di direttore generale della azienda, di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto, richiesta già rigettata dal gip. il 10.62008, individuando un rilevante dato di novità accreditante la fondatezza delle accuse mosse all’indagato in una informativa integrativa della ASL del 10.06.2008 (nuove audizioni dei lavoratori oggetto di mobbing).

Il g.i. p. del Tribunale di Terni con ordinanza in data 25.09.2008 respingeva anche la nuova richiesta di misura interdittiva, osservando che - impregiudicata una eventuale completa verifica dibattimentale delle accuse mosse alla ( … ) i molti altri coindagati e le emergenze delle indagini non delineavano la sussistenza dei presupposti per l’adozione della sollecitata misura interdittiva, la vicenda continuando a lambire non secondari aspetti di mera rilevanza civilistica o giuslavoristica sovrapposti, spesso in contesti di ardua differenziazione, a quelli ritenuti dotati di rilevanza penale.

Il pubblico ministero proponeva appello contro l’ordinanza reiettiva del g.i.p., ripercorrendo le risultanze delle indagini preliminari e censurando le conclusioni del gip elusive della tutela penale richiesta dei fatti verificati in seno alla gestione aziendale del personale della aggravanti della ripetitività dei contegni antigiuridici del ( … ) rimasto a ricoprire la carica di direttore generale pur dopo l’avvio dell’inchiesta penale.

2. Il Tribunale distrettuale di Perugia, quale giudice dell’appello cautelare, con l’ordinanza in data 10.11.2008, richiamata in epigrafe, ha accolto l’impugnazione del p.m. ed ha applicato al ( … ) la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare per mesi due l’attività di direttore generale e di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto.
Il Tribunale in limine ha respinto le eccezioni preliminari formulate in rito dalla difesa dell’indagato in tema di presunto giudicato cautelare (in riferimento al primo provvedimento del g.i.p. di rigetto della richiesta cautelare non impugnato dal pm.) e di tardività dell’appello del p.m.
Nel merito i giudici di appello hanno ritenuto la posizione del ( … ) raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine agli ascritti reati di maltrattamenti, lesioni personali e violenza privata (il reato di cui all’art. 323 cp non consentendo, per pena edittale, l’applicazione di misure cautelari) sulla base dei molteplici elementi probatori raccolti in corso di indagine e della loro univoca rilevanza penale, ulteriore e diversa (oltre che con essi non confliggente) rispetto ai concorrenti profili di natura civilistica avvolgenti l’intera vicende (misure disciplinari adottate nei confronti dei lavoratori dei ricorsi proposti dai lavoratori davanti al giudice dei lavoro, ecc.). Elementi contrassegnati dalle dichiarazioni testimoniali dei lavoratori vittime di condotte “costrittive” dei vertici aziendali ed in primo luogo del direttore generale a dichiarazioni caratterizzate da verificata attendibilità e spesso riscontrate da certificazioni sanitarie relative agli stati di infermità sopportati dai lavoratori “mobbizzati”. Alla gravità del quadro indiziario il Tribunale ha, poi, ritenuto congiungersi la sussistenza di esigenze cautelari connesse ai pericolo di prosecuzione dell’attività criminosa e al pericolo di inquinamento delle fonti di prova emergendo il realizzarsi di atteggiamenti vessatori o intimidatori del ( … ) fino allo stesso mese di novembre 2008.

3.- Contro la descritta ordinanza del giudice dell’appello cautelare ha proposto ricorso per cassazione il difensore di ( … ) adducendo i seguenti vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione.

1. Violazione dei principi regolanti il giudicato cautelare. Erroneamente citando gli artt. 322 bis e 324 cpp, il ricorrente lamenta la mancata declaratoria di inammissibilità e/o tardività dell’appello del p.m. contro l’ordinanza del g.i.p. del 25.9.2008, per essersi già formato il giudicato cautelare in relazione alla medesima richiesta cautelare del p.m. respinta dal g.i.p. con l’ordinanza del 10.06.2008 non impugnata dal p.m., che - d’altro canto - con la nuova richiesta di misura cautelare interdittiva non ha proposto nuovi o diversi elementi dì valutazione rispetto alla prima rigettata richiesta cautelare.

2. Violazione dell’art. 407 cpp. Il Tribunale di Perugia apprezzato, ai fini dell’applicazione della misura cautelare nei confronti del ( … ) elementi indiziari non utilizzabili perché acquisiti dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari nei confronti dell’indagato iscritto nel registro delle notizie di reato fin dal 12.5.2006 per il reato di lesioni personali plurime.

3. Erronea applicazione dell’art. 273 cpp sotto duplice profilo. Da un lato i giudici dell’appello cautelare hanno ritenuto ininfluente ai fitti della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti del ( … ) la circostanza che pressoché tutti i procedimenti disciplinari promossi dall’azienda e per essa dal direttore generale sono stati confermati nella competente sede civile (giudice del lavoro), ma hanno omesso di considerare che la riconosciuta legittimità dell’operato del ( … ) nei rapporti con il personale esclude la rilevanza penale dei fatti, conclamando una corretta applicazione da parte dell’indagato dello ius corrigendi che è pacificamente riconosciuto anche al datore di lavoro. Da un altro lato il Tribunale ha tralasciato di constatare che i procedimenti disciplinari sono stati promossi dall’indagato solo in ragione della sua qualità di direttore generale dell’ azienda, ma i fatti oggetto delle singole iniziative disciplinari sono stati segnalati o riferiti dai superiori gerarchici dei lavoratori (la formalizzazione dei procedimenti si configura come atto dovuto del direttore generale).

4. Difetto di motivazione su elementi segnalati dalla difesa dell’indagato in opposizione all’appello cautelare del p.m. accolto dal Tribunale. In particolare con le memorie difensive è stata allegata una consulenza tecnica medico-legale redatta dal prof. ( .. . ) critica sui rapporti di valutazione psicodiagnostica concernenti il disadattamento dei lavoratori della azienda considerati in imputazione. Ma il Tribunale ha completamente ignorato tale apporto scientifico, dando assoluto credito agli accertamenti svolti dalla ASL di Terni.
5. Con memoria depositata 11 12.3.2008 il difensore del ricorrente ha ribadito le doglianze espresse con il ricorso ed ha delineato un motivo nuovo integrato dalla violazione dell’art. 274 cpp in punto di esigenze cautelari, della cui esistenza il Tribunale perugino non avrebbe offerto idonea dimostrazione. In realtà alla tematica si giustappone un ulteriore sostanziale motivo nuovo rappresentato dall’addotto travisamento dei fatti da provare o, più esattamente, dal travisamento della prova con riguardo alle evenienze segnalate nella consulenza tecnica dell’indagato già prima citata, laddove si rileva la violazione del protocollo nazionale per il riconoscimento dei casi di mobbing, alla formulazione dei giudizi medici collegiali raccolti dalla ASL di Terni non avendo partecipato (oltre a medici del lavoro) uno psichiatra ma soltanto uno psicologo.

4.- Il ricorso proposto nell’interesse di ( … ) non può trovare accoglimento per infondatezza o per indeducibilità dei delineati motivi di censura, che per buona parte lambiscono contorni di genencità, essendo costituiti dalla replica di rilievi già formulati in sede difensiva innanzi al Tribunale di Perugia e da questo congruamente vagliati.

1. Il motivo concernente la supposta inammissibilità (e/o tardività) dell’appello del p. m. contro l’ordinanza del g.i.p. reiettiva della richiesta cautelare per la preclusione derivante dal cd, giudicato cautelare (per essere stata già respinta la richiesta cautelare del p. m. con un precedente provvedimento del gip, non impugnato) è destituito di fondamento. Con corretto ragionamento, infatti, l’ordinanza impugnata ha evidenziato come legittimamente il procedente p. m. abbia fondato la seconda nuova richiesta di applicazione della misura interdittiva su nuovi elementi di prova sopravvenuti e atti a surrogare il paradigma indiziario ricomposto nei confronti del ( … ) (informativa ASL del 5.7. 2008; informazioni testimoniali rese dal p.m. il 21. 08.2008;
referto INAIL 12.8.2008 con cui si riconosce al lavoratore della ASM persona offesa una malattia professionale ritenuta ascrivibile a fatti di mobbing).
In vero la formazione del giudicato cautelare, in applicazione del generale principio dei ne bis in idem, ha una sua ragion d’essere - con effetti preclusivi endoprocessuali di istanze o impugnazioni per i medesimi fatti unicamente a fronte della prospettazione di una stessa situazione anteriormente valutata ovvero di questioni già decise. Nessuna preclusione può operare quando, come nel caso relativo all’indagato l’istante o impugnante rappresenti la sopravvenuta acquisizione di elementi indiziari nuovi o integrativi di quelli già disponibili, i quali - mutando i referenti dell’anteriore situazione fattuale - giustificano la rinnovata analisi e valutazione della re giudicanda cautetare (cfr.: Cass. Sez. 1, 19.1.2007 n. 15906, Patta, n. 236278; Casa. Sez. 1 26.6.2008 n. 34607, Favan, n .240703).

2. Il secondo motivo di impugnazione (logicamente connesso al primo), relativo alla inutilizzabilità degli atti valutati dal Tribunale perché sopravvenuti alla scadenza dei termini delle indagini preliminari, è parimenti infondato. Anche in questo caso giuridicamente corretta deve considerarsi la deduzione dei giudici dell’appello cautelare che hanno respinto l’omologa eccezione preliminare sollevata dalla difesa dell’indagato. Si osserva nell’ordinanza impugnata: ‘‘come comprovato dalla documentazione prodotta dal p.m., i termini in questione non risultano scaduti, dovendosi aver riguardo alla data in cui il nominativo del ( … ) è stato iscritto per le fattispecie che interessano specificamente la richiesta di misura cautelare e alle proroghe intervenute tempestivamente”.
Non è revocabile in dubbio che il termine di massima durata delle indagini preliminari prorogate, alla scadenza del quale divengono inutilizzabili gli atti di indagine posteriori, decorre non dalla prima iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato, ma dalla iscrizione progressiva - in caso di pluralità di reati via via accertat - dello specifico titolo del reato o dei reati per i quali si procede ad un determinato incornbente processuale ovvero si richiede la adozione di una determinato provvedimento giudiziario (va Cass. SU., 21.62000 n. 16, Tammaro, n. 216248; Cass. Sez. 1, 1012006 n. 5484, PM sost. proc. Genovese, n . 235100).

3. Le censure espresse in tema di addotta inidoneità dei gravi indizi di colpevolezza ritenuti dal Tribunale perugino sussistenti a carico del ( … ) terzo motivo di ricorso e le censure strettamente connesse in tema di carenza di motivazione per omesso vaglio delle conclusioni di una consulenza tecnica dell’indagato (quarto motivo di ricorso) sono manifestamente infondate e in sostanza insuscettibili di proposizione nel giudizio di legittimità. Per un verso non può non constatarsi che il Tribunale ha preso già in considerazione le odierne doglianze del ricorrente (sia pur enunciate in veste di resistente all’appello interposto dal p.m. alle quali ha fornito adeguata e logica risposta, evidenziandone la palese fragilità.
Il Tribunale ha affrontato sia il tema della legittimità o non dei procedimenti disciplinari riconducibili all’indagato, di cui ha rimarcato l’inconferenza valutativa con il conforto della giurisprudenza di questa Corte regolatrice (l’ordinanza richiama la decisione Cass. Sez. 6. 8. 2.2006 n. 31413, secondo cui la condotta vessatoria integrante mobbing non è esclusa dalla formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte nei confronti dei dipendenti mobbizzati), sia la lineare riconducibiità sostanziale e non solo formale (in virtù della sua carica aziendale) al ( … ) dei contegni prevaricatori attuati nei confronti di numerosi dipendenti (non a caso il Tribunale ha menzionato l’episodio della “nuova” aggressione verbale attuata nei confronti del dipendente ( … ) dall’indagato, pur già edotto delle indagini in corso nei suoi confronti). In tale chiesto il rilievo concernente il mancato esame della consulenza tecnica del prof. ( … ) non solo è incongruo sul piano formale (non delineandosi un obbligo di specifica risposta da parte del Tribunale non essendo ( … ) la parte appellante) ma è altresì sostanzialmente del tutto infondato. Il Tribunale ha offerto, infatti, una indiretta risposta ai rilievi formali del consulente sulla formazione dei collegi di valutazione della significatività medico - diagnostica degli episodi di mobbing, per il semplice motivo che la solidità del quadro indiziario è stata apprezzata in particolar modo in base alle dichiarazioni dei singoli lavoratori raggiunti da comportamenti di mobbing (richiami, censure, procedimenti disciplinari, mansioni ridotte; ecc.). Agli argomenti di valutazione delle complessive risultanze probatorie, poi ed in ultima analisi, il ricorrente contrappone una propria personale (e inevitabilmente riduttiva) rilettura in punto di fatto di tali risultanze, delle quali invoca una improponibile (censure in punto di fatto non consentite) rivisitazione in questa sede di legittimità.

4. Il “motivo nuovo” afferente alla asserita inadeguata valutazione delle esigenze cautelari legittimanti ex art. 274 cpp l’adozione della misura cautelare interdittiva è con tutta chiarezza indeducibile, poiché non presenta alcun collegamento con i motivi esposti con l’originario ricorso interamente imperniato sulla critica del quadro indiziario delineato dall’impugnata ordinanza del Tribunale di Perugia.
In base al combinato disposto degli arti 585 cp. 4 cpp (in rel. artt. 311 e 611 cpp) e 167 disp. att. cpp ) la prospettazione di motivi “nuovi” è consentita nei limiti in cui siffatti motivi riguardino capi o punti della decisione impugnata già oggetto di censura nell’originario atto di impugnazione ai sensi dell’art. 581 cpp (cff. a pluribus Cass. Sez 5. 22.9.2005 n. 45725 n. 233210: “i motivi nuovi a sostegno dell’impugnazione, previsti nelle norme concernenti il ricorso per cassazione, né in materia cautelare (art. 311co.. 4 cpp.) devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 531, lett. a, cpp’”).
Le ulteriori censure (”nuove”) esposte con la memoria difensiva depositata il 12.3.2008, deducenti il travisamento della prova in relazione a tutti i profili dell’analisi decisoria del Tribunale di Perugia, sono anch’esse indeducibili per le ragioni già esposte, siccome incentrate su una non consentita ricostruzione e reinterpretazione alternativa di meri elementi fattuali correlati ai diacronici sviluppi delle condotte oggetto di indagine penale, logicamente apprezzati nella motivazione dell’ordinanza impugnata alla stregua di un corretta applicazione dei criteri di valutazione della prova e, per ciò stesso, non ripercorribili o revisionabili in questa sede di legittimità.

Al rigetto dell’ impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, demandandosi alla cancelleria le comunicazioni di rito connesse alla esecutività del provvedimento cautelare impugnato.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e delle spese processuali.
Manda alta cancelleria per gli adempimenti condanna il ricorrente al pagamento di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p.

Depositata in Cancelleria
il 13.07.2009


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